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A me gli occhi! Nuove tecniche di chirurgia. Fanelli: Ecco come preparo gli interventi


Il prof. Roberto Fanelli

Quando ha scoperto di voler diventare un oculista?

Sono sempre stato incline verso lo studio delle materie chirurgiche.

Una volta laureato, conobbi a Modena il Professor Moretti che dirigeva l’ospedale di San Giovanni Rotondo (FG); lui mi incitò dicendomi che sarei diventato un buon oculista e mi invitò a seguirlo così, mi iscrissi alla specializzazione nella città modenese. .

Qual è stata la molla che le è scattata nell’affrontare un percorso certamente non semplice, quale quello della chirurgia oculare?

Durante il corso di specializzazione, mi sono reso conto che mi interessava maggiormente l’aspetto chirurgico rispetto a quello clinico, “quasi da ricerca.” Mi capitava, talvolta, di discutere con qualche docente che mi rimproverava di non essere “troppo scolastico” ma, gli scolasticismi non mi hanno mai interessato: ero attirato, piuttosto, dalla parte pratica di qualsiasi cosa io facessi, nella mia “manovalanza chirurgica” ho optato per determinati indirizzi, poi con il Professor Moretti vinsi il concorso a San Giovanni Rotondo, risultando il primo tra cento candidati: ero incredulo è felice, durante il percorso mi impegnavo molto e, insieme al Professore e ad alcuni colleghi apportai delle metodiche innovative con le quali davamo nuovi orizzonti alla chirurgia come il famoso “Laser yag” che, nel 1983 avevamo solo nell’ospedale di San Giovanni Rotondo.

Personalmente ho spinto, con il mio direttore affinché mettessimo le prime lentine artificiali, premevo per gli interventi avanguardistici, successivamente diventai anche trapiantista, sempre nel suddetto ospedale pugliese e scoprii che mi piaceva molto anche questa branca chirurgica.

Quando poi cominciammo ad utilizzare il laser, lasciai l’ospedale pugliese poiché, alcune metodiche dovevano essere condivise con l’amministrazione, io, invece, ricercavo metodiche nuove ed indipendenti da fattori amministrativi e mi sono creato i miei spazi in varie cliniche: prima in un mio centro oculistico, poi in una clinica a Mirabella Eclano (AV), infine sono approdato a Roma dove ho riscontrato un personale molto preparato ed empatico, sempre all’altezza dei propri compiti: ho lavorato in cliniche dotate di grandi apparati strumentali nonché umani: dal personale medico, infermieristico e paramedico che non ha nulla da invidiare alle maggiori università americane, che ho comunque frequentato.

Ho girato molto, sono stato anche in Spagna e quando ho ritenuto che i tempi erano maturi , mi sono assunto la responsabilità di intervenire su casi estremi di chirurgia oculistica.

L’ultimo intervento?

L’ultimo intervento l’ho eseguito su una ragazza di 18 anni, affetta da sindrome di Down. Lei aveva dei problemi visivi che i genitori, attenti e amorevoli, hanno fatto curare presso alcune strutture oculistiche, purtroppo l’epilogo non è stato positivo in quanto la ragazza ha avuto un “bulbo entisi” (un occhio completamente secco); il bulbo oculare era stato sottoposto a manipolazioni non andate a buon fine (l’occhio in tisi, perde la capacità visiva, strutturale e organica: è come un pallone di 50 cm che diventa di 5 cm.).

Questo l’ha portata a perdere la vista dell’occhio destro.

L’occhio sinistro, invece, aveva una bruttissima cornea e, dietro di essa, era visibile un altro trapianto subito precedentemente a quello effettuato da noi, nonché una notevole cataratta che, però, è passata in secondo piano. Noi medici ci siamo consultati e quando abbiamo capito che c’era una possibilità di recupero abbiamo operato. Gli esiti dell’intervento sono dimostrati e dimostrabili attraverso i reperti in video che abbiamo in possesso e al “follow up”. Dietro la cornea, durante l’intervento, diretto molto sapientemente dal Professor Pocobelli che, spinto da grande umanità non ha voluto compensi perché, in questi casi, i compensi passano in secondo ordine.

Durante l’operazione chirurgica, dopo che abbiamo asportato la cornea abbiamo dovuto lavorare sulla grande cataratta , la quale, spingendo in avanti, creava un glaucoma ulteriore e rendeva l’occhio di dimensioni molto voluminose. Dopo aver tolto la cataratta si è subito palesato un miglioramento, abbiamo tolto il mezzo di refrazione, opacizzato completamente e la cornea, a quattro giorni dall’intervento è trasparente, il percorso post operatorio è positivo. L’altra difficoltà è stata nel reperire le cornee perché, forse, ancora non c’è la cultura di donare gli organi; da Roma, infatti, siamo stati costretti a chiedere le cornee che ci sono arrivate da Lucca.

