SEGNI - L’assetto viario di una qualsiasi città, tanto più se parliamo di un medio-piccolo paese, influisce inevitabilmente sulla qualità della vita della comunità, influendo in maniera determinante sulle condizioni di sviluppo economico, demografico e financo sociale della comunità.
L’esempio storico più evidente per tutti è l’impero Romano, che mai sarebbe divenuto tale senza la straordinaria rete di vie consolari collegate alla capitale, ma anche grazie all’assetto viario interno alle città di fondazione, in grado di assicurare il movimento fluido delle persone e il trasporto delle merci da un punto a qualsiasi altro interno alla città.
Quei tempi certo non sono più i nostri tempi, le esigenze odierne sono evidentemente diverse, ma le finalità di un adeguato assetto viario cittadino sono le medesime, oggi come duemila anni fa. Una rete commerciale degna di questo nome, la costruisci se i criteri urbanistici sono stati tali da consentire a chi vuole intraprendere una qualsiasi attività, di disporre di locali idonei ad aprire un esercizio di vendita o una manifattura artigianale.
Ove queste condizioni non sussistono, la città perde nel medio lungo periodo la propria base demografica, si impoverisce, diventa sempre meno attrattiva dal punto di vista turistico, perde consistenza economica e capacità di investimento, vede domanda ed offerta arretrare quotidianamente fino ad esaurirsi, relegando se stessa a vivere una condizione di ordinaria amministrazione, fino a ridursi a mero centro dormitorio per alcune migliaia di sopravvissuti.
Mi pare di avere tracciato la storia della nostra Segni, che a noi piace continuare a definire “Perla dei Monti Lepini”, ma di che cosa in verità? pura vanagloria del passato, oggi siamo una candela dalla luce fioca, che rischia di spegnersi al primo soffio di vento.
La Città che fu è ormai declinata a paese, Ufficio del Registro, Catasto Erariale, Tribunale, Sezione detentiva penale, Seminario e Sede Vescovile, Istituti scolastici superiori, Istituto di credito tra i più antichi del Lazio, tutte istituzioni che non abitano più da anni a Segni, che ieri poteva definirsi città, mentre oggi è solo, appunto, paese.
Il perché di tutto questo è evidente, la Segni collinare non è più baricentrica come un tempo e quella che avrebbe dovuto svilupparsi a valle, vogliamo chiamarla Colleferro?, non è stata capace di surrogarla e anch’essa oggi vive problemi identitari di non poco conto, tanto che altre realtà viciniori in crescita da anni, stanno seriamente mettendo a rischio la sua capacità di guida economico-sociale del comprensorio.
Segni però può ancora salvarsi dall’oblio definitivo, preservando se stessa dal decadimento che l’ha aggredita da alcuni decenni a questa parte.
Glielo consente la sua posizione strategica a cavallo di tre territori distinti, quello Romano di appartenenza e i due confinanti di Frosinone e Latina.
Può vantare millenni di storia e cultura, oltre che una quantità innumerevole di beni monumentali, pressoché unici nel panorama territoriale dell’area di riferimento. Uno studio di livello Europeo sufficientemente qualificato, retrodata la costruzione delle mura poligonali a circa 5 mila anni fa, ben prima quindi della nascita di Roma, riscrivendo completamente la storiografia classica, che al massimo ci vedeva coevi con la città eterna, o addirittura ad essa successivi, fondati urbanisticamente dalle milizie di Tarquinio in avanscoperta verso i territori a sud di Roma.
Non occorre essere studiosi di archeologia per non accorgersi che a Roma nulla somiglia nemmeno lontanamente alle mura poligonali con inserzioni a secco, che solo Segni, Cori ed Alatri vantano nel territorio Latino del medio basso Lazio.
Segni però deve agire in fretta, perché le altre due cittadine consorelle citate, non hanno subito lo stesso nostro fulmineo decadimento, hanno saputo viceversa, soprattutto Alatri, ampliare anche la propria base demografica, ritagliandosi uno spazio di riferimento economico-storico-turistico e culturale nel territorio di appartenenza.
Quando attraverso Cori in macchina, mi inorgoglisco guardando la toponomastica della loro piazza principale di aggregazione, Piazza Segnina, così si chiama, segno della considerazione che a quelle latitudini si nutriva nei confronti della nostra città. Molti di noi invece, Segnini nati a Segni, ancora aspettano di vedere onorato per come merita Giulio Andreotti, figlio anche lui della nostra terra.
Tornando al merito della questione viabilità, aggiungo soltanto che Segni potrà avere il suo riscatto e registrare anche una buona dose di crescita demografica, quindi ricchezza, se concentra tutti i suoi sforzi amministrativi nel decennio a venire, realizzando le opere infrastrutturali finora mancanti e che, ne sono convinto, sono state la causa principale del suo oggettivo decadimento.
Un vero piano Parcheggio non può più essere eluso, credo che Segni sia la sola cittadina del territorio comprensoriale più ampio, a non avere aree di sosta adeguate alle necessità reali. Infatti, da noi si vedono auto in sosta ovunque, sui sagrati delle Chiese, in ogni angolo o piazzetta del centro storico, ivi compresa la cattedrale. Tutte le nicchie possibili immaginabili del centro storico fungono da area di sosta, alcune davvero fantasiose devo dire e con indiscussa abilità di guida da parte di chi riesce ad infilarci la propria auto in quegli anfratti, magari occludendo l’accesso alla cantina altrui, però.
