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Deficit di cultura politica


È incredibile. Siamo inondati da conflitti. Micce esplosive infiammano territori, seminano lutti, scompaginano luoghi sacri e meno sacri, fanno strame di carne umana, senza pietà per donne, bambini, anziani.

Guerre di religione scatenate nel nome dell’unico Dio, con una violenza brutale, orripilante, tra mannaie che squartano membra umane e droni che silenziosi si abbattono come kamikaze su ospedali, rifugi di terroristi, colonne di profughi in fuga, gente usata come scudi-umani.

E qui, da noi, nell’Italietta che fatica a sprovincializzarsi, si perde tempo a gridare al lupo a lupo “fascista” come fossimo agli albori del 1922, si prende spunto da un fatto di cronaca, quello della notte di Capodanno in un minuscolo paesello del biellese, reso infausto da un parlamentare pistolero, non si sa bene se più brillo che imbecille (o, forse, entrambe le cose insieme) per aprire un processo ad una intera classe dirigente, si pasteggia con la tiritera delle candidature europee, immaginando improbabili terremoti sul versante del centrodestra e impalpabili riscatti sul fronte di una sinistra in crisi di idee, oltre che in balia del nulla incarnato da una segreteria che fa acqua da tutte le parti; ci si balocca con la tela non si sa come, né quando il sottosegretario Sgarbi abbia trafugato da un oscuro castello per farne cimelio di mostre (materia di inquirenti e di giudici, soprattutto).

E potremmo continuare ancora con l’elenco delle “nefandezze” che entrano come travi nel sistema mediatico e diventano corpose essenze di poderose telenovele e di altrettanto virulenti attacchi nel circuito politico.

Intendiamoci, non sottovalutiamo né minimizziamo nulla di quanto richiamato.

A prescindere dalle opinioni che ognuno si è fatto, quel che colpisce è l’evidente sproporzione dei fatti, la mancanza di misura nella gestione degli avvenimenti sotto il profilo mediatico, la spasmodica ossessione di trasformare ogni cosa che altrove troverebbe spazio in un quarto di pagina interna di un tabloid e appena in una news di marginale richiamo nei rotocalchi televisivi, in un colossale affare di Stato. Peggio: in un tormentone di talk show assurti a teatrino stucchevole, trappola infernale per politici poco avvezzi al dialogo e poco educati al confronto civile, come si converrebbe a chi è stato chiamato a rappresentarci in Parlamento. Tant’è. E’ quel che dispensa questa “Italietta” fatta di furbastri e di quelli che Montanelli chiamava “pennivendoli”, per indicare una categoria di guitti al servizio del Potere e che ora più che servi del potere appaiono succubi del mainstream, affiliati in servizio permanete di quel “politicamente corretto” che è la faccia ambigua e scolorita del pensiero unico dominante.

Ci scusiamo con i lettori se usiamo toni così esacerbati. Ma è davvero colmo il vaso della sopportazione. E crediamo che quel vaso sia colmo anche per la maggior parte degli italiani. Prova ne sia il crescente distacco dalla politica, la fuga dalle urne, la dimensione di un astensionismo che ormai sta rendendo sempre più fragile la stessa democrazia, oltre a creare un solco profondo nella stessa rappresentanza.

Ecco, di questo e intorno a questi argomenti sarebbe interessante animare un dibattito, una discussione, un minimo di riflessione per capire se ci sono spazi entro cui articolare una idea di partecipazione, di impegno civile e politico che vada oltre il perimetro ormai congelato del partitismo. Oltre gli schemi e i paradigmi in cui appare ristretto il campo politico.

Scontiamo evidentemente un deficit di cultura politica. Per porvi rimedio non bastano né le prefiche né, tantomeno, estemporanee intemerate.

Bisogna rimettere ordine o meglio realizzare un nuovo ordine nella gerarchia dei valori da condividere e, allo stesso tempo, superare le ambiguità dei pregiudizi che sovrintendono narrazioni fuorvianti, manipolatrici di verità, ad uso e consumo di fazioni, generatrici di confusione.

