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Immagine del redattoreGiulia Papaleo

Le cose che ho imparato sulla sanità


LE COSE CHE HO IMPARATO...sul sistema sanitario locale – un’esperienza.

Sui social spicca, tra i tanti influencers, un giovane brillante “creator digitale”, Nootso, 106k follower tra giovanissimi e boomers solo su Instagram, CEO e co-founder di BillOver 3.0, padre del simpatico “Sii come Bill”; tra i contenuti più riusciti, il format settimanale: le 7 cose che ho imparato negli ultimi 7 giorni della mia inutile vita, un video di qualche minuto in cui il fenomenale Nootso, con aria candida ed anche furbetta, diffonde nell’etere cose difficili, aneddoti, curiosità, fatti culturali e scientifici, svelando ai più curiosi, con disarmante semplicità, segreti e dettagli di fatti banali e straordinari, cose sotto i nostri occhi su cui nessuno si sofferma e su cui non ci si fa domande ma che rivelano semplici verità nascoste.

Mi ha sempre divertito seguire il video settimanale del giovane tik-toker, fino a che questa formula: “le cose che ho imparato ....nella mia inutile vita” non è diventata un pensiero frequente in cui incanalare la mia attonita meraviglia, suscitata da quanto sperimentato negli ultimi tempi, nei quali ho vissuto, mio malgrado, a stretto contatto con l’ambiente sanitario locale, in ASL Roma 5.

Ho imparato diverse cose, alcune banali ma con dietro dettagli complicati, alcune assurde, altre anacronistiche e prive di logica, inverosimili e l’ho imparato in modo traumatico ma con la sempre più chiara percezione di scoprire cose nuove eppure sempre state li, immobili e crudeli e fortemente inaccettabili nella “mia inutile vita”.

Non me ne voglia il simpatico Nootso se mi ispiro a lui per condividere qui le cose che ho imparato.

IN OSPEDALE NON SI FA LA CURA DELLA PERSONA

Ho scoperto che un anziano costretto al ricovero in ospedale, se ne esce vivo, torna a casa con evidenti segni di incuria e disattenzione verso la sua persona: spesso con assenza di diagnosi, piaghe da decubito e immobilismo degli arti, mancanza di appetito, dissociazione mentale e afasia.

Ho scoperto che l’anziano, lasciato in solitudine per la quasi totalità del tempo, non parla mai con nessuno e perde l’abitudine alla parola, non può ricevere visite, non viene aiutato a girarsi e a muoversi, non viene stimolato né aiutato ad arrivare alla fine del pasto perché “non ha appetito”.

Ho scoperto che, per esempio, all’Ospedale di Colleferro le visite sono sospese dal 5 gennaio 2023, ancora causa Covid eppure c’è un viavai di infermieri, studenti e personale sanitario che sembra di essere nell’atrio di una stazione. Ho scoperto che il personale nella pausa caffè si raduna nel cortiletto interno e sfoga malessere, lamentando burn-out e stanchezza e poi “sclera” in Pronto Soccorso con i familiari che chiedono notizie di un parente in barella e in attesa di essere visitato da 12 ore, sbattendo la porta in faccia o rispondendo “non è un mio paziente, io non me ne occupo, non sono di questo reparto”.

Ho scoperto che l’assenza dalle corsie di familiari, badanti, volontari sull’onda del COVID ha liberato da presenze estranee i sanitari, ma ha anche creato un vuoto incolmabile che ha messo in chiara luce tutte le mancanze e l’inadeguatezza del sistema ospedaliero sotto questo aspetto.

NON C’E’ PASSIONE TRA GLI IMPIEGATI DELL’ASL ROMA 5

Ho scoperto trovandomi a frequentare e fare shopping nei diversi negozi di articoli sanitari di Colleferro che la maggior parte delle autorizzazioni circa gli ausili di supporto al disabile o anziano prescritte dallo specialista/geriatra pervengono sbagliate, a valle di una procedura alquanto poco digitale: iI geriatra prescrive l’ausilio codice “xyz”, l’assistito, o persona da lui delegata nel caso di assistenza domiciliare, chiede preventivo alla sanitaria, lo porta alla ASL di persona per abbreviare i tempi, e, dopo un tempo indefinito, su un fantomatico portale, la Sanitaria trova autorizzazione ad assegnare l’ausilio abc, evidentemente non coincidente con quanto prescritto.

