"Il 9 aprile 2020 ho avuto l’onore di intervistare il maestro Giovanni Gastel, utilizzo il termine onore perché la gentilezza e la disponibilità nei confronti di una semplice studentessa sono qualità che solo un vero professionista possiede.
Frequentavo il secondo anno di Scienze della Moda e del Costume presso l’università La Sapienza di Roma, la professoressa di fotografia ci diede come compito la realizzazione di un’intervista ad un noto fotografo di moda a nostra scelta. Scrissi al signor Gastel senza troppe pretese vista la sua fama, in maniera del tutto inaspettata mi rispose e in pochi giorni riuscimmo ad organizzare questa intervista. Ho deciso di condividere questa intervista in modo che più persone possano avere la mia stessa fortuna, ascoltando una splendida persona che racconta le sue passioni. Trasmettendo la forza e il coraggio di inseguire sempre i propri sogni.”
Come si è appassionato al mondo della fotografia?
“Grazie ad una fidanzata di nome Alessandra, mi ha molto spronato dicendomi che facevo delle foto straordinarie, le ho dato ascolto e così ho iniziato a lavorare un po' dove potevo.
Mio padre mi cacciò di casa, voleva che proseguissi gli studi.
La fotografia prima della moda non era così stimata, era un po’ come fare il ciabattino, era una forma di artigianato. Mio padre era un uomo di affari e mi disse “Va bene se non vuoi studiare non ti manterrò più. Ti faccio un regalo, uno specchio e un pettine” che strano regalo pensai, secondo lui ero destinato a fare fotografie per i documenti tutta la vita.
La fine degli anni ’60 li trascorsi facendo da gavetta e poi finalmente è nata la moda in Italia e le riviste. In una settimana grazie ad un’agente Carla Ghiglieri fui assunto da Vogue Italia e Donna, era il 1980 ed erano le riviste più grandi di quel momento.”
Quali sono i magazine più importanti con cui ha collaborato?
“Sono stato quattro anni a Vogue Italia e a Donna contemporaneamente, poi Vogue mi chiese di scegliere, ed io scelsi di andare via. Sono andato contro ogni loro aspettativa e iniziai a lavorare con Flavio Lucchini che è il più grande art director di tutti i tempi.
Abbiamo lavorato insieme per tredici anni e posso dire di aver veramente imparato il mestiere, attraverso di lui sono riuscito a fare qualsiasi lavoro. Dopo aver lasciato Flavio Lucchini sono andato a lavorare per Elle international.
Sono rientrato quando Cristina Lucchini e Carlo Verdelli hanno creato il progetto per il rilancio di Vanity Fair.
Ho seguito Cristina Lucchini anche ad Amica. Attualmente sono tornato a lavorare per Elle.”
Come si trova a lavorare per Elle?
“La cosa difficile di questo mestiere non è scattare una bella foto, ma è adattare il tuo stile alla filosofia delle riviste con cui lavori, dei clienti e degli stilisti. Lavorare per Vogue è diversissimo che lavorare per Elle. Uno dei miei punti forti è proprio riuscire a trovare una relazione tra la mia fotografia e la filosofia della rivista, sempre mantenendo la mia autenticità.”
Quali sono le caratteristiche delle sue fotografie? Cosa la contraddistingue?
“Per fare delle fotografie di alto livello bisogna lavorare su ciò che ci contraddistingue da altri fotografi. Ogni artista deve trovare un aggettivo che lo rappresenti sul quale può costruire la propria immagine. Io ho trovato la parola “elegante” inteso anche nel senso morale. L’eleganza è la parola chiave che descrive la mia fotografia.
Mi ritengo un gentiluomo che rispetta le donne. Fare una fotografia elegante significa ricerca dell’equilibrio e non travalicare mai nel cattivo gusto.”
Cosa intende lei per fotografia volgare?
“Quando non c’è rispetto per la persona fotografata. Ci sono fotografie di nudo che rispettano l’immagine della donna, mentre altre che non riescono a farlo. La volgarità sta nell’utilizzare le persone o le cose in maniera errata.”
CON QUALI EDITOR O STYLIST E’ STATO CONTENTO DI COLLABORARE IN QUESTI ANNI?
I primi anni ho lavorato per la rivista Donna con le sorelle Gisella e Giulia Borioli. Negli anni di Elle con una creatrice Micaela Sessa per la parte moda e con Benedetta Dell’orto per la parte still life. Poi ho incontrato Cristina Lucchini con cui ho collaborato a lungo per la rivista Vanity fair.
