Sempre meno culle accolgono i neonati italiani.
Ormai la tendenza a non procreare si è stabilizzata e dura ormai da diversi anni; al momento, non si ravvisano segnali di un cambio di passo. In Italia la natalità si è ridotta del 48,3%dal 1960 al 2020 con un abbassamento di indicatori di bambini per donna, calati da 2,4 a 1,4.
Il fenomeno della denatalità è da addurre ad una molteplicità di fattori, come la crescita dell’età media delle donne alla prima maternità: oggi, infatti, in Italia, l’età media è aumentata da 28,3 anni del 2006 a 32,2 anni nel 2020.
Il procrastinare la gravidanza, a sua volta, scaturisce da scelte fatte per motivi di studi, di libertà personale e di carriera o per un mancato sostegno economico: un ristoro con cui far fronte alle necessità del bambino poiché l’assenza dei sussidi di maternità alle famiglie rende difficile fare fronte alle spese di maternità e di crescita del figlio. Ovviamente, dal fenomeno denatale consegue un forte impatto sociale che si abbatte sulla salute della popolazione riducendola di numero ed evidenziando il fatto che questa sia costituita principalmente da anziani e da una diminuzione di persone che possano fornire loro assistenza; si genera così una flessione delle entrate fiscali che sostengono le spese sanitarie.
L’aumento dei costi per la spesa ricade negativamente sul benessere della popolazione, la ripercussione investe ogni aspetto sociale e finanziario; con il calo della natalità si attivano sempre meno le domande per i servizi di assistenza sociale da qui l’inutilità dell’erogazione dei finanziamenti per tali servizi.
Nel 2022, in Italia si sono contate 392.598 nascite, 7.651 in meno rispetto all’anno precedente, questo è quanto è emerso dall’ultimo report istat sulla dinamica demografica.
È chiaro che la pandemia da SarsCov 2 ha avuto un ruolo importante nei mancati concepimenti, incoraggiando le coppie a posticipare i piani di genitorialità.
Il presidente della Società’ di Diagnosi Prenatale e Medicina Materno Fetale, Claudio Giorlandino, prendendo in esame i dati ISTAT e CEDAP e incrociando i dati con altre fonti ufficiali ha parabolato curve di confronto e di andamento dalle quali è emerso un quadro preoccupante. L’ ISTAT ha stimato che il nadir diviene sempre più basso ogni anno che passa se si considera che 10 anni fa le nascite dei bambini italiani si attestavano intorno ai 600.000, questo anno risultano nati soltanto 294.000 bambini e le proiezioni future non sono rosee; afferma Giorlandino - gli italiani sono in via di estinzione, in base alle proiezioni del 2025 i nati saranno meno di 250.000.
Consideriamo che già nel 2022 stiamo perdendo oltre 500.000 connazionali all’anno, il numero dei nuovi nati, rispetto alle persone decedute è fortemente squilibrato, con questi presupposti sembra che il divario resti incolmabile e la crisi demografica nazionale sia destinata ad accrescere. La denatalità è un fenomeno di difficile risoluzione, occorre mettere in campo tutte le politiche necessarie a supportare le famiglie e non è detto che questo sia sufficiente poiché, forse, ci stiamo abituando ad abitare in una nazione con pochi bambini, le nostre vite sono riempite di spazi lavorativi, ricreativi, virtuali, ci relazioniamo tra adulti, viviamo tra adulti e con adulti e stiamo perdendo la capacità di rapportarci con i bambini con i quali attiviamo un’alterità inadeguata. Tuttavia è necessario invertire la rotta che ci sta portando verso una crisi demografica profonda, perché, se così non fosse, l’Italia è destinata a scomparire.
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