IL LIBRO INTERVISTA DELL'EX PRESIDENTE DELLA REGIONE CALABRIA ED EX SINDACO DI REGGIO.
Per gentile concessione degli autori pubblichiamo la prefazione di Gianfranco Fini al libro - intervista di Giuseppe Scopelliti " Io sono libero" . Un bel libro che l'ex Presidente della Regione Calabria ed ex sindaco di Reggio Calabria ha dedicato " a quanti non hanno creduto ai teoremi, alle responsabilità da accertare. Spesso sconfessate: inquietanti e dolorosi protagonisti del nostro tempo" .
Il titolo del bel libro intervista a Giuseppe Scopelliti non è, come potrebbe pensare chi non lo conosce, una beffa o una provocazione. E nemmeno un efficace espediente retorico per attirare l’attenzione del lettore sulla vicenda umana e politica di un uomo che sta scontando in carcere una condanna definitiva a 4 anni e 7 mesi, per falso ideologico, emessa nell’aprile 2018.
Una condanna che ha travolto una lunga serie di successi elettorali, di prestigiosi incarichi istituzionali, di pubblici riconoscimenti.
Fin dalle prime pagine, l’Autore dichiara di sentirsi e di essere libero perché “… la libertà è immutabile e atemporale, lo è aldilà delle circostanze, della lunghezza deĺla catena, dell’ampiezza di una cella...”
Un convincimento che presuppone solide basi morali e che non è facile ritenere sincero se espresso da chi è passato repentinamente dagli altari alla polvere, dal prestigioso status di leader politico incontrastato, prima di Reggio Calabria e poi dell’intera regione, a quello di inquilino della cella numero sedici del carcere di Arghillà. Ma, leggendo le risposte che Scopelliti dà alle domande dell’intervistatore Franco Attanasio, si comprende subito che l’ex sindaco e governatore non inganna se stesso, e non mente.
Scopelliti, oggi, è veramente libero; come lo è stato ieri, e come tornerà ad essere domani.
Lo è perché può rivendicare a testa alta la coerenza di un percorso di vita in cui l’amore profondo per la sua famiglia e la passione politica vissuta come impegno a tempo pieno per la sua terra, hanno sempre rappresentato, fin da adolescente, la stella polare del proprio cammino, i valori di riferimento da non tradire.
Ho conosciuto e cominciato a stimare Scopelliti a metà degli anni ottanta, e il modo con cui egli ripercorre le tappe della sua «carriera» politica (da ragazzino, che scappava dall’oratorio per sentire il comizio di Almirante, a Segretario nazionale del Fronte della Gioventù, da sindaco, plebiscitato dai suoi concittadini, a governatore della regione) ha rafforzato il mio giudizio positivo sulla sua figura. Innanzitutto, sul piano umano.
Scopelliti non ha mai recitato il ruolo impostogli dalla carica ricoperta.
Credeva davvero in quel che diceva e ha cercato di comportarsi di conseguenza, senza presunzione e, meno che meno, arroganza. Era cosciente delle difficoltà e dei pericoli cui poteva andare incontro, ma ciò non ha mai attenuato la sua ostinata caparbietà di...“non mollare”.
Negli anni in cui ha incarnato il potere non si è mai sentito intoccabile e non ha nemmeno creduto di essere particolarmente coraggioso. Sapeva, però, di non essere un pavido e di dover, quindi, essere pronto ad affrontare le conseguenze, anche quelle più gravi, del suo impegno contro la criminalità organizzata. L’ammirazione che nutriva per Borsellino e l’emozione che aveva suscitato in lui l’incontro con il magistrato non gli consentivano di girarsi dall’altra parte ed ignorare il malaffare, le ingiustizie, la violenza.
Ha continuato a fare ciò in cui credeva, anche in momenti drammatici.
Ad esempio, quando, anche per Greta, la figlia allora dodicenne, fu disposta la tutela della Polizia di Stato, a seguito delle minacce che aveva ricevuto, insieme a Peppe. Le parole commoventi e prive di retorica, con cui racconta il suo stato d’animo in quei frangenti, danno la misura del suo spessore umano.
