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Mario Franzin e Paola Pellegrino

Il nuovo volto delle gang

L'espansione del fenomeno di violenza giovanile tra strada e social network.

Bolle di risentimento, esplosioni improvvise di violenza, rigurgiti di microcriminalità: con la pandemia da Covid-19 crescono gli episodi di aggressività tra i più giovani e si impone all’attenzione di giornali e notiziari il fenomeno delle Street Gang. A farne parte sono ragazzi tra i 16 e i 21 anni, che vogliono costruirsi un’immagine o anche solo trovare la propria identità e spesso sono rimasti a lungo invisibili agli occhi di società e Istituzioni. Nel gruppo cercano risposta ad un bisogno di protezione – che nella realtà si rivelerà illusoria – e tramite l’arma della paura pensano di ottenere la stima e il rispetto dei loro pari.

A livello mediatico, casi di cronaca, documentari e serie tv modellano l’immaginario collettivo delle bande di strada sul prototipo delle più note Street Gang statunitensi ed è a questi esempi che gruppi di giovani si ispirano, cercando di replicarle se non nella sostanza quantomeno nella forma. Scritte sui muri, colori, tatuaggi e gestualità diventano allora codici per trasmettere messaggi ma anche indicatori della loro presenza, costruttori di identità e marcatori di appartenenza.

La voglia di emulare i gangster americani appare chiara negli abbigliamenti vistosi e nello slang utilizzato da alcuni ragazzi, ma anche fra i membri di emergenti collettivi rap.

Ne è un esempio la crew Seven Zoo, formata da rapper e trapper giovanissimi provenienti dal Quartiere San Siro - Zona 7 di Milano.

Caratterizzati dal macinare milioni di visualizzazioni sui loro canali YouTube, i membri del gruppo vantano importanti collaborazioni con famosi esponenti della scena rap italiana (come Sfera Ebbasta), ma alcuni di loro sono anche noti alle Forze dell’ordine per disordini ed episodi di microcriminalità come spaccio, rapina, resistenza a pubblico ufficiale o aggressioni.

In particolare, a provocare notevole sconcerto nei residenti della zona è stato il maxi-assembramento avvenuto il 10 aprile 2021 (periodo in cui le restrizioni Covid erano parecchio stringenti), quando almeno trecento fan si sono riversati in strada tra Via Micene e Piazzale Selinunte, richiamati tramite social network dal rapper Neima Ezza per girare il videoclip del suo nuovo singolo Casa. Eventi analoghi, ma di minor portata, si riscontrano a partire dal 2018, mentre i fatti dell’aprile 2021 non possono essere considerati un caso isolato, dal momento che appena un mese dopo, il 17 maggio 2021, ha luogo un altro raduno non autorizzato di un centinaio di ragazzi nell’adiacente Via Zamagna, questa volta per un video musicale del rapper Keta.

A saltare all’occhio è la notevole capacità di mobilitare a mezzo social un elevato numero di persone con poco, o praticamente nullo, preavviso.

Tale presa sui ragazzi della zona è uno dei sintomi del forte radicamento della Seven Zoo sul territorio e sul rapporto a volte conflittuale con «il quartiere» i membri della crew hanno costruito e basano la propria identità.

Ed è proprio di questo che raccontano i testi delle loro canzoni, riflessi della continua tensione tra l’ostentazione di uno status spettacolarizzato e la nuda realtà dei marciapiedi e delle case popolari dove i rapper vivono e sono cresciuti. Infatti, ad uno sguardo più attento, alcuni di essi si rivelano essere autentici manifesti programmatici dove il quartiere viene descritto come una «trincea», la gang è la sola «famiglia» e abbondano i riferimenti espliciti a sostanze stupefacenti e ai luoghi degli assembramenti e delle aggressioni.

Ma il pubblico su cui fanno presa non è composto solo dalle nuove generazioni dei quartieri multietnici di Milano. Il loro linguaggio trova eco nel disagio e nella rabbia repressa di tutti quei giovani che come loro si trovano a vivere situazioni di abbandono, faticano ad integrarsi nella società e sono in cerca di una propria collocazione.

Tali problematiche non appartengono solo alle classi meno abbienti o agli immigranti di seconda generazione, ma anche a molti ragazzi che durante i mesi di pandemia si sono trovati a vivere un profondo senso di estraniazione e sradicamento.

È infatti indubbio che le misure di contenimento abbiano ridotto, se non del tutto annullato, le opportunità di socializzazione per i giovani, confinandoli nelle loro case e privandoli dei luoghi di aggregazione per eccellenza.

Scuole, centri sportivi e ricreativi non sono infatti solo punti di istruzione ed educazione, ma costituiscono veri e propri spazi di relazione, dove avvengono quei riti che segnano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Tale isolamento - accompagnato da sentimenti di solitudine, incertezza e dall’affiorare di nuove ansie e paure - ha fatto sì che i giovani siano considerati una delle categorie più colpite dall’impatto sociale e psicologico del Covid-19.

L’incapacità di canalizzare il proprio malessere ha prodotto conseguenze diverse, tra le più drammatiche l’escalation di episodi violenza riportati dai media.

Inoltre, se è vero che smartphone e PC hanno costituito gli unici mezzi per evadere dalle mura domestiche e le piattaforme social sono rimasti i soli spazi dove relazionarsi con i coetanei, d’altra parte si è assistito all’aumento di episodi di adescamento online e alla crescita di reati commessi sul web che vanno dalle truffe, al phishing, alle coperture di traffici illeciti.

In tale ottica, è lecito ipotizzare scenari dove organizzazioni criminali possano approfittare delle vulnerabilità emerse tra i giovani, facendo leva sulla forza di attrazione del gruppo e su promesse di guadagno per diversificare le loro attività e puntare in maggior misura sui reati informatici, vista la notevole dimestichezza degli adolescenti a utilizzare i canali social e informativi in genere.

Per di più, sfruttando l’incredibile presa che gli appelli su Internet suscitano nei ragazzi, i gruppi criminali potrebbero potenzialmente disporre di masse umane da direzionare a loro piacimento, mentre testi e video musicali potrebbero rivelarsi mascheramenti perfetti per trasmettere messaggi codificati ai propri adepti, con la concreta possibilità di reiterazione tramite atti di emulazione.

Il cosiddetto processo dell’«alzare l’asticella della fidelizzazione alla gang» potrebbe inoltre concretizzarsi in episodi di molestie e violenze nelle piazze in occasione di particolari eventi come concerti o feste e - attraverso la penetrazione nelle scuole - fenomeni di devianza e risse fra coetanei servirebbero lo scopo di convincere sempre più giovani che la vera forza sta nell’appartenenza al gruppo e non nell’istruzione.



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