GIORNALISMO CORRETTO E PROFESSIONALE PER NON DISORIENTARE L'OPINIONE PUBBLICA
Il Covid-19 ha evidenziato nel concreto un’antinomia sempre esistita nel mondo dell’informazione; o si parla troppo o vi è un bisogno di dar fiato per informare su come stanno realmente i fatti economici, sociali ed oggi più che mai sanitari.
La comunicazione è la prima azione dell’uomo necessaria al suo sostentamento. L’uomo come diceva il filosofo John Locke non è in grado di bastare a sé stesso e quindi si unisce in società. Quest’ultima “non è silenziata o muta”; in una comunità dovrà pure installarsi una qualche forma d’interazione fra coloro che vi convivono.
L’informazione, come anche la comunicazione, è stata da sempre etichettata con lo stereotipo del giornalista che copia i dispacci di agenzia standosene comodo dietro la sua scrivania. Il giornalismo è altro. Il giornalismo è fiuto, analisi, curiosità, girare per i luoghi al fine di trovare l’esclusiva e correre in redazione a “buttare giù il pezzo” da pubblicare anticipando la concorrenza. In questo ambito vale l’insegnamento del “Chi prima trova ben alloggia”. Abbattiamo gli stereotipi dell’esperto dell’informazione che copia le notizie e che è colui dotato di una cultura medio-bassa. Alcune persone ritengono che per scrivere una news o anche per comunicare all’opinione pubblica non serva una laurea; secondo la loro visione possono farlo praticamente tutti. Il giornalismo è cultura, valutazione dei dati e la figura professionale correlata merita uno status sociale degno di nota. La comunicazione e l’informazione sono state rivalutate solo un anno fa con lo scoppio della pandemia globale da Coronavirus ma quanto durerà questo statuto? Fino al vaccino.
Una volta che vi sarà l’immunità di tutti, speriamo al più presto possibile, l’opinione pubblica internazionale dimenticherà il valore del parlare, dell’informare, dell’interagire. Oggi forse si dà peso a ciò perché il telegiornale viene visto come un mezzo, un meccanismo per comprendere il cambiamento a cui le nostre società stanno e andranno incontro; stiamo assistendo ad un mutamento sociale, economico e soprattutto demografico, dato che ormai ci stiamo abituando a “morti su morti”. Il problema centrale riguarda la costanza e la continuità; bisogna sempre onorare l’informazione, la comunicazione e i rispettivi valori, non solo quando ne abbiamo necessità ma anche in momenti prosperi.
L’informazione serve per capire il meccanismo del nostro mondo ma noi destinatari, con i nostri rispettivi bagagli culturali, dobbiamo comportarci da attivi, non pronunciando più quell’orribile espressione: “Ci credo perché lo ha detto la televisione”. È troppo da anni ’60, da boom economico quando nessuno avrebbe mai immaginato le potenzialità del mezzo televisivo. Il contesto pandemico ha evidenziato un’antinomia da sempre esistita sul versante comunicativo; con ciò si fa riferimento al binario necessità-eccessività. Con necessità intendiamo che per capire l’andamento economico, politico, sociale ed oggi più che mai sanitario del mondo in cui viviamo, sentiamo l’esigenza di essere informati, di ricevere notizie su notizie al fine di trarre delle conclusioni generali intorno ad un dato problema che potrebbe porsi in essere.
La difficoltà però non riguarda il bisogno d’informarsi e del documentarsi che sono “verbi sacri” bensì il fatto di notizie su notizie, ossia la ridondanza. Un’informazione è nociva quando viene sovraccaricata; ricordate come la maggior parte di noi ha vissuto i primi mesi del Covid-19? Stando “incollati” alla Tv a partire dalle 18 su La7, sintonizzati con il presidente della Protezione Civile, Angelo Borrelli, per ascoltare dei veri e propri “bollettini di guerra”. Con ciò non vuol dire che l’opinione pubblica debba restare all’oscuro dei fatti pandemici ma non la si deve neanche sovraccaricare di statistiche su statistiche. Oggi sentire e risentire che il Covid-19 sta mutando dal punto di vista genetico è legittimo ma l’insistenza sull’insistenza genera il cosiddetto “effetto ridondanza” che ha conseguenze negative sugli ascoltatori, in quanto quest’ultimi si abituano a sentire nelle loro vite quotidiane solo virologi, numeri, statisti. La comunicazione deve estendere il suo raggio d’azione, ora più che mai.
Oggi è quasi normale sentire al Tg 15mila contagi al giorno e 400 morti per Covid. Questo a lungo andare porterà il singolo ad isolarsi dall’informazione e al ripiegarsi su sé stesso, preferendo la vita privata a quella pubblica che viene colta come “triste”, “negativa”, fatta solo di contagi e di decessi, mentre quella privata inizia ad essere vista “come un luogo sicuro in cui proteggersi dalle offese esterne”.
Nella comunicazione ci vuole una compensazione, come anche nell’informazione, specie se si tratta di quella politica. Il vero giornalismo politico deve avere come suo centro focale l’obiettivismo, prescindendo dalla linea editoriale di una data testata; bisogna dare spazio non soltanto al nostro partito ma a tutto l’operato politico, sia esso giusto che ingiusto. Rimanendo troppo ancorati alla propria linea editoriale si rischia di lasciar fuori partiti diversi dal nostro e quindi di diventare l’ufficio stampa di quel dato schieramento. Abbiamo bisogno di un’informazione completa, “a trecentosessanta gradi”. La compensazione nella comunicazione, come anche nel giornalismo generalista, consiste nel calibrare il messaggio; se vi è un fatto di pericolo ed ostile occorre segnalarlo ma non insisterci “ogni secondo” in quanto un eccessivo sovraccarico rischia di disgustare il lettore, generando un “cortocircuito informativo”.
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