Ci troviamo nel cuore di quella “cultura orizzontale” evocata nel titolo di un pamphlet scritto a quattro mani da Giovanni Solimene e Giorgio Zanchini. Una riflessione che parte da un dato inequivocabile: non esistono più filtri che nella tradizione trasmettevano saperi e informazioni, dunque è stato messo in discussione il metodo con cui diffondere le conoscenze. Si dovrebbe invertire la rotta.

Fuggire da tutto ciò che continua a far coincidere la nozione di conoscenza con questa linea della orizzontalità.

Tema urgente, ma di non facile soluzione. Eppure, questo è il punto centrale. Intendiamoci, nessuno vuol negare la libertà di opinione né il diritto che ognuno ha di formarsene una ricorrendo a qualsiasi strumento di informazione, anche i più originali e controcorrente.

Ma certo non si può confondere autorità con autorevolezza. Né si può sfuggire al fatto che le competenze acquisite determinano una gerarchia di voci all’interno della quale selezionare la più affidabile, la più credibile, la più efficace.

Scrive Giuseppe Lupo ne La modernità malintesa, volume recensito su queste pagine non molto tempo fa, che nella disastrosa parabola che contraddistingue il destino degli intellettuali nel secolo passato e in questo scorcio di nuovo millennio – da maestri mancati a inutili cortigiani, da voci del dissenso ad altoparlanti muti – si manifestano sia i caratteri di un insuccesso che riguarda una casta di individui sia i segnali di un mondo a una sola dimensione; un minestrone di cultura che legittima la regola secondo cui è affidabile la quantità, non la qualità.

Al contrario, per uscire da questa “orizzontalità” abbiamo bisogno di qualità, di tanta qualità, in politica come nel mondo degli intellettuali. La frammentazione delle opinioni legate all’uso sempre più esteso dei social media ha provocato anche sui politici un effetto corrosivo nel senso che questi ultimi possono dialogare direttamente con i loro elettori al di fuori di qualsiasi mediazione, ma anche i cittadini elettori possono esprimere la loro opinione su qualsiasi argomento e senza alcun filtro. La logica dei social network favorisce forme di partecipazione al dibattito politico limitate a singoli argomenti, singole issues. L’interesse nei confronti della cosa pubblica non si lega più a una visione del mondo ampia e strutturata, ma si realizza, per dirla con Giorgio Caravale, “attraverso improvvise fiammate di attenzione su singoli temi” (Senza intellettuali). “Ne deriva l’estrema fluidità di un’opinione pubblica non più guidata dall’appartenenza di classe o ideologica, pronta ad orientarsi in un senso o in un altro con grande rapidità. Anche l’intervento pubblico di influencer, attori, cantanti, celebrità dello sport e dello spettacolo, oggi dotati di milioni di followers disposti a seguirne i gusti e i suggerimenti, non si traduce più, come in passato, nel sostegno di un partito politico o di un candidato. Si manifesta piuttosto in esternazioni riferite a singole questioni, generalmente legate ai diritti individuali (come cannabis, eutanasia) o ai temi identitari (etnia, genere, orientamento sessuale), argomenti sui quali è più semplice schierarsi, più facile esprimersi a favore o contro senza approfondire troppo la complessità del tema stesso. La politica Netflix, come è stata recentemente definita, è una politica on demand, una piattaforma dalla quale gli utenti-cittadini-elettori pescano a piacimento gli argomenti di loro immediato interesse, tralasciando il palinsesto generale”.

La politica italiana ha iniziato a fare i conti con l’orizzontalità, la frammentazione e la volubilità del dibattito pubblico odierno. E’ evidente che senza ripensare le forme della partecipazione della società civile al dibattito pubblico e politico, senza il possibile contributo di una intellettualità meno gerarchica ed elitaria, proprio la politica rischia di essere ancor più isolata e marginalizzata. D’altro canto, mancano luoghi e strumenti per consentire agli intellettuali, e non solo a loro, di elaborare idee, svolgendo una funzione critica ma anche costruttiva sui principali temi politici. Oggi, semplicemente, politica e cultura hanno ritenuto di poter fare a meno una dell’altra. Finché non saneremo questa frattura, ci sarà poco da gioire.



 

 

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