Ho scoperto che occorre perciò riaprire la pratica da capo, tornare in Sanitaria, riportare preventivo alla ASL, facendo l’ennesima coda, attendere altri giorni perché la Sanitaria trovi sul portale l’autorizzazione e abbia a disposizione l’ausilio prescritto. Ho scoperto che se l’assistito o il delegato dell’assistito fa notare all’impiegata dell’ufficio preposto in ASL che tale errore ha comportato ritardi nel poter fornire supporto nonché perdita di ore di lavoro, l’impiegata risponde: “eh beh...Io mica mi diverto !”. Ora, ho scoperto che si può perdonare tutto a una impiegata oberata di lavoro, distratta, preoccupata, malata, innamorata ma risulta alquanto difficile scoprire di avere davanti una impiegata priva di passione, disingaggiata e poco empatica - e come lei anche le colleghe allo sportello che discorrono di fatti propri, di turni e di tanto altro mentre il “contribuente” attende di pagare il ticket. Non sarà proprio la mancanza di divertimento/passione nello svolgere il proprio lavoro a causare tali errori?

L’INEFFICIENZA DEI SANITARI CREA ALTRA INEFFICIENZA

Ho scoperto, dunque, code interminabili al Distretto da ripetere più volte per lo stesso motivo, ho scoperto che una faccenda che richiede massimo 20-30 minuti può invece richiedere 2-3 ore. Ho scoperto che il “sistema” non sempre riporta sul foglio di accettazione tutte le analisi prescritte e che bisogna controllare attentamente. Ho scoperto che vengono dati solo un certo numero di “numeretti” al giorno e che, anche se si arriva nella fascia oraria in cui vengono fatti prelievi e consegnate provette, bisogna chiedere: “per favore posso lasciare la provetta per le analisi...si tratta di una persona in assistenza domiciliare ?” e che può accadere di sentirsi rimproverare duramente perché “è tardi, ma le facciamo il favore...”. Ho scoperto che chi ha diritto all’assistenza domiciliare ha bisogno di un delegato che faccia 4 file in luoghi diversi (medico curante, palazzina blu primo piano, sportello e poi di nuovo primo piano) per assicurare all’assistito un prelievo o una visita (in questo caso i tempi medi di attesa possono sfiorare i 6/8/12 mesi). Ho scoperto che un medico di famiglia può far aspettare anche 5 giorni per una prescrizione.

Ho scoperto che tutto questo non genera solo ritardi nella cura del paziente ma enormi inefficienze nella vita personale e lavorativa dei pazienti stessi, delegati e familiari accompagnatori. Inefficienza nel Pubblico che crea altra inefficienza nel Privato, con permessi da pendere al lavoro, ritardi ingiustificati, assenze non programmate, una catena interminabile che determina un notevole spreco di risorse.


LA DIGITALIZZAZIONE E’ SCONOSCIUTA

Ho scoperto che la digitalizzazione non ha mai sfiorato l’ambiente sanitario.

Ho scoperto che ci sono medici di famiglia che non sanno inviare una prescrizione urgente fuori dall’orario di ambulatorio e che ancora si avvalgono della “signorina” per inviare e-mail e ricette – E cosa faranno nel metaverso? Ho scoperto che non sanno consultare la scheda con le patologie e le terapie dei loro pazienti - se esiste (ma nel Lazio non esiste il fascicolo sanitario digitale ?) - e che, per ricordare, fanno riferimento al paziente stesso o ad un suo familiare.

Ho scoperto che quando un paziente in assistenza domiciliare, purtroppo da anni, richiede un prelievo, ogni santa volta occorre compilare un questionario manualmente, sempre le stesse domande sul grado di autonomia, sulle patologie, sui dati anagrafici – forse si spera nel miracolo e che certe patologie possano scomparire?

Ho scoperto che ci sono archivi cartacei vastissimi negli uffici della ASL, faldoni pesanti difficili da tenere in ordine e che difficilmente aiutano il personale sanitario ad avere un quadro completo dell’assistito.

NON SI INVESTE SU CHI NON PRODUCE, vivere sulla propria pelle la famosa “cultura dello scarto”

Ho scoperto, senza troppi giri di parole, che l’anziano non conta nulla: tutto comincia quando medici, infermieri e ausiliari, vedendo un capello bianco o qualche ruga, si rivolgono al paziente dandogli del tu e parlandogli come ad un “ebete”, anche se la persona ebete non è. Altro che inclusione!!

