Che le conseguenze degli eventi del febbraio scorso abbiano traslato il conflitto russo-ucraino sul campo russo-europeo, trasformando lo scontro militare in una crisi economica ed energetica è a tutti gli effetti oramai lampante.
Gli effetti del conflitto hanno messo in luce tutti i limiti dell’interdipendenza globale. Ce ne stiamo rendendo conto oramai da quasi un anno, vedendo i rincari folli sulle bollette che stanno mettendo in ginocchio l’Europa e soprattutto le imprese, specie quelle più piccole, che non riescono a sopportare l’onda d’urto del caro energia.
È il motivo per cui dalla scorsa primavera si sta cercando spasmodicamente una soluzione all’impennata dei prezzi del mercato energetico.
Le prime risposte sono arrivate con il tentativo dei vari Paesi europei di diversificare i loro mix energetici nazionali. Ricordiamo gli sforzi dell’oramai ex premier Draghi nel cercare accordi con Paesi come l’Algeria o l’Egitto, per cercare altre fonti di approvvigionamento energetico ed essere sempre meno dipendente dal gas russo.
Grazie all’accordo con l’Algeria - che prevede un aumento graduale delle importazioni di gas in Italia già a partire da questo novembre - il Tap dall’Azerbaijan e il Gnl americano, siamo riusciti a sostituire il 25% del nostro approvvigionamento energetico, lasciando alla Russia il 15% delle nostre importazioni di gas, a fronte del 40 % da cui eravamo partiti.
Purtroppo, diversificare l’import è soltanto un cerotto che, seppur utile nel breve termine, deve portare a una rivoluzione più concreta che nel lungo periodo aprirà la strada, si spera, alle rinnovabili.
Al momento la strada sembra ancora in salita, soprattutto per le difficoltà dell’Ue nel trovarsi d’accordo su quali fonti considerare “green”.
La Francia sembra non voler rinunciare al nucleare – e la prova sembrerebbe leggersi nello scetticismo di Macron nei confronti del maxi-gasdotto MidCat tra Spagna e Francia, che contribuirebbe a portare l’Europa verso un’indipendenza energetica.
La Germania invece, ha recentemente annunciato di voler puntare a breve sul mercato dell’idrogeno.
Ma ci sono Paesi, come il nostro, che nonostante i grandi risultati ottenuti nel campo della transizione ecologica, “vanta” ancora una forte dipendenza dalle fonti tradizionali.
Il problema italiano risiede infatti nel fatto che oltre la metà dell’energia elettrica prodotta proviene dal gas.
Per fare un paragone con la Germania, nel cui mix energetico il metano occupa il 25%, il consumo energetico italiano si poggia ancora per il 40% sul consumo di gas rispetto alle altre fonti energetiche.
Ed è per questo che siamo uno dei paesi più suscettibili alle variazioni di prezzo. Abbiamo visto come il prezzo medio per Mw/h sia passato rapidamente da 20€ al picco di 350€, per stabilizzarsi (per il momento) sui 250€ per Mw/h. Una situazione difficile da interpretare e men che meno da gestire, anche per le aziende consolidate che devono preparare dei piani commerciali a medio e lungo termine e riescono a malapena a controbilanciare oscillazioni di tale portata.
E visto anche che, nonostante le sanzioni e la conseguente diminuzione della domanda europea, la Russia pare abbia triplicato le sue entrate dell’export energetico grazie ai rincari.
Come si suol dire, oltre il danno, la beffa. È per questo che in Europa si parlava da tempo di imporre un tetto massimo al prezzo del gas, per tagliare i proventi che Putin utilizza per finanziare questa guerra.
Ma la proposta è concretamente arrivata ai tavoli europei soltanto all’inizio di settembre, con un pacchetto che prevede una riduzione a livello europeo della domanda di elettricità, la proposta di porre un tetto ai massimali per le entrate delle imprese che producono energia a basso costo (la proposta raccoglierà più di 140 miliardi di euro per gli Stati Membri, utili ad attutire il colpo), l’istituzione di un nuovo indice di riferimento per il Gnl (il gas naturale liquefatto), separandolo in questo modo dal gas via gasdotto, il cui mercato di riferimento resterà il Ttf di Amsterdam. Inizialmente la proposta prevedeva di considerare un prezzo massimo da imporre direttamente alle esportazioni russe, col rischio però di spingere Mosca a bloccare una volta per tutte i rifornimenti, con l’inverno che è oramai alle porte.
E infatti la risposta di Putin non è tardata ad arrivare, nell’occasione del Forum economico dell’Oriente a Vladivostok, lo scorso 7 settembre, non ha usato mezzi termini per lanciare il messaggio chiaro.
La soluzione potrebbe essere perciò quella di agire direttamente sul mercato elettrico, imponendo un limite massimo temporaneo al prezzo del gas importato e agire con il “decoupling”, il disaccoppiamento nel mercato all’ingrosso tra il prezzo del gas e quello dell’energia elettrica.
In questo modo si andrebbero a “correggere” le storture del mercato elettrico alla base, andando a raffreddare l’impennata effetto domino dei prezzi.
La proposta è da settimane al centro del dibattito europeo, ma l’intervento della presidente della Commissione europea dello scorso 14 settembre ha deluso le aspettative soprattutto italiane.
Per il momento, tutto rimandato ad ottobre.
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione davanti al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha intavolato un grande discorso di intenti, tracciando la rotta per un’Europa più protettiva nei confronti dei cittadini di fronte all’attuale situazione energetica, andando a sottolineare l’importanza della solidarietà europea e del bisogno di compattezza di fronte a una delle sfide più importanti per l’Unione Europea.
L’Ue si dice pronta a riformare il mercato energetico e correggere il folle sistema di formazione dei prezzi dell’energia. Non un’impresa semplice.
Se da un lato questo discorso dimostra una grande e inaspettata capacità europea di adattarsi alle diverse situazioni emergenziali, così come era già accaduto durante la pandemia, dall’altro lato non si può non notare in questo grande sforzo una celata difficoltà di fondo, confermata dalle esitazioni tuttora esistenti tra Paesi come Austria e Germania, le più preoccupate per un eventuale stop del Nord Stream 1.
Il 6 e il 7 ottobre i capi di Stato dei Paesi Ue si riuniranno a Praga per discutere le proposte già presentate, per poi partecipare al vertice formale a Bruxelles il 20 e il 21 ottobre.
I ministri dovranno discutere una volta per tutte come interverranno nel concreto, dovendo prevedere come gestire la differenza di prezzo generata dall’eventuale price cap, e dovranno anche prevedere come questo sistema si tradurrà nello stile di comportamento dei consumatori.
È necessario ridurre contestualmente i consumi per far sì che i prezzi non salgano di nuovo, altrimenti avremmo fatto uno sforzo inutile.
Più semplice forse in Spagna o in Italia, meno in Nord Europa. Abbiamo preso tempo per il momento, non ne possiamo perdere altro.
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