LA TECNOLOGIA STA CAMBIANDO LE ABITUDINI. MA NON POSSIAMO RINUNCIARE AI LUOGHI DI INCONTRO
Far rivivere i vecchi centri storici per ridare senso alla vita comunitaria
Si devono fondere in un’unica miscela cultura, residenza e business: questo è ciò che una volta si chiamava urbanità. Lo splendore dei vecchi centri è dovuto al fatto che non sono luoghi monofunzionali ma polifunzionali, che vivono ventiquattr’ore al giorno.
Fondamentale è sistemare le piazze esistenti, farle ritornare un luogo d’incontro, crearne di nuove che interpretino l’idea serena e italiana dello spazio in cui popolo e pensiero si riuniscano spontaneamente, la piazza che accoglieva e riuniva genti, traffici opulenti e ben diretti, la voglia di sentirsi sicuri, produttivi, inventivi.
“Su questa piazza pascolò un leone scappato dal circo Orfei…allora tutti i fucili del paese si affacciarono alle finestre e sputarono fuoco sull’animale.. il leone fu cotto e mangiato: la gente discusse, stando sulle sedie del caffè, sparpagliate per la piazza. Dobbiamo aspettare l’arrivo di un rinoceronte per rinnovare questa voglia paesana col sapere di una delizia collettiva? Dobbiamo gridare che costruiamo le piramidi. Non importa se poi non le costruiamo. E’ importante alimentare il desiderio. Dobbiamo tornare in piazza per godere assieme. I grandi godimenti sono quelli che si provano succhiando dagli altri la meraviglia che esplode. Torniamo a darci la mano in piazza”. Sono parole di Tonino Guerra. Di straordinaria efficacia e di grande attualità.
Per far quel che indica Guerra è indispensabile una stretta collaborazione tra amministratori, tecnici, imprenditori, cittadini.
Dialogare con i tecnici per rilanciare il piacere del progetto e dell’invenzione. E’ indispensabile che il progetto riacquisti il ruolo centrale nel costruire.
Dialogare con costruttori e imprenditori perché il loro progetto deve coincidere con quello della vivibilità della città e di godibilità dei cittadini.
Dialogo con i cittadini perché il nostro intorno dipende anche da noi tutti. Un ingresso, un balcone fiorito, un negozio adornato, un marciapiede arredato è un buon ritorno per tutti. Ogni balcone fa bella una facciata, ogni facciata rende piacevole un caseggiato; una recinzione, ogni muretto, anche il più semplice, contribuiscono alla bellezza.
Ogni piazza dovrà avere una forza, un magnetismo, un segno funzionale e incisivo, per sé e per gli altri luoghi: ciascuna piazza deve avere una funzione che la caratterizza, un’attività che serva l’intera città.
Fin dalle origini della città la piazza rappresenta il punto d’incontro della civitas, la comunità dei cittadini. E la civitas oggi usa Twitter e Facebook per coordinarsi ma, alla fine, scende sempre in piazza perché a ogni relazione virtuale corrisponde la necessità di un incontro fisico, nello spazio reale.
La Rete permette oggi nuove forme di partecipazione “dal basso” che rendono possibili progetti altrimenti di difficile realizzazione. Ma si inizia in Rete e si continua negli spazi di sempre, quelli della città: le piazze.
C’è bisogno di luoghi raccolti, protetti, al servizio dei cittadini. Spazi dove poter anche lavorare, svincolandosi da cavi o da scrivanie con grandi computer. Questa è la vera sfida: permettere un utilizzo dello spazio pubblico che consenta ai cittadini di riconquistarlo e di averne più cura.
Il fascino della piazza? Non ha orari e ci posso andare quando voglio. Posso viverla come De Chirico, di notte oppure andarci di giorno, per comprare qualcosa. La piazza, insomma, è la diretta espressione di una comunità, di una serie di persone che convivono e si confrontano giorno per giorno.
Condannando così i centri commerciali a lungo considerati come alternativa alla piazza: “hanno il consumo come unico scopo, non la formazione di una comunità”.
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