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Estimi catastali, riforma complessa. Chi ci guadagna e chi ci rimette

Ancora non si è spenta l’eco delle rassicuranti parole di Draghi sulla modifica degli estimi catastali, che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti e storcere la bocca a coloro che ancora non si fidano, e tutti si chiedono cosa succederà veramente, nell’immediato e dopo il 2025.

In effetti si sa poco sulla proposta di modifica delle rendite catastali: alcuni parlano di un generico passaggio dal numero di vani ai metri quadrati ma i più informati sanno che la revisione si baserà su un nuovo strumento, il SIT (Sistema integrato del Territorio dell'Agenzia delle Entrate) che dovrà svolgere - in osservanza del provvedimento n. 20143 del 26 gennaio scorso della stessa Agenzia - tutte quelle funzioni relative al catasto, ai servizi geotopocartografici e all'anagrafe immobiliare integrata. In altri termini un’unica piattaforma di dati permetterà la visura e la consultazione di atti e elaborati catastali, regolamentandone le modalità d’accesso, sia presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate che per via telematica; ad essa potranno accedere anche tutti i soggetti privati ma anche le Pubbliche Amministrazioni.

Questo enorme Data Base conterrà gli atti, i valori catastali, gli elaborati, le mappe e le immagini satellitari di oltre 70 milioni di immobili in modo tale da permettere all'Agenzia delle Entrate di assegnare un valore fiscale ad ogni unità, più vicino ai prezzi di mercato e più coerente con il reale valore immobiliare.

Gli esperti ora si chiedono se questo strumento sarà effettivamente in grado di realizzare una più fedele assegnazione agli immobili del valore economico, in particolare nelle grandi città dove esistono grandi diversità e disomogeneità, ma soprattutto se la fiscalità complessiva derivante dalle imposte sul patrimonio edilizio sarà invariata (magari più equamente distribuita) o aumenterà.

L’Agenzia delle Entrate sostiene la prima tesi, parlando di operazione trasparenza e cercando di far dimenticare tutti i casi in cui è stata condannata dalla Corte Costituzionale o dalle varie Commissioni Tributarie Regionali e Provinciali per accertamenti di valore errati (in eccesso) e provvedimenti sanzionatori illegittimi.

È evidente che la promessa di Draghi può essere mantenuta anche con una crescita degli estimi catastali se in parallelo si modificano le aliquote fiscali della tassazione, compensando l’effetto degli aumenti dei valori e lasciando la fiscalità complessiva invariata, ma è quasi impossibile che non ci siano cambiamenti per tutti.

Il tema del catasto, però, è molto più articolato e converrà approfondirlo almeno sotto due aspetti, quello prettamente tecnico e quello del valore patrimoniale.

La revisione degli estimi in realtà maschera in primo luogo un faticosissimo processo di aggiornamento delle realtà catastali italiane, che tutti sanno ancora molto distanti delle risultanze ufficiali in termini quantitativi e qualitativi.

Il primo intervento efficace, ma certamente non definitivo, è stata l’introduzione nel 1996 della procedura informatica Docfa per la redazione degli aggiornamenti del catasto fabbricati, abbandonando i disegni a inchiostro di china su fogli di carta trasparente millimetrata (allora in vendita solo presso l’Amministrazione) che comportavano errori ed imprecisioni.

Questa novità, in seguito, è stata imposta per legge dal 2002 con l’automazione delle procedure di aggiornamento e il calcolo obbligatorio delle superfici catastali (DM Finanze 28/12/2000, n° 1390, modificato dal successivo DM 20/3/2001, n° 139). Ovviamente, su un patrimonio italiano di oltre 70 milioni di immobili, gli aggiornamenti erano ancora pochi e procedevano molto lentamente per cui un altro intervento di “sanatoria” forzata delle irregolarità è stato l’imposizione dal luglio 2010 (dall’articolo 19, comma 14 del DL 31/5/2010, n° 78) della piena corrispondenza tra lo stato di fatto dell'immobile e le relative planimetrie catastali per poter effettuare la compravendita o il trasferimento di un immobile, impedendo la stipula dell'atto se non dopo aver sanato le irregolarità.

Perfino il “super bonus 110%” (D.L. n. 34/2020) lega le agevolazioni fiscali alla conformità catastale, incanalando le procedure su adempimenti più snelli al fine di dare un ulteriore contributo al processo generale di regolarizzazione degli immobili.

