“Puma 200” fu il primo robot impiegato in neurochirurgia nel 1985. Nel 1998 fu la volta del “da Vinci”, utilizzato ancora oggi nella chirurgia mininvasiva
A metà degli anni ’80 del secolo scorso nel campo della medicina e della chirurgia ai bisturi e alle suturatrici si affiancarono soluzioni sempre più tecnologiche e innovative. Nel 1985 fu la volta di “Puma 200”, il primo sistema di automazione impiegato in neurochirurgia.
All’origine valeva la seguente equazione: robot=chirurghi da guerra
Agli albori dell’entrata dei robot nella sala operatoria, questi dovevano assolvere alla funzione di “chirurghi da guerra”.
Difatti, questi strumenti erano stati pensati e sperimentati dai medici dei vari eserciti affinché operassero negli ospedali da campo, ovvero in contesti nei quali era difficile trovare l’esperto “umano” di turno.
La tecnologia automatizzata era stata inizialmente concepita per essere pilotata a distanza da un chirurgo “in carne ed ossa”, localizzato in una posizione non ostile e sicura dagli eventuali attacchi armati e dai bombardamenti.
Come è cambiata la chirurgia robotica nel nostro Paese grazie al “da Vinci”
Dai teatri di guerra, gli studiosi di tecnologia e di chirurgia hanno iniziato a capire la funzione essenziale dei robot-chirurghi anche in contesti civili e stabili.
In queste situazioni e negli anni ’80-’90 le operazioni a distanza non erano molto diffuse a causa di diffuse inesattezze nella trasmissione degli input da remoto.
Avanzamenti in questo settore si ebbero grazie al contributo di Aldo Cerruti, fondatore di ab medica, azienda specializzata nell’innovazione sanitaria la quale ha come core business la robotica, la telemedicina e la creazione e distribuzione di nuove tecnologie medicali.
Un robot che diede un forte impulso non solamente nella chirurgia nazionale ma anche in quella internazionale fu il “da Vinci”, impiegato per la prima volta nel 1998 a Bruxelles.
Il da Vinci fu il primo robot ad essere stato approvato per finalità cliniche.
Franca Melfi, docente di Chirurgia Toracica all’Università di Pisa e direttrice del Centro Robotico Multidisciplinare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, ricorda benissimo “quel famoso 1998”, quando il da Vinci venne utilizzato per un intervento di bypass aorto-coronarico.
Il da Vinci poteva e può tuttora essere impiegato in cardiochirurgia, settore che necessita di massima precisione e che richiede interventi in piccoli spazi.
Tutto ciò può essere garantito dal da Vinci, tecnologia che assicura anche un’efficiente visione del campo operatorio.
Questo strumento ha fornito una forte accelerata alla chirurgia laparoscopica, nella misura in cui ha contribuito ad intervenire con un minor trauma sui tessuti grazie alle telecamere che consentono al “chirurgo-umano” di guardare il campo operatorio nello schermo della console e di guidare a distanza, attraverso un joystick, i bracci robotici.
Successivamente, la Food and Drug Administration approvò il da Vinci per l’utilizzo nelle cliniche e a Pisa si optò per un investimento orientato a portare questa “ventata tecnologica” nel Policlinico Universitario. Allo stato attuale dei fatti, il da Vinci è ancora considerato la soluzione ottimale nel campo della chirurgia mininvasiva.
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