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Tra sette anni la Cina potrebbe avere l’unica stazione spaziale in orbita

Si chiamerà Tiangong che significa “palazzo celeste”: serviranno almeno dieci missioni per assemblarla.

Nell’aprile scorso la Cina ha lanciato in orbita con successo la prima sezione della sua stazione spaziale. Il modulo centrale Tianhe, ha fatto sapere l’agenzia spaziale di Pechino Cmsa, ha effettuato ieri tutti i controlli di rito e si prepara ora ad agganciare l’astronave cargo Tianzhou-2, che da domenica si trova in rampa di lancio di Wenchang, sull’isola di Hainan, assieme al razzo vettore da 14 tonnellate Lunga Marcia-7 Y3. Si tratta di un’ulteriore conferma delle forti ambizioni aerospaziali della Repubblica popolare, che nel 2019 ha raggiunto il risultato storico di portare il rover Chang’e sulla faccia nascosta della Luna e nei giorni scorsi è stato il terzo Paese a raggiungere Marte (in questo caso, con il rover Zhurong). La stazione spaziale cinese si chiamerà Tiangong, che significa “palazzo celeste”, e per assemblarla serviranno almeno 10 missioni. Una volta completata, dovrebbe restare nella bassa orbita terrestre per più di 15 anni. E, soprattutto, con la possibile dismissione della Stazione spaziale internazionale (Iss) dopo il 2028, potrebbe consentire alla Cina di avere tra meno di dieci anni le chiavi dell’unico avamposto umano nell’orbita terrestre. Una prospettiva che ha già fatto risuonare un campanello di allarme a Washington, anche perché le funzioni della Stazione spaziale cinese non sono ancora state rese note ufficialmente. Alcuni analisti ritengono che un monopolio della Cina nell’orbita terrestre costituirebbe una minaccia alla sicurezza globale, poiché i moduli scientifici possono essere facilmente convertiti per propositi militari e utilizzati per attività di spionaggio. La Cina ha già dichiarato di voler aprire la sua Tiangong a equipaggi stranieri e a progetti scientifici internazionali, ma deciderà inevitabilmente in autonomia chi avrà accesso alla piattaforma e quale uso se ne farà. Il progetto Tiangong, del resto, nasce su basi profondamente diverse rispetto a quello che nel 2000, in un’epoca di distensione post-Guerra fredda, portò in orbita terrestre bassa la Stazione spaziale internazionale, cui contribuirono cinque diverse agenzie spaziali: la statunitense Nasa, la russa Rka, l’europea Esa, la giapponese Jaxa e la canadese Csa-Asc. Per questo, in un quadro di crescente rivalità su ogni fronte, gli Stati Uniti si stanno già attivando per restare al passo delle ambizioni cinesi nello spazio. L’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump ha attivato nel 2019 la nuova Forza spaziale degli Stati Uniti (Ussf), elevata al rango di forza armata e responsabile di tutte le operazioni spaziali e nel cyberspazio, dei sistemi di lancio e dei suoi satelliti. Il motto, non a caso, è “always above”, “sempre al di sopra”. La Nasa ha poi anticipato la Cina su Marte con il rover Perseverance, atterrato sul Pianeta rosso il 18 febbraio del 2021. E non più di due settimane fa ha colto l’occasione per criticare aspramente la controparte cinese per la gestione del rientro incontrollato sulla Terra del razzo Lunga marcia 5B: “I Paesi che viaggiano nello spazio dovrebbero minimizzare i rischi per la sicurezza di persone e proprietà costituiti dal rientro di oggetti spaziali, massimizzando la trasparenza riguardo tali operazione”, ha dichiarato in quella circostanza l’amministratore della Nasa Bill Nelson in un comunicato. “La Cina – ha aggiunto Nelson – ha mancato di rispettare gli standard di responsabilità”. La vera novità degli ultimi tempi, tuttavia, è costituita dalla tendenza degli Stati Uniti ad affidarsi a operatori privati come la Space X di Elon Musk, naturalmente sostenute da ingenti fondi federali. Si va dall’habitat spaziale gonfiabile realizzato da Bigelow Aerospace al progetto di Axiom (sostenuto anche dall’Agenzia spaziale italiana) di costruire la prima stazione spaziale commerciale della storia. Un’altra azienda che ha manifestato interesse alla realizzazione di una stazione spaziale è Blue Origin, fondata dal proprietario di Amazon, Jeff Bezos. L’idea più realistica, al momento, appare quella di estendere ulteriormente la vita della Iss. La data di dismissione della Stazione spaziale internazionale è in realtà oggetto di dibattito tra gli esperti. “Sebbene la Iss goda attualmente di un’approvazione a operare fino al dicembre del 2024, da un punto di vista tecnico abbiamo autorizzato la stazione a restare in orbita fino alla fine del 2028”, ha fatto sapere di recente la Nasa, secondo cui “non sono state identificate ragioni che precluderebbero l’estensione del periodo di vita della stazione oltre il 2028, se necessario”. Tuttavia, la struttura si sta usurando ed è a costante rischio di impatto con detriti spaziali e micrometeoriti. Prima o poi, insomma, gli Stati Uniti e i loro partner saranno chiamati a muoversi per sostituire la loro stazione spaziale.



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