Ho lavorato molto con un ragazzo che adoro che ho aiutato a crescere, Simone Guidarelli. Secondo me il più straordinario stylist di questo momento. Ho lavorato con mille persone nel mondo ma queste sono le persone con cui ho lavorato di più e con più gioia. Io riesco a lavorare con tutti perché ho chiaro cosa ho in mente, c’è stato qualcuno con cui non sono riuscito ad entrare molto in sintonia, quello che bisogna fare è prendere la decisione sbagliata, la giusta è quella più facile. Bisogna prendere la più difficile.
E così andare via da Vogue è stata
apparentemente una follia per andare in una rivista come Donna, e invece è stata la fortuna della mia vita.
Quanti lo avrebbero fatto alla mia giovane età? Nessuno, solo io.
Come possiamo vedere è andata bene. Mi sono sentito molto soddisfatto, la mia carriera è stata formata da Flavio Lucchini e non sarebbe stata formata allo stesso modo da Vogue, sarei rimasto lì a fare still life a vita.
COM’E’ UNO SCATTO IN PARTICOLARE CHE HA UN SEGNO INDELEBILE NELLA SUA CARRIERA?
“Non ne ho uno specifico, ma alcune fotografie restano importanti, come la prima copertina che ho realizzato per Donna. Avevo 24 anni ero di ritorno a Milano solo nella mia decapottabile inglese, erano le 4 del mattino e nessuno mi aveva avvertito che in tutto corso Sempione erano affisse le immagini della mia prima copertina per Donna, ho rifatto quella stessa strada 7-8 volte quella notte.”
C’è stato un periodo in cui ha avuto il vuoto dell’artista?
I miei scatti non mi convincono quasi mai. Bisogna pensare che tutto ciò che hai fatto fino ad adesso non significa nulla. Devi pensare a ciò che stai facendo adesso come se fosse l’occasione della tua vita. Per me è così ogni foto che scatto è l’occasione della vita che sia pagata o non pagata.
Creare è uno stato di necessità per me, se non lo faccio sto male.
Nel ‘93 ho perso tutti i clienti che avevo, Versace, Trussardi, Missoni, hanno cambiato fotografo e stilisti, è stato un momento terribile. Sono stato a ragionare sul perché ed ho capito che ogni generazione porta un trend.
A 20 anni sei portatore di novità e trend, quando ne hai 30 non sei più trendy sei già una generazione passata. A questo punto devi scegliere se inseguire i trend scendendo a compromessi, oppure fai come ho fatto io, diventi un autore. L’autore non segue i trend ma basa la sua fotografia su dei capisaldi che sono il suo stile.
Come è riuscito ad uscire da questo momento?
“Ricevetti da un amico la proposta di realizzare due cataloghi di scarpe per Ferragamo. Accettai subito nonostante fosse un lavoro di livello inferiore ai precedenti. Mi ha dato una lezione di umiltà. Feci il lavoro talmente bene che l’anno dopo pubblicai con loro foto di still life e copertine. Ho avuto mille fortune.
Ognuno di noi dovrebbe fare i conti con le fortune che ha avuto. La mia vita è andata benissimo, io alla fortuna devo molto però ho dedicato la mia vita alle fortune che ho avuto.”
Parliamo della sua esposizione “Maschere e spettri”
“Avevo cominciato a collaborare con Germano Lucio Celant forse il più grande critico d’arte italiano in una mostra nel ‘97, siamo rimasti amici e ad un certo punto mi ha stimolato a cercare un tema personale.
Ci ho messo 4-5 anni e alla fine ho scelto il dolore. Mi sono chiesto perché la fotografia quando riguarda il dolore utilizza sempre un linguaggio trash? Ho voluto mettere alla provala mia l’eleganza e bellezza estetica con un tema così crudo. Il risultato è stato molto teatrale. Una mostra che ha prodotto mille critiche, importante ma durissima tanti non hanno sopportato questo dolore così potente. Sono passato da elegantone un po’ pazzo a fotografo che può realizzare queste foto senza rinunciare al proprio stile.”
Come mai ha scelto questo tema?
Il dolore è universale ci attraversa tutti prima o poi. Questo tema è legato anche al discorso della violenza sulle donne che mi turba molto.
Quando capisce che le sue foto sono pronte?
Lo capisco sempre anche mentre scatto, capisco qual è quella giusta. C’è un attimo in cui tutto il tuo corpo e il tuo spirito si rilassa ma dura un centesimo di secondo, ma tu sai che la foto c’è. Ho delle tecniche molto personali perché sono un autodidatta.
Io improvviso sempre. In base al lavoro non preparo mai nulla, lo facevo da ragazzo ma poi ho capito mi rovinavo le nottate perché tanto alla fine facevo altro. Ci sono delle componenti che vanno mischiate al momento, l’inspirazione viene al momento l’unica cosa che può rovinare la creatività è la paura di perdere. Non potrò mai smettere con l’arte e la fotografia, mi sentirei male, la fotografia non è mai finita.
תגובות