Ho scoperto che il medico di famiglia può fare diagnosi lungimiranti, della serie: “stavolta è andata bene...eh si...fino a che non le arriva il colpo finale”. Ho scoperto che non c’è attenzione per gli anziani perché in qualche modo “prima o poi” bisogna pur morire. Ho scoperto che un anziano può prendere un batterio killer in ospedale e, una volta fuori, essere abbandonato al suo destino ineluttabile, e ricevere la prescrizione di una terapia, anche una semplice flebo in assistenza domiciliare, solo sotto sollecitazioni/minaccia da parte dei familiari.

Ho scoperto che si prescrive la terapia anche se non è adeguata alle condizioni del paziente e che non si fa nulla per trovare una terapia alternativa se non sotto minaccia e sollecitazioni dei familiari, col rischio concreto di arrivare troppo tardi col farmaco giusto!

Per non parlare della alimentazione assistita, non gestita nel distretto, in quel caso occorre rivolgersi al Policlinico di Roma, e non è affatto immediato, quindi se sei anziano puoi morire disidratato, senza nutrizione e senza terapia ...e va bene così, uno di meno.

VIGE L’ASSENZA DEL TERRITORIO, LO SCARICO DI RESPONSABILITA’ TRA MEDICI DI FAMIGLIA, OSPEDALE E ASSISTENZA DOMICILIARE

Ho scoperto che la prima risposta del medico di famiglia quando si segnala per la prima volta un malessere è: “chiamate l’ambulanza!”.

Ho scoperto che il medico di famiglia non viene a casa ad auscultare le spalle al paziente anziano che respira male perché “se non collabora, è inutile che io venga”.

Ho scoperto che quando si arriva in Pronto Soccorso si giace su una barella anche per 36 – 48 ore a qualsiasi età, da soli e in condizioni igieniche precarie e di malsana promiscuità.

Ho scoperto che il medico di famiglia fa facilmente un passo indietro quando c’è l’assistenza domiciliare e che l’assistenza domiciliare non alza un dito se il medico di famiglia rimane inerte,a meno che non venga pressata dai familiari.

Ho scoperto che l’assistenza domiciliare almeno in ASL Roma 5 arriva fino a un certo punto: non c’è un ecografo, non c’è la possibilità di fare una lastra a domicilio per assistiti con limitate condizioni di mobilità e trasportabilità, non c’è la possibilità di fare visite specialistiche, e quelle che possono essere fatte, hanno tempi di attesa troppo lunghi per un bacino di utenza enorme e delicato, e che se la cardiologa si assenta, nessuno la sostituisce.

Ho scoperto che non c’è personale qualificato, non ci sono attrezzature e non ci sono fondi.

“Manca il territorio”. Ho scoperto che questo viene normalmente accettato e che fa gioco a tutti, così nessuno prende la responsabilità.

L’OSSIGENO NON SI PAGA

Ho scoperto che “l’ossigeno non si paga”, così mi hanno detto in farmacia. Bombole e bomboloni, quelli no, non si pagano.

Peccato che sia stato pagato un caro prezzo fino a quel brutto momento in cui si comincia a respirare male e si è stremati.

Ci sono anche PRIMARIE CORAGGIOSE

Ho scoperto che, fra tutte queste inefficienze, ci sono professioniste (prevalentemente donne), frustrazioni, battaglie di primarie coraggiose verso la Direzione Sanitaria, obiettivi e metriche, studi notturni, qualche medico che non aspira solo alla pensione, infermiere che sembrano guerriere tanto credono alla loro missione, e davvero troppi pochi mezzi, troppe manovre politiche, troppi limiti imposti dal Ministero, farraginose procedure manuali che sono l’esplosione della burocrazia, form da riempire con le crocette, sistemi di prenotazione “a manovella”, cooperative che nessuno controlla.

Mentre il personale sanitario più talentuoso fugge, il talento di chi rimane e ci prova si spegne e ci si adegua...affidandosi all’imponderabile - e la gente muore.

Ecco le poche cose che ho imparato, incredibili fino a che non le vivi.

Ecco le cose per me totalmente inaccettabili.



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