
Il giornalismo è una professione di estrema precisione e pertanto richiede un’accuratezza nella selezione delle fonti d’informazione, siano esse provenienti da altri quotidiani e agenzie di stampa che di prima mano. Nonostante ciò, il giornalismo, non configurandosi come una scienza esatta, pecca di completezza.
A volte questo deficit è dovuto alla negligenza del professionista dell’informazione mentre altre volte tale dinamica è da ricondursi all’impossibilità di coprire tutti i fatti che accadono oltre i confini italiani.
A ciò va ad aggiungersi la linea politico-editoriale della testata per la quale si lavora.
Questo elemento contribuisce a dettare l’agenda del giorno (l’agenda setting), la quale orienta ciò che deve essere e non deve essere trattato e affrontato.
È ovvio che fatti di portata globale, come la pandemia da Covid-19 e la guerra russo-ucraina (quest’ultima ha scombussolato il nostro ordine economico) vengono trattati e coperti da tutti i media.
Nel mondo a volte però la globalizzazione e le interdipendenze tra gli stati sembrano non concretizzarsi. Ed ecco che alcuni media nazionali non affrontano fenomeni come micro-guerre per le risorse primarie e conflitti di ridotta portata ma comunque rilevanti nella misura in cui purtroppo vanno generando delle vittime.
Occorrerebbe ripensare il giornalismo in un’ottica più completa, nel senso che le testate dovrebbero investire sul personale qualificato e sulla corrispondenza estera al fine di tendere verso una massima copertura dei fatti che avvengono oltre i nostri confini. Di tali dinamiche ne veniamo a conoscenza solo con i fenomeni migratori, quando le persone, “tentando il tutto per tutto”, approdano in condizioni disumane sulle nostre coste. Ed ecco che in ritardo quel fatto diventa notizia e si accende il riflettore sulla questione. Per risolvere questo gap informativo, occorrerebbe destinare dei budget economici per il potenziamento degli uffici di corrispondenza.
È ovviamente impensabile per una testata predisporre tali strutture in tutte le zone vulnerabili del Pianeta ma per fare ciò è necessaria una sinergia e una collaborazione tra i vari organi dell’informazione in modo tale da presidiare tutte le aree fragili dal punto di vista ambientale, sociale e geopolitico.
Questi tre aspetti sono quelli principali che muovono le sensibilità delle persone orientando verso più direzioni il dibattito pubblico.
Il surriscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello del mare, la deforestazione, i micro-conflitti per accaparrarsi le risorse minerali ed idriche e le culture patriarcali (in cui l’uomo lavora e comanda e la donna è ridotta ai meri lavori domestici) sono delle questioni e dei temi inaccettabili nella post-modernità e spesso trascurati dalle testate per deficit di natura strutturale ed economica.
Per cambiare le società e le comunità in cui viviamo, il giornalista deve diventare il gatekeeper del dibattito pubblico, portando all’attenzione inefficace ed inefficienze di qualsivoglia natura in modo da renderle trasparenti alle persone. L’obiettivo ultimo di questa dinamica è muovere le sensibilità in modo tale da migliorare il mondo e il contesto in cui viviamo sotto gli aspetti ecologici, sociali, politici ed economici.

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