Effetto domino.
E’ la reazione a catena che si verifica quando un piccolo cambiamento è in grado di produrne, a propria volta, uno analogo dando origine a una sequenza lineare.
Forse è ancora presto per affermare con certezza che il governo di #MarioDraghi procurerà una sorta di effetto domino nella politica italiana. Ci vorrà del tempo, ovviamente.
Anche se alcuni segnali già si intravedono.
L’arrivo dell’ex governatore della #Bce a #PalazzoChigi certifica, intanto, il fallimento della politica.
Non della Politica tout court. Ma di quella sottospecie di politica che, negli ultimi anni, ha fatto strame di competenza e di esperienza, lasciando campo aperto ad una sistemica mediocrità. Tra populismi tanto al chilo, inebrianti follie di “decrescita felice” e rocambolesche fughe dalla realtà, ci siamo trovati, come Paese, con le classiche pezze al sedere.
Stretti nella morsa di un debito pubblico salito a vette inimmaginabili, assaliti da una pandemia dissanguante, che oltre a enormi lutti ha gettato nella disperazione le famiglie e le imprese, siamo stati risucchiati in un tunnel di cui non si vedeva l’uscita.
Aver sentito Draghi, in Parlamento, pronunciare la parola competenza, diciamolo con franchezza, ci ha sollevato lo spirito. Come balsamo cosparso su ferite aperte.
E poi, vedere i capipartito, la quasi totalità di loro, pronti ad accogliere l’appello del #PresidentedellaRepubblica a mettere da parte divisioni e fazioni nel nome dell’interesse nazionale e dell’emergenza, ci ha, perlomeno, dato la sensazione che potremmo farcela. Che non tutto è perduto. E che, in fondo, abbiamo ancora uno stellone che ci assiste nei momenti più cupi e più grigi della nostra storia.
Ora, è evidente che da solo lo stellone non basta. Per quanto Mario Draghi rappresenti indubbiamente una eccellenza dell’Italia, l’ uomo rispettato (e anche temuto) a livello internazionale, il banchiere che, facendo argine all’ordocapitalismo teutonico, ha salvato l’euro e l’Europa da ben due devastanti crisi finanziarie, il pragmatico interprete delle teorie liberiste o Keynesiane, secondo le circostanze di luogo e di tempo, per quanto la sua personalità complessa e, a volte, enigmatica, si stagli nel panorama italiano ed europeo con caratteristiche tutte sue, indiscutibilmente efficaci, dovremo sperare che, almeno per un po’, nessuno, a destra come a sinistra, gli metta i bastoni fra le gambe.
Insomma, se tregua politica deve esserci, tra forze politiche che fin qui se le sono suonate senza remore, che tregua sia. Senza infingimenti e colpi bassi. Mettendo da parte ogni spirito di rivalsa e interesse di bottega elettorale.
Se, al contrario, i partiti, umiliati ma non domi, dovessero farsi vincere dalla smania competitiva, dall’illusoria foga a issare la bandierina su ogni legge o provvedimento che dir si voglia, allora l’impresa, anche per uno come Mario Draghi, si farebbe impervia.
Dicevamo, all’inizio, dell’effetto domino. Nel discorso alle Camere, il neo presidente del Consiglio ha usato un linguaggio chiaro e senza fronzoli. Ha snocciolato numeri e precisato obiettivi strategici per rimettere in marcia il Paese e combattere il virus venuto dalla Cina. Ha, soprattutto, dato voce alla speranza dei giovani, all’ansia di futuro che anima un mondo in profonda trasformazione, nelle sue forme tecnologiche e digitali, nella sua nuova dimensione civilizzante, negli incalzanti paradigmi in cui si incanala la vita di ognuno, per correggere storture antiche.
Il naufragio di una umanità, la cui fragilità è emersa sulle ali di un pipistrello, può ancora essere evitato se sapremo far tesoro degli errori del passato e considerare la natura nella sua sacralità. La vita stessa, come un bene inalienabile e intangibile.
C’è ancora chi stenta a capire che l’incarico a Mario Draghi, deciso da #SergioMattarella e sottoscritto dalla stragrande maggioranza dei partiti (ad eccezione di chi pensa che, nella “chiamata alle armi” nel momento più grave della Repubblica, dal dopoguerra ad oggi, sia patriottico ritirarsi sull’Aventino), vada oltre un semplice cambio di fase e rappresenti invece una autentica “Rupture” rispetto al passato.
Da questa “Rupture” la politica dovrà ripartire.
Per ridefinire i suoi confini, superare pregiudizi, elaborare modelli inediti di organizzazione e partecipazione. Per offrire linfa alle inaridite radici della cultura. Rivolgendosi agli studenti, il ministro dell’Economia francese, ha esclamato: “Ragazzi, leggete. Gli schermi vi divorano, i libri vi nutrono”. Un monito che vale anche per i politici di casa nostra.
Il metodo Draghi, c’è da augurarselo, forse aiuterà. Se non altro per l’autorevolezza e la credibilità dell’uomo che è chiamato ad un compito arduo: rigenerare e mettere in sicurezza il Paese.
Nel dopo-Draghi, se vorrà riconquistare la fiducia degli italiani, la politica dovrà ripensare se stessa.
Non appaia prematuro parlarne ora.
Alcuni hanno scritto che, all’ombra dell’unità nazionale, potranno cadere vecchi vincoli e se ne potranno creare di nuovi. Sono dinamiche capaci di provocare un generale rimescolamento.
Gli effetti li vedremo alle prossime elezioni.
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