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Osservazioni sulla nota di aggiornamento del DEF

Segnali di ripresa economica, ma bisogna mettersi al riparo dall'inflazione e dall'aumento dei prezzi delle materie prime.

Daniele Franco, Ministro dell’Economia e delle Finanze

Investire in materie prime può costituire una buona opportunità di diversificazione del portafoglio e di rendimento, come avvertono un pò tutti i consulenti finanziari anche di casa nostra, prendendo atto del movimento in crescita del prezzo dei metalli industriali e preziosi; di questi, in particolare, rame, nichel, stagno piombo hanno un ruolo sempre più importante soprattutto per l’impulso dato nella transizione verso infrastrutture più green in tutto il mondo, mentre, tra i metalli preziosi, ricordiamo come argento, platino e palladio vengono abbondantemente impiegati nella produzione industriale, ad esempio di pannelli solari.

Peraltro, il recente accordo OPEC+ lascia i volumi di produzione per il periodo agosto-dicembre 2021 al di sopra del consensus, e ciò comporta una perdita nella produzione di circa 2,5 milioni di barili, ovvero, detto in altri termini, una pressione sui dei prezzi del greggio, che gli esperi del settore indicano in incremento dagli attuali 73 dollari a 75 (fino ad 80) al barile.

Dunque, l’infiammata dei prezzi che ultimamente ha caratterizzato il mercato delle materie prime non sembra destinata a spegnersi e ciò in quanto appare sempre più avere un carattere non temporaneo legata, come c’era d’aspettarsi, alla ripresa economica post Covid che spinge la domanda (non bilanciata da una analoga capacità dell’offerta di tornare in tempi brevi ai livelli post Covid), ma al contrario sembra avere caratteristiche più strutturali legata anche alla pressione sulla svolta ecologica impressa dagli USA e dall’Europa e dall’applicazione massiccia delle tecnologie digitali ai beni di largo consumo.

Se le cose stanno cosi, una più attenta riflessione andrebbe fatta anche sulle considerazioni che hanno accompagnato la discussione alla Nota di aggiornamento al DEF (NADEF) che è stata nei giorni scorsi presentata alle Camere, per aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica del DEF in relazione alla maggiore disponibilità di dati ed informazioni sull'andamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica.

Il documento, ha evidenziato tra l’altro un recupero del Prodotto Interno Lordo (PIL) nettamente superiore alle attese. Ad un lieve incremento nel primo trimestre (0,2 per cento sul periodo precedente) è, infatti, seguito un aumento del 2,7 per cento nel secondo.

Si prevede che il terzo trimestre segnerà un ulteriore recupero del PIL, con un incremento sul periodo precedente pari al 2,2 per cento portando la previsione di crescita annuale del PIL al 6,0 per cento, dal 4,5 per cento del quadro programmatico del DEF 2021.

In definitiva, la nuova previsione tendenziale indica tassi di crescita del PIL reale pari al 4,2 per cento nel 2022, 2,6 per cento nel 2023 e 1,9 per cento nel 2024.

Ai fini delle nostre osservazioni, tuttavia, occorre considerare che, quanto al debito pubblico, la proiezione aggiornata di finanza pubblica comporta una discesa del rapporto tra debito lordo e PIL dal picco del 155,6 per cento raggiunto nel 2020 al 153,5 per cento quest’anno.

Si tratta di un risultato, molto positivo in confronto al 159,8 per cento previsto nel DEF, che riflette sia la dinamica del PIL sia quella del fabbisogno di cassa delle Amministrazioni Pubbliche.

Peraltro, è questo è il punto, il rapporto debito/PIL scenderebbe poi di circa dieci punti percentuali nel prossimo triennio, arrivando al 143,3 per cento del PIL nel 2024.

Dato che impone però, a bene vedere, una profonda riflessione di cui non mi è sembrato sentire eco nella discussione in aula, se non in alcuni interventi sporadici e, peraltro, molto frammentari. Condizione essenziale per l’equilibrio previsto nel Documento in parola, peraltro, ribadita nella presentazione del documento al Parlamento sia da Draghi che dal Ministro del Tesoro, è che vi sia una crescita (peraltro sostenuta) dell’economia Italiana.

Bene, da quanto da me premesso in questa breve nota appare del tutto evidente che, se si dovesse consolidare la tendenziale esplosione dei prezzi delle materie prime, e se quest’inflazione da costi dovesse davvero manifestarsi con l’intensità e la consistenza che supponiamo, la spirale di aumento dei costi-aumento dei prezzi-aumento dei costi (che ben conoscono tutti coloro che hanno vissuto gli anni 70) renderebbero il documento presentato già carta straccia dal prossimo anno.

In effetti, com’è ben acquisito dalla scienza economica, dinnanzi ad un aumento del costo degli input le imprese tendono a traslare la maggiore spesa sul prezzo finale dei beni di vendita e dei servizi e ciò causa un innalzamento generale dei prezzi (inflazione) nel sistema economico.

Ma i lavoratori, interessati al salario reale, richiedono dei salari in proporzione agli aumenti dei prezzi che si sono già verificati ed agli aumenti futuri e questo determina un processo di incremento costante dell’inflazione difficile da spezzare nel presente contesto economico, come pur in Italia fu fatto in passato con la riforma della scala mobile introdotta nel 46, meccanismo ricordiamolo che adeguava i salari periodicamente e automaticamente all’aumentato del costo della vita. Su questo, sia bene inteso, stanno scommettendo i principali player presenti sui mercati finanziari internazionali che infatti suggeriscono un incremento del portafoglio in commodities su materie prime.

Naturalmente è augurio di tutti noi che ciò non accada, ma è comunque opportuno sottolineare (e porre all’attenzione) di come il quadro disegnato da Franco e Draghi sia profondamente condizionato dal quadro macroeconomico e, come il prestito acceso con allegria con l’Europa sarà, in un eventuale contesto di mancata crescita, una zavorra capace di stravolgere (in modo mai visto) l’attuale governance economica, e ciò certamente non andrà a favore degli italiani (imprese e cittadini).


Enea Franza

Direttore del Dipartimento

di scienze Politiche

di UniPace-ONU, Roma


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