La ragazza ,che prima dell’intervento interagiva con il mondo attraverso un telefonino che le suggeriva solo il cartone animato di Peppa Pig, dopo l’intervento, il personaggio del cartone oltre ad essere udibile cominciava anche ad essere visibile.

L’abbraccio del padre ha rappresentato una novità emozionante per lei, perché ha potuto cominciare a vedere le sue sembianze. L’atteggiamento della giovane verso la vita è cambiato in meglio e, anche per noi medici che l’abbiamo operata, oltre al fattore medico c’è stato anche il fattore sentimentale ed umano.

In questi anni c’è stato un aumento nella popolazione, anche giovane, della patologia miopica. Come spiega questa insorgenza massiva?

La popolazione si è evoluta rispetto al passato: in base ad una mia interpretazione le generazioni moderne sono cambiate somaticamente.

In passato, infatti, l’altezza media di un uomo adulto era di circa metri 1,60/1,65, oggi l’altezza media è di circa metri 1,75.

C’è sato un accrescimento delle dimensioni degli organi e, siccome l’occhio si poggia nelle ossa craniche, nella sfera orbitaria, questa, subendo le modifiche in ampiezza, più alto è il soggetto e più ampia è la sfera orbitaria; l’occhio, allora, trova il suo accomodamento allungandosi e quindi vede di meno. Ovviamente alla patologia miopica contribuisce anche la componente genetica e l’ereditarietà.

Quali sono le tecniche innovative della chirurgia oculistica?

C’è sempre il superamento di una nuova tecnica con un’altra nuovissima. In realtà le innovazioni si basano sulla primarietà che si avvicenda: come un’automobile che, nonostante sia iper accessoriata è comunque formata da quattro ruote, uno sterzo, il motore, i freni ed altro; pertanto, anche le altre macchine si sono evolute in tal senso mantenendo la struttura basilare; questo succede anche nell’oculistica.

I microscopi operatori sono attualmente di uso comune ma, quando comparvero nelle sale operatorie per la prima volta, fecero scalpore.

La biotecnologia ha ingranato la quinta perché ci sono degli interessi economici di grandi entità poiché, i costi di gestione per l’acquisto delle strumentazioni sono molto elevati; poi sono subentrati i laser come il “summit” per la miopia.

Quando lavoravo ad Avellino, io e la mia equipe, fummo i primi ad avere il laser, per questo fui criticato dal personale di alcune strutture: come se facessi una cosa al di fuori della legge, mentre oggi, tutto è legato a queste metodiche.

In seguito si è passati dai laser “eccimeri” , ai laser “forum secondo” e a quelli di ultimissima generazione che vengono impiegati attualmente.

È chiaro, che ogni chirurgo prediliga alcuni strumenti piuttosto che altri, ma è altrettanto importante saper utilizzare più strumenti possibili, questo potrebbe essere il segreto del successo.

Il progresso permette di migliorare la qualità della vita e permette di ottenere tante soddisfazioni. Io posso ritenermi fortunato perché ho sempre avuto in dotazione attrezzature di ultima generazione, attraverso le quali ho potuto operare tanti giovani che così ,hanno avuto la possibilità di partecipare a concorsi per i quali bisognava essere oculisticamente idonei e l’impiego di strumentistica innovativa, a supporto degli interventi, ha reso possibile il raggiungimento di quella perfezione visiva utile al superamento delle prove concorsuali. I nostri interventi vengono visti e perfino valutati dalle commissioni preposte dei vari istituti esaminanti, e fino ad oggi non si è presentato alcun problema, anzi...si sono complimentati.

E’ difficile intervenire sulle patologie retiniche?

Certamente! È difficile intervenire sulle patologie retiniche! Noi abbiamo un maestro a Roma che è anche il presidente nazionale della chirurgia vitroretinica: il Professor Marco Pileri, lui è uno studioso delle patologie retiniche e vitroretiniche e, tanto la retina che la vitroretina per lui non hanno segreti.

Come si prepara e cosa prova prima di entrare in sala operatoria?

Prima di entrare in sala operatoria sgombro la mia mente.

Tutti gli interventi sono impegnativi, il chirurgo ha la consapevolezza di assolvere il proprio compito e di gestire le complicanze che si possono verificare.

Il miglior chirurgo è colui che risolve il problema. L’emozione in sala operatoria esiste nei primi momenti storici, poi diventa la quotidianità.

Occorre studiare il caso clinico prima di intervenire, poi si fanno predisporre i ferri e le strumentazioni particolari per le eventuali complicanze. Il chirurgo non deve essere emozionato; deve essere attento.


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