Il risultato di questi interventi “lumaca” dello Stato Italiano per la riforma del catasto poterebbe apparire deludente perché gli archivi presentano ancora moltissime lacune, sia per l’imprecisione delle rappresentazioni catastali effettuate in oltre 15 lustri sia per il numero enorme di abusi edilizi compiuti negli ultimi 50 anni in Italia (e soprattutto nel sud), dove molti immobili non risultano all’anagrafe dell’Agenzia delle Entrate, con la complicità o l‘ignavia delle Amministrazioni locali.

A riprova di quanto detto basterà ricordare che persino nei casi di abusi edilizi conclamati, negli ultimi 17 anni, sono state emesse le inevitabili ordinanze di demolizione e solo il 33% dei provvedimenti amministrativi è stato eseguito (18.838 su 57.250).

Ad esempio nel 2018 le prime 6 banche italiane avevano nelle attività immobiliari fabbricati per oltre 11,2 miliardi di euro (tra qbuelli funzionali e quelli detenuti a scopo investimento) e non finiva lì perché molti altri immobili erano presentanchei nei fondi immobiliari d’investimento che gli stessi istituti o le società del gruppo gestivano.

Il tema, quindi, deve essere molto importante se persino l’Unione Europea nella la Raccomandazione del Consiglio UE all’Italia sul programma nazionale di riforma 2019 recita: “in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati” (Gazzetta ufficiale n. C 301/69 del 5 settembre 2019).

A pensarci bene, se un organismo così orientato ai potentati finanziari si muove, sotto ci deve essere altro.

Ed in effetti c’è: il sistema bancario italiano. Il patrimonio immobiliare delle banche del nostro paese raggiunge livelli impensabili e occupa nei bilanci degli istituti posizioni di tutto riguardo.

Ad esempio nel 2018 le prime 6 banche italiane avevano nelle attività immobiliari fabbricati per oltre 11,2 miliardi di euro (tra quelli funzionali e quelli detenuti a scopo investimento) e non finiva lì perché molti altri immobili erano presenti nei fondi immobiliari d’investimento che gli stessi istituti o le società del gruppo gestivano.

Per vari motivi, fino al 2010, il patrimonio immobiliare delle banche è progressivamente aumentato per acquisizioni dirette ma anche in virtù delle tantissime insolvenze sui mutui ipotecari che portavano all’acquisizione del bene che costituiva la garanzia del finanziamento.

Nell’ultimo decennio la crisi del mattone, con la riduzione dei prezzi di alcuni immobili a valori inferiori anche del 20% a pochi anni prima, ha messo a dura prova i bilanci delle banche che si sono viste sull’orlo di un precipizio se avessero dovuto attribuire il reale valore di mercato al proprio patrimonio in bilancio, con conseguenti pesanti perdite d’esercizio, che per le rigide norme europee in termine di bilanci bancari avrebbero imposto agli istituti di coprire le perdite emergenti con risorse fresche di liquidità, non sempre facili da trovare.

In passato il ricorso all’immissione di parte del patrimonio nei fondi immobiliari (OICR) aveva attenuato e diluito questo rischio e la tecnica di un ottimistico fair value nei bilanci aveva permesso di galleggiare nel periodo contrassegnato dalla depressione economica.

Persino la Banca d’Italia aveva generosamente proposto il prolungamento dei fondi immobiliari Retail, che scadevano alcuni anni fa, per evitare il rischio di pressioni al ribasso sui prezzi degli immobili ed un effetto domino sul resto del mercato fondiario.

Quindi l’aumento degli estimi catastali, anche se fosse neutro nei confronti della fiscalità generale, giunge a proposito per le banche perché rinforza il loro patrimonio immobiliare e produce un automatico margine positivo ai bilanci anche se il problema delle incertezze del mercato immobiliare resta, come la volontà diffusa degli istituti finanziari di ridimensionare gli investimenti nel mattone.

Per tale motivo molte banche hanno cominciato ad operare (molto disinvoltamente) come agenzie immobiliari per “piazzare” le loro numerose proprietà e diminuire le proprie attività patrimoniali, offrendo il vantaggio del mutuo annesso, ancora a tassi bassi.

La cosa non è piaciuta a tutti però, perché ha provocato la protesta della Federazione Italiana degli Agenti immobiliari che ha inviato un esposto alla Banca d’Italia contro Unicredit e Intesa San Paolo per “l’indebito condizionamento e lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore”. Ma questa è un’altra storia.


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