A cura di Silvano Moffa
Una visione molto grande è necessaria e l’uomo che la sperimenta deve seguirla come l’aquila cerca il blu più profondo del cielo”. La frase appartiene al capo Sioux Cavallo Pazzo. Federico Faggin, scienziato, padre del microprocessore e di una miriade di invenzioni che hanno rivoluzionato la tecnologia e il mondo in cui viviamo, la colloca a metà del suo ultimo libro, un saggio di notevole spessore, acuto, talmente efficace nella speculazione scientifico-filosofica da aprire la mente verso riflessioni che raramente compaiono nella vulgata narrativa e saggistica degli ultimi tempi. La colloca, la frase del leggendario capo indiano cui si attribuivano imprese leggendarie e si narrava che il suo spirito aleggiasse ancora tra le tribù dei pellerossa, ad apertura del capitolo intitolato alla “necessità di un nuovo paradigma”.
Come Cavallo Pazzo, Faggin non teme di mettere a nudo i limiti di un pensiero collettivo e dei modelli dominanti.
Il suo saggio stravolge stereotipi e convincimenti, certezze ritenute infallibili e definitivamente acquisite.
Il nostro modo di vedere i computer, la vita e noi stessi.
E’ un viaggio tra bit, analisi quantistiche, fisica, matematica, scienze naturali, indagini introspettive, escursioni piene di fascino e dense di verità sui limiti della tecnica, delle macchine, del materialismo rispetto alle dimensioni della coscienza, dello spirito, della creatività, di quella parte di noi che, per dirla con Dante, “vive e sente e in sé rigira”.
Ossia quel quid che ci permette di percepire e di comprendere il significato della realtà fisica, delle emozioni e dei pensieri.
Dopo anni di studio e ricerche avanzate, Federico Faggin ha concluso che c’è qualcosa di irriducibile nell’essere umano, qualcosa per cui nessuna macchina umana potrà mai sostituirci completamente.
“Per anni – confessa in apertura – ho inutilmente cercato di capire come la coscienza potesse sorgere da segnali elettrici o biochimici, e ho constatato che, invariabilmente, i segnali elettrici possono solo produrre altri segnali elettrici o altre conseguenze fisiche con forza o movimento, ma mai sensazioni e sentimenti, che sono qualitativamente diversi…E’ la coscienza che capisce la situazione e che fa la differenza tra un robot e un essere umano…In una macchina non c’è nessuna ‘pausa di riflessione’ tra i simboli e l’azione, perché il significato dei simboli, il dubbio, e il libero arbitrio esistono solo nella coscienza di un sé, ma non in un meccanismo”.
Insomma, non siamo macchine biologiche analoghi ai computer. “Se ci lasciamo convincere da chi ci dice che siamo soltanto il nostro corpo mortale, finiremo col pensare che tutto ciò che esiste abbia origine solo nel mondo fisico. Che senso avrebbero il sapore del vino, il profumo di una rosa e il colore arancione”?. Finiremmo col pensare che i computer, e chi li governa, valgano più di noi.
Il saggio si basa su rigorose scoperte scientifiche ed è pervaso da un afflato di umanità, che lo rendono affascinate e incantevole. Dopo anni di mainstream, di omologazione del pensiero e di materialismo, la pulsione proveniente dalle profonde riflessioni di Federico Faggin produce un effetto più rianimante che consolatorio. Rappresenta il passepartout per la declinazione della realtà universale con chiavi di riflessioni inedite e pregnanti. E’ esattamente quel che si definisce, appunto, un cambiamento di paradigma. Magistrale la spiegazione di Faggin sulla rilevanza della coscienza come fattore distintivo e insieme discrimine verso il mondo delle macchine.
“Questa idea è vecchia di millenni e si chiama panpsichismo – si legge nel testo – Il panpsichismo, però, non è mai stato preso sul serio dalla scienza, perché è considerato un’ipotesi che offre ben poche opportunità di falsificazioni. Non sembra infatti che ci sia alcuna connessione tra ciò che sentiamo e il mondo esterno. In poche parole, se per ogni azione fisica c’è una spiegazione che non richiede la coscienza, a che cosa serve la coscienza?
Ecco perché essa è considerata epifenomenale, cioè un fenomeno che si accompagna ad un altro fenomeno, ma che non è la vera causa di ciò che osserviamo. L’alternativa è quella di considerare che le leggi fisiche possano essere proprietà emergenti della coscienza, un assunto che per molti scienziati è difficile accettare.
Vorrebbe dire che il mondo oggettivo deriva dal mondo soggettivo! E questo è chiedere loro troppo. Accettare il panpsichismo implica che la realtà interiore abbia un impatto diretto su quella esteriore, possibilità che il determinismo della fisica classica le nega.
Nessun libero arbitrio è possibile in un universo deterministico e, di conseguenza, sempre secondo la fisica classica, la nostra realtà interiore non può avere alcun potere causale. Ciò equivale a dire che: il mondo interiore è completamente illusorio; la realtà interiore può essere influenzata soltanto dalla realtà esteriore, ma non viceversa; il significato non può essere ontologico né nei computer né negli esseri umani.