Anche chi, come era logico che fosse, lo ha duramente combattuto sul piano politico, mai potrà dire che Scopelliti si fosse montato la testa nel momento del successo. Continuava a sentirsi e ad essere una persona normale, un figlio fortunato della Calabria...; soprattutto per questo è stato così amato e votato.
Pensarlo come componente della casta dei privilegi fa davvero ridere.
Una volta, non so se Peppe lo ricorda, tornando in aereo da Reggio, gli chiesi se sapesse chi ha davvero pronunciato la nota frase «sono poco quando mi giudico, molto quando mi confronto». Mi sorrise, e disse: “non lo so…, ma la frase è proprio bella”.
Nel ripercorrere le sue vicende politiche, Scopelliti è netto, talvolta tagliente nei giudizi, ma non mostra mai acredine o astio nei confronti di coloro, e non sono pochi, che lo hanno in fretta dimenticato dopo averlo a lungo corteggiato. Del resto, si sa dalla notte dei tempi che in politica la gratitudine è il sentimento del giorno prima.
Anche nelle pagine in cui parla della Giustizia e della Magistratura traspare quel senso delle istituzioni e quel rispetto che ad esse è dovuto, aldilà delle persone che protempore le rappresentano, e in cui egli ha sempre creduto.
C’è un episodio, che non conoscevo, relativo al comportamento del governatore, quindi uomo delle istituzioni Scopelliti, nei confronti dell’allora Presidente della Repubblica Scalfaro, che andrebbe preso come esempio, specie in questi tempi convulsi, da chi è impegnato in politica.
Per uno strano scherzo del destino questo libro va alle stampe in concomitanza con la tragicomica vicenda dei commissari della sanità calabrese, e per la quale la parola vergogna è la sola possibile.
Eppure, c’è stato un commissario che nel triennio 2010-2013 è stato capace di ridurre il disavanzo della sanità da 260 a 30 milioni: Giuseppe Scopelliti. Purtroppo, solo pochi giornali lo hanno ricordato, ovviamente nemmeno una riga o una parola da quegli organi di informazione che, assai prima della definitiva condanna, lo hanno crocefisso più volte e senza sosta. È accaduto tante altre volte nel passato e c’è da temere, purtroppo, che accadrà di nuovo nel futuro.
Il riconoscimento della sua capacità avrà di certo fatto piacere a Peppe, ma certo non avrà attenuato la sua amarezza per il fatto che oggi il debito della sanità calabrese supera i 160 milioni... Evidentemente, chi ha governato dopo di lui si è distratto, ha mollato, e certamente qualcuno ha ricominciato a far festa sulla pelle dei calabresi.
Il libro suscita tante riflessioni e i lettori avranno modo di verificarlo.
Da parte mia, voglio concludere soffermandomi su quanto Scopelliti racconta a proposito degli aspetti più personali ed intimi della sua carcerazione: la sfera emotiva, le ripercussioni affettive. La tempesta lo ha coinvolto insieme alla madre novantenne Angelina, alla moglie Barbara, alle figlie Greta e Gilda, ai fratelli Franco e Tino. Peppe racconta le sue angosce e come tutti i suoi famigliari gli abbiano dimostrato di amarlo dandogli così la forza di non cedere allo sconforto e di attraversare la prova più difficile della sua vita.
È la parte più bella ed intensa, perché tutt’altro che scontata, della confessione pubblica di Scopelliti.
Un uomo che non si vergogna di aver pianto e di aver gioito ogni qualvolta ha pensato ai suoi affetti più cari. Lacrime che sono sintomo della sofferenza del cuore, e gioia che è frutto della continua e crescente certezza di veder ricambiato, anche con un piccolo gesto apparente- mente non significativo, un amore profondo.
Forse, anche per questa comunione di sentimenti Peppe ha la certezza di essere ancora libero.
Libero di amare e di essere amato.
Gianfranco Fini
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