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PER LA PIAZZA DI WILLY NESSUN CONCORSO DI IDEE

Aggiornamento: 22 nov 2022

DISCUTIBILE DECISIONE CHE MORTIFICA IL SENSO DI PARTECIPAZIONE DELLA COMUNITA'

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva sfiducia nella democrazia rappresentativa.

In molti casi, la partecipazione alla vita politica nelle democrazie contemporanee si è ridotta al solo recarsi periodicamente alle urne, uno stanco rituale vissuto con crescente disaffezione e sempre meno capace di legittimare il sistema democratico.

Come ha scritto il politologo francese Marcel Gauchet, “se il modello democratico vuole sopravvivere, deve anche sapersi reinventare”.

Nella nostra società contemporanea, caratterizzata da forti spinte individualistiche, o meglio dalla ricerca di soluzioni personali a problemi che poi sono collettivi, come è possibile coinvolgere attivamente cittadini nelle decisioni pubbliche e favorire così il buon governo di un paese?

Per rispondere a queste domande, è necessario, innanzi tutto, definire il concetto stesso di “partecipazione”, un termine generico, usato talvolta in modo impreciso per indicare processi fra loro diversi.

Nel linguaggio corrente si intendono quindi quelle interazioni sociali tra cittadini e amministrazioni pubbliche che hanno come obiettivo la risoluzione di una situazione collettiva percepita come problematica o l’assunzione di una decisione di interesse pubblico.

La partecipazione può essere vista pertanto come un “percorso associativo” ben strutturato, in cui devono essere definiti in modo puntale l’obiettivo e i risultati attesi, le fasi di lavoro, gli attori, i tempi e le modalità con cui avviene l’interazione tra soggetti diversi (amministrazioni pubbliche e/o rappresentanti di gruppi o associazioni).

A prescindere dal risultato finale, questa “dinamica” ha il vantaggio di essere particolarmente virtuosa poiché stimola un confronto e si alimenta attraverso l’esercizio della libertà di riunione.

Del resto, anche l’art.18 della Costituzione italiana garantisce e promuove indirettamente questo processo poiché considera la libertà di riunione (e di associazione) “indispensabile per favorire lo sviluppo della persona e la sua partecipazione alla vita economica, politica e sociale del Paese”.

In altre parole, rafforzare questo tipo di relazione vuol dire sostenere il concetto stesso di democrazia rappresentativa e, al tempo stesso, facilitare la comprensione dei processi politici.

Partecipando attivamente alla vita di un Paese o di una città, i cittadini possono esprimere le loro idee, condividerle con altri, possono promuovere nuovi progetti, intercettare i bisogni e le aspirazioni di una comunità; possono diventare protagonisti attivi (e non passivi) della vita pubblica, dare rappresentanza a interessi diffusi, stabilire un dialogo vero e reciproco tra con le istituzioni e gli amministratori pubblici. Concretamente i cittadini possono promuovere e approvare nuove leggi, chiedere asili e scuole migliori, porre il veto sulla privatizzazione di aziende municipalizzate o decidere in prima persona sullo sviluppo di aree non ancora urbanizzate. Da molto tempo non rappresentano più una minoranza sociale e i rappresentati delle pubbliche amministrazioni devono percepire l’utilità di collaborare con una cittadinanza impegnata, perché in questo modo riescono ad intercettare i bisogni della popolazione, a servirsi dei saperi presenti nel territorio e ad individuare per tempo eventuali ostacoli che si frappongono all’attuazione dei loro progetti.

Attraverso un coinvolgimento diretto si condividono le decisioni e si migliora qualitativamente anche la comunicazione con i cittadini, un processo che può rafforzare il rapporto di fiducia con le istituzioni e, perché no, risvegliare anche interesse per la politica e per il sistema democratico.

Per dare forma e sostanza a questo processo, è necessaria non solo la disponibilità dei soggetti interessati ma anche un’adeguata cornice normativa. Penso, ad esempio, a varie esperienza di gestione condivisa dei beni comuni urbani o ai vari Regolamenti tra cittadini e Comuni, adottati da molte amministrazioni pubbliche in Italia.