Noi sappiamo, però, che il mondo esterno viene portato dentro di noi attraverso l’elaborazione dell’informazione sensoriale e diventa un’esperienza interiore. Se la coscienza non esistesse, non dovremmo avere alcuna esperienza, e quindi non potremmo imparare coscientemente nulla.
La coscienza è necessaria per conoscere anche le cose più banali. Inoltre, se c’è un’influenza fondamentale dall’esterno all’interno, perché non dovrebbe essercene una anche nell’altro verso?”
Altra domanda alla quale Faggin risponde con stupefacente efficacia è la seguente: L’intelligenza senza coscienza è vera intelligenza?
Molti ricercatori ritengono che la coscienza sia superflua ai fini di un comportamento intelligente. Per loro, una macchina può essere intelligente o addirittura più intelligente di qualsiasi essere umano, con o senza coscienza. E’ il trionfo della cosiddetta intelligenza artificiale.
Ma Federico Faggin - e noi con lui – pensa esattamente l’opposto.
“Questa visione – scrive il ricercatore trapiantato negli Usa – si basa su una definizione inadeguata dell’intelligenza. La vera intelligenza, infatti, non consiste solo nella capacità di calcolare ed elaborare dati, che in molti casi le macchine possono fare molto meglio di noi, ma è ben di più. La vera intelligenza non è algoritmica, ma è la capacità di comprendere, cioè di intus-legere, ossia di ‘leggere dentro’, di capire in profondità e di trovare connessioni insospettate tra scibili diversi. Dopotutto siamo noi che abbiamo inventato computer capaci di eseguire algoritmi miliardi di volte più velocemente del nostro cervello. La nostra intelligenza va ben oltre le limitazioni del sistema nervoso perché ha origine in una realtà più vasta della realtà fisica che conosciamo. La vera intelligenza è intuizione, immaginazione, creatività, ingegno ed inventiva. E’ lungimiranza, visione e saggezza. E’ empatia, compassione, etica e amore. E’ integrazione di mente, di cuore e di azioni coraggiose…..Le macchine non potranno mai fare queste cose perché, se fossero libere come siamo noi, sarebbero più pericolose che utili. Esse funzionano, ma non capiscono. E capire non è riducibile a un algoritmo”.
Nella stringente confutazione dei dogmi della scienza classica e di ogni idea deterministica, Faggin trova una fondamentale leva di sostegno alle sue tesi nella fisica quantistica.
“Quando il materialismo afferma che la realtà fisica è tutto ciò che esiste e che la coscienza è secondaria – scrive – non solo fa un pessimo servizio all’umanità, ma il vero problema è che sbaglia…. Già un numero crescente di scienziati comincia ad interrogarsi sulle ‘anomalie’ su cui si preferisce sorvolare, e che invece sono delle crepe profonde in quello che sembrava un principio inattaccabile. Attraverso queste anomalie filtra la luce di una realtà ben diversa da quella prospettata dalla fisica corrente”.
Molti si lasciano affascinare dall’ idea che la materia sia composta da “unità elementari indivisibili” e che queste siano “oggetti”. Ma proprio la fisica quantistica ha demolito queste asserzioni. Prendiamo la Natura.
I materialisti considerano ragionevoli le leggi della fisica classica, ma queste, osserva Faggin, non contemplano che la Natura abbia la coscienza e il libero arbitrio che ci distinguono: “Se la Natura è cosciente e ha libero arbitrio, come suppongo, le leggi fondamentali della fisica debbono essere
indeterministiche e probabilistiche, proprio come lo sono le leggi della fisica quantistica”.
Abbattere i pregiudizi non è certo facile, ma Faggin riesce a rendere lineare, comprensibile e legato alla verità il modello che propone. Se il pregiudizio dei materialisti porta a ritenere che i computer potranno in futuro essere coscienti, il Nostro non esita a dimostrare, nel suo splendido saggio, che la loro predizione è basata su due presupposti, entrambi errati: che la coscienza emerga dal cervello e che la vita sia un fenomeno classico che può essere riprodotto da un computer. Se la realtà fosse così, il nostro futuro sarebbe senza speranza.
Invece, le cose non stanno in questo modo. Alla visione materialistica e deterministica, Faggin contrappone, in sintesi, un modello in cui la coscienza, il libero arbitrio e la vita esistono sin dall’inizio, come semi all’interno di un Tutto olistico che contiene anche le proprietà fondamentali che permettono l’evoluzione dell’universo inanimato.
Il suo è un grido, uno stimolo, un appello a svegliarsi dal sonno della coscienza e a comprendere “che noi siamo la Natura e che la Natura è dentro di noi”. E sentirsi superiori alla Natura è “la sorgente fondamentale della nostra distorsione, ed è la causa prima
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