Paliano, per citare un paese a noi vicino e abbastanza paragonabile con il nostro, di parcheggi coperti multipiano ne ha realizzati tre, noi invece fatichiamo perfino ad avvicinarci con l’auto al cimitero nei giorni di maggiore affluenza durante la ricorrenza dei morti. O non è forse vero che nelle occasioni di maggiore richiamo turistico la corsa al parcheggio è affannosa quanto una maratona? cosa accadrebbe se i proprietari dei fondi aperti come parcheggio occasionale sul fango, nei giorni della sagra del marrone, opponessero il proprio diniego a rendere fruibile per tutti il prato di proprietà ? sarebbe la catastrofe e gli organizzatori con ogni probabilità dovrebbero annullare l’evento.
Segni, ma deve farlo in fretta, come vado dicendo da decenni, ha assoluta necessità di collegare Via Gavignano, che altrimenti è un imbuto chiuso, con Viale Ungheria. Facendolo, aggiungerebbe una possibilità in più di uscita/accesso da e per il centro storico, utilissima in caso di manifestazioni organizzate lungo il Corso, che potrebbe tranquillamente rimanere tutto chiuso al traffico.
Analogo collegamento andrebbe realizzato tra Via Porta Saracena e Via Traiana, conseguendo peraltro in questo caso un duplice vantaggio.
A quello viario ordinario infatti, si aggiungerebbe quello indiretto di integrazione al tessuto urbano del dimenticato “Lago della Fontana”, che tanto ha rappresentato nei secoli per la nostra comunità. Quell’ambito, un tempo frequentato da tutti, merita di essere ascritto nell’elenco dei monumenti importanti della città, avvicinare ad esso il transito viario di un numero seppure limitato di veicoli e quindi di persone, significherebbe monitorarlo indirettamente e preservarlo dagli atti di vandalismo, ma anche abituare lo sguardo alla sua vista e financo a frequentarlo, considerata anche la sua vicinanza al Ninfeo Miutius e alla Porta Saracena.
Queste opere primarie donerebbero nuova linfa al centro storico e quindi alla città, diversamente il suo spopolamento e quindi la morte civica sarà inesorabile. Personalmente non auspico a Segni un futuro analogo a quello di Civita di Bagnoregio, o dei tanti paesi abbandonati nell’entroterra semimontano dello stivale.
Per finire, rivolgo a questa Amministrazione, come ho fatto alle ultime quattro che l’hanno preceduta, una raccomandazione, una quasi supplica direi. Oggi la casa Comunale può essere raggiunta soltanto percorrendo in promiscuità, pedoni ed automobili, il tratto di strada carrabile che accede da Porta Gemina. Quella strada è stretta, i pedoni devono schiacciarsi sui muri delle case quando incrociano le automobili in transito, quando piove poi con gli ombrelli aperti il disagio e le difficoltà si amplificano. Forse ci pensiamo poco e niente, ma abbiamo la fortuna di avere il giardino “deglio spassiggio”, che si presterebbe mirabilmente a fungere da accesso pedonale al palazzo del Comune, basterebbe soltanto realizzare una pregevole scalinata in ferro battuto con gradini trasparenti per ammirare le mura poligonali, tra il monumento ai caduti e il sovrastante slargo di accesso all’edificio.
Sarebbe un intervento utile ed esteticamente pregevole, facendolo daremmo al Comune una opzione di accesso pedonale tramite l’attraversamento di un giardino, cosa desiderare di più?
Lo predico da anni e semmai fossi stato Sindaco di Segni, quello sarebbe stato il primo intervento che avrei posto in essere, anche dichiarando guerra alla sovrintendenza dei beni archeologici, nel caso avesse inteso opporsi scioccamente a questo progetto.
Il secondo intervento che avrei compiuto sarebbe stato quello di ampliare e riordinare l’accesso da via Rocca Massima verso gli impianti sportivi comunali. Per allargare quella strada e darle la connotazione che merita di avere, basterebbe anche solo rimuovere quelle delimitazioni dei confini privati semidistrutte che hanno invaso a carreggiata.
Il terzo impegno sarebbe stato quello di costruire una “Municipalità Comprensoriale” con le figlie Colleferro e Gavignano, perché sono quelle le realtà più integrate con la nostra storia ultramillenaria, lavorare divise non ha giovato a nessuna delle tre comunità. Sicuramente ha nociuto a Segni e a Colleferro, che da figlia ha ereditato poco o nulla dei lasciti amministrativi perduti da sua madre. Alludo naturalmente agli Uffici Pubblici, sia civili che ecclesiastici, che Segni ha ormai irrimediabilmente perduto e che Colleferro non ha saputo acquisire.
Chiedo al Sindaco Moffa e alla sua Giunta di lavorare ventre a terra per cercare di opporsi al declino e marcare la rinascita Segnina.
Ho la massima fiducia che possano riuscire a farlo, da Segnino è il riscatto che aspetto di festeggiare, contro un destino amaro, che forse la mano dell’uomo può non avere scientemente agevolato, ma cui certo non vi si è opposta con il fare di chi lotta tra la vita e la morte.
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