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"La Mistica non è una malattia"

Franco Di Matteo

Nella giornata della salute mentale ricordata dalla Fondazione Magni Mirisola la figura di Fabio Mauri

Fabio Mauri


Il 20 ottobre a Velletri, in occasione della giornata dedicata alla salute mentale, alla Fondazione Magni Mirasola, diretta da Alessandro Filippi, vi è stata la visione dell'intervista "La Mistica non è una malattia" fatta a Fabio Mauri nel 2OO6 da Franco Di Matteo, che verte sulla pubblicazione, su un catalogo di Mauri del 1976, del suo certificato di dismissione, nel 1952, dal manicomio Pini di Milano.

Fabio Mauri era un 'estroverso mondano'; la sua affabilità e cortesia erano naturali, innate, e quando era in vena il suo tratto signorile poteva divenire giocoso e comico, di una comicità lieve, autoironica. Ma allora, come ha fatto con tali magnetiche doti ad inventare mondi in cui l'Assenza diveniva l'Essenza, e ad innescare meccanismi narrativi e paradigmi estetici di tanto tragico spessore?

Era proprio la leggerezza che gli permetteva quel distacco, che gli dava lucidità nel captare il drammatico, il feroce, il disforico, quasi come mimetiche categorie lombrosiane; mi riferisco al suo filone sull' ideologia.

Il fermo immagine era il suo paspartout buono per ogni interferenza e assunzione di resposabilità, dato che le ''turbe mentali', sono spesso connesse con la creatività.

Uno sguardo che aveva in comune con artisti psico-eversivi, che nell'arte italiana nel secondo novecento non sono rari; vengono in mente Lucio Fontana, Piero Manzoni, Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Vettor Pisani... la differenza con loro, è che Mauri si definiva un'intellettuale con l'atavica consapevolezza di esserlo!

Ho collaborato con Mauri come assistente dal 1971 al' 75, ed ho in preparazione un libro d'artista su quell'esperienza, perchè ritengo importante che la sua figura sia raccontata negli aspetti quotidiani, non solo in quelli celebranti l'importanza del suo lavoro, poichè come afferma lui nell'intervista,"

Faccio un mestiere che non e' un mestiere", e quel suo affermare ironicamente questo, precisa che la forma nel comunicare era sì contenuto, ma l'essenza era la sua pulsione ad esprimersi, e questo nell'intervista viene evidenziato dal racconto che lui fa dell'incontro con Pirandello, che è la chiave per comprendere gli aspetti 'sovraumani' della sua arte. L'altra faccia della medaglia del Mauri estroverso mondano, era l'afflato mistico, e la sua ossessione per la matematica.

Un suo multiplo di quegli anni, un lavoro basato sul cerchio, si chiama: 'Vera ostia senza dio', o 'vero grano senza Dio'; cosa significa?

Che il miracolo consiste nella trasformazione che avviene attraverso la parola dell'officiante, tra il grano e l'immanenza del concetto di Dio.

Ed ecco che per lui l'Arte, scortato dalle teurgiche massime del filosofo-matematico Pascal, fu una via di fuga concettualmente elevata ed esteticamente raffinata.

Tutto il suo operare diviene allora una riflessione, più che su come farlo, sul come dirlo; ed ogni volta per immaginarlo era necessario il come nominarlo: non sono meri sofismi semantici, era il suo metodo!

Ecco perchè la sua importanza come artista levita con sempre maggior considerazione, sopratutto ad opera della critica d'arte Alfano Miglietti.

La sua quotidiana caccia al tesoro avveniva in convivenza e connivenza con i suoi collaboratori, anche temporanei, ma si esprimeva al massimo quando c'era la componente attoriale, dato che Mauri oltre performer, è stato anche drammaturgo.

Nel suo primo spettacolo "L'isola", un uomo in un'isola deserta dialoga tranquillamente con Dio.

Nessuno era stato cosi' audace da sconfinare nella Jurbis, e questo fu il motivo del suo pellegrinare, giovanissimo, da un convento ad un manicomio.

Fabio racconta tutto questo oltrepassati gli ottanta anni, e lo dice con una tale seraficità!

Fare i conti con i propri macigni di solito non è proprio semplice, e meno che mai confessarsi in modo così felicemente colloquiale.

Questo è potuto accadere perchè la mia intervista era partita dalla richiesta di tre domande per un laboratorio espressivo che conducevo in un centro diurno del comune di Roma, ma nell'incontrarlo dopo tanti anni, le tre domande previste divennero un'opportunità di messa a nudo, grazie alla nostra antica consuetudine.

"Il mio direttore spirituale, mi ordinò di scrivere su dei quaderni le mie turbe psichiche..." le turbe erano le visioni mistiche, che il ventenne Fabio aveva avuto nel pieno centro di Milano fermando il traffico di piazza San Babila - me lo raccontò lo scrittore Giovanni Testori - scaturite dal dolore per i traumi della guerra e delle deportazioni.

Il contenuto dei 18 quaderni da lui mai più riaperti, è rimasto segreto; l'unica cosa, che viene detta nell'intervista, è che "le esperienze tipiche dei mistici; visioni, estasi, bilocazioni, chiaroveggenza, ecc. le ho vissute tutte e sono descritte lì".

Il giorno che quelle confessioni verranno rese note, sono sicuro che la chiesa accoglierà Fabio Mauri, non dico nell'Empireo dei santi dato che sono necessari determinati miracoli, ma senz'altro in quello dei 'Servi di Dio'.


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