In un’estate rovente come questa la campagna elettorale, decisamente inaspettata, ha fatto alzare la temperatura ulteriormente.
Atteggiamenti, parole e promesse vane che si rincorrono in un vortice già visto e rivisto.
Una superficialità che spinge una buona parte degli elettori ad un’altrettanta azione dettata dall’impulso con il risultato che ci ritroveremo con una schiera di imbecilli attaccati ai propri effimeri poteri. Certo non sarebbe una novità. Nella speranzosa attesa, la temperatura cresce.
Da una parte la rabbia degli elettori pensanti per l’ennesima passerella da cui eleggere la miss, dall’altra lo sgomitare dei candidati.
Un teatrino a cui siamo abituati e che è diventato un copione che non ci piace più.
Che tristezza veder passare in video sui media nazionali ed internazionali e sui social media politici che prendono sul serio più se stessi che la politica.
Avessero almeno il buon senso di risentire le proprie parole prima di pronunciarne altre.
Invece, sembra che abbiano la memoria così corta da non ricordare neanche quello che hanno pronunciato un giorno o solo poche ore prima.
E che dire di scivoloni imbarazzanti e di frasi sessiste e di dirette social che farebbero rivoltare nella tomba i nostri politici della vecchia guardia che hanno insegnato agli italiani il rispetto, la collaborazione ed il saper parlare bene lanciando messaggi seri e diretti?
Ad ascoltare i loro discorsi elettorali si rimaneva incantati, non solo per il lessico di un certo livello, ma degli innumerevoli insegnamenti tra le righe. Erano uomini e donne per i quali l’impegno politico era una missione, le parole nei discorsi non erano solo un attacco miserrimo contro il nemico, e ce ne sono stati per carità, ma una sorta di gratitudine nei confronti di quell’elettorato che fiducioso li andava a votare. Esiste un’etica anche nei discorsi e nelle parole che un politico deve adottare, che va al di là del pensiero di molti esperti di linguaggio politico per i quali vale un certo modo di comunicazione diversa tra destra e sinistra, perché il popolo, l’elettore, deve essere in grado di comprendere in maniera sana ed efficace il messaggio.
Oggi assistiamo costantemente a dirette televisive in cui chi ci dovrebbe rappresentare litiga alzando la voce, punta il dito contro l’altro, tira fuori parole velenose non curanti del fatto che il nostro popolo ha bisogno di programmi politici seri, di promesse da mantenere e non da sbandierare solo per accaparrarsi i voti.
Che si chiudessero nelle stanze delle loro segreterie a programmare qualcosa di buono e non a mettere su processi per dimostrare di essere dalla parte giusta che è opinabile.
Ci vogliono i fatti perché quelli contano.
Quanti andranno a votare a settembre? Probabilmente meno elettori che in passato, ma tra quelli anche una schiera di cittadini che si identifica in certi modi sguaiati ed offensivi, gli amanti delle dirette social, dei like, dei follower e della legge del più trash, o appannati dalle ennesime false promesse, o che ha capito in maniera distorta il messaggio. Così varcherà la soglia della cabina elettorale e andrà a mettere quel segno sulla scheda sognando per un momento di essere come uno di loro a cui tutto è permesso anche il linguaggio inopportuno. Certo è che si è raggiunto un livello così basso di comunicazione elettorale mai vista, ma quello che preoccupa non sono solo le parole, ma i fatti dietro quelle parole. In che mani siamo finiti lo sappiamo, in quali finiremo lo possiamo immaginare, finché quella parte di italiani disinteressati fattivamente alla politica non si sveglierà dall’illusione che tutto andrà bene cambiando la propria opinione nel seggio elettorale invece di ritrovarsi a scendere in piazza a protestare, perché è quello che succederà se non si prende coscienza oggi.
E se per gli americani “the best is yet to come”, per noi italiani vale “il peggio deve ancora arrivare”. La speranza è che rimanga solo un punto di vista.
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