Definire in modo puntuale il “patto di collaborazione” - che si sviluppa attorno al concetto di gestione del bene pubblico - implica anche nuove responsabilità non solo per il policy maker (o amministratore della cosa pubblica) ma anche per il cittadino.

In questo senso il bilancio partecipativo rappresenta un chiaro esempio di coinvolgimento diretto alla vita politica della propria città, una procedura che consiste nell’assegnare una quota di bilancio dell’Ente locale alla gestione diretta dei cittadini, a cui viene data la possibilità di interagire direttamente con l’Amministrazione. E questo, dopo un anno di pandemia, diventa ancora più necessario.

In sintesi, l’amministratore, l’eletto, il rappresentante deve porsi al “servizio di una comunità”, deve interpretarne i bisogni e fare sintesi degli interessi collettivi.

È compito di un’Amministrazione promuovere l’innovazione sociale, attivare connessioni tra le diverse risorse della società, non solo per creare materialmente servizi ma anche per facilitare legami sociali e forme inedite di collaborazione civica, anche attraverso piattaforme e ambienti digitali.

Per non alimentare un confusionismo sociale, è necessario quindi che la partecipazione sia ben strutturata. In altre parole, per essere “cittadini attivi” bisogna prima informarsi, poi formarsi e quindi partecipare. Occorre, cioè, condividere la conoscenza, “fare comunità” e verificare se nel proprio territorio, quartiere, scuola, palazzo ecc.… è possibile realizzare una proposta o un’iniziativa.

È solo attraverso l’unione di questi elementi che possiamo creare una partecipazione effettiva e ottenere risultati che sono il frutto di una sintesi e di una elaborazione collettiva; una dinamica che, grazie agli strumenti e alle tecnologie digitali, è possibile migliorare ancora di più.

A tal proposito è importante ribadire che l’uso di internet può facilitare molto queste dinamiche perché può consentire ai cittadini di esprimere in maniera diretta e rapida le proprie opinioni senza bisogno di prendere parte fisicamente ad un classico evento in presenza e quindi senza soggiacere ai relativi vincoli temporali e logistici.

Il ricorso a tecnologie digitali comporta, tuttavia, anche l’osservanza di una serie di requisiti specifici come, ad esempio, le necessarie conoscenze o, semplicemente, un adeguato collegamento alla rete, tutti elementi che possono creare disuguaglianze.

Ecco perché le modalità e gli strumenti di questo processo partecipativo devono essere ibridi, complementari e, soprattutto devono tener conto di una pluralità di fattori.

Certo, non è facile attivare questo processo ma i risultati ci sono e la qualità della vita, oltre che della politica, può cambiare notevolmente.

Partiamo da un esempio che riguarda tutti, indistintamente, oltre i colori politici.

Mi riferisco al contributo economico che la Regione Lazio ha concesso al Comune di Colleferro per un intervento di restyling per la “piazza in memoria di Willy”.

Questa futura opera, oltre a ricordare il grande esempio di generosità, altruismo e senso civico del giovane Willy Monteiro Duarte, deve manifestare il sentimento più profondo di un’intera comunità. Ecco perché bisogna ricercare il più vasto coinvolgimento dei cittadini - e soprattutto dei professionisti del settore - lanciando un concorso pubblico di idee. Perché interpretare un sentimento, o un dolore collettivo, è l’unico modo per omaggiare questo ragazzo e rendere il ricordo eterno.

Quindi il mio appello è quello di archiviare una fredda delibera di Consiglio comunale e pubblicare al più presto un bando/concorso di idee affinché tutti i cittadini possano non solo esprimere liberamente le loro proposte ma anche dare un senso alla partecipazione democratica.

Del resto, come sosteneva anche Don Lorenzo Milani, “fare politica” vuol dire trovare soluzioni comuni a problemi comuni, vuol dire, insomma, condividere, includere, “sortirne insieme”. L’alternativa si chiama solo “egoismo” e si traduce in azioni che tendono ad escludere e che, nel lungo periodo, creano solo distanza, diffidenza e frustrazione.

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