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Un libro per amico

A cura di Silvano Moffa



Georg Ganswein con Saverio Gaeta, "'Nient'altro che la verità' La mia vita al fianco di Benedetto XVI"

"Quando nel febbraio del 2003, il cardinale Joseph Ratzinger mi chiese di diventare il suo segretario privato, presentando il mio nuovo ruolo nella Congregazione per la Dottrina della fede fece notare che entrambi eravamo ‘provvisori’…In realtà, quell’annunciata provvisorietà divenne una presenza stabile per molti anni, fino alla sua morte".

Inizia così il racconto dell’arcivescovo Georg Ganswein raccolto da Saverio Gaeta in un libro appena uscito dopo la scomparsa del Papa emerito, un libro che sta facendo tanto discutere.

Il suo è un racconto che lascia il segno. La testimonianza della persona che più è stata a contatto con Ratzinger nel corso della sua vita pastorale e del suo pontificato, il fedele segretario che lo ha accompagnato nel monastero “Mater Ecclesiae”, negli anni del ritiro. Una vicinanza e una frequentazione che hanno consentito a padre Georg, oggi arcivescovo, di entrare in piena sintonia con il pensiero e l’azione di uno dei più colti e teologicamente preparati Pontefici nella storia della Chiesa.


“Joseph Ratzinger – scrive nella postfazione Saverio Gaeta – è stato un uomo e un Papa non pienamente compreso anche per queste sue peculiari doti intellettuali e spirituali. Qualità che disturbano l’instabile equilibrio di una società troppo sbilanciata sull’edonismo e sull’effimero, speranzosa soltanto di ‘trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha’ (con la felice espressione del cantautore Vasco Rossi), o compiaciuta di essere post-moderna e liquida, dove cioè ‘il cambiamento è l’unica cosa permanente e l’incertezza è l’unica certezza’ (come recita l’aforisma che sintetizza la prospettiva del sociologo Zygmunt Bauman)”.

Raccontando di sé stesso, della sua costante frequentazione di Ratzinger, fin dalla sua nomina a suo segretario quando, da cardinale, il Papa emerito era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, don Georg ci offre il profilo di Benedetto XVI come forse nessun altro avrebbe potuto. Ne vien fuori un libro che ci aiuta a penetrare anche le vicende più delicate e discusse del suo pontificato. Non si sottrae, l’autore, a quell’opera di chiarimento e di corretta interpretazione del pensiero profondo del teologo rigoroso, qual era Ratzinger, lasciato spesso solo a difendersi da fraintendimenti spesso malevoli.

Illuminanti le pagine dedicate al rapporto, intenso e proficuo, con Giovanni Paolo II.

Due anime in sintonia. Tanto in sintonia che Joaquìn Navarro-Vals, lo storico portavoce e confidente di Papa Wojtyla, ebbe a confessare:” Non hanno precedenti le parole che il Pontefice scrisse un anno prima di morire, dove per la prima volta menziona con una lode esplicita e molto eloquente un collaboratore vivo, al quale esprime gratitudine per la sincera amicizia.

Da parte sua, Benedetto XVI non ha lesinato opportunità per ricambiare. “Posso personalmente testimoniare – racconta don Georg – che una delle prime sollecitudini da Papa fu quella di adempiere quanto programmato dal suo predecessore, a cominciare dalla visita pastorale a Bari per la conclusione del Congresso eucaristico nazionale (29 maggio 2005) e dal viaggio apostolico a Colonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù (18-20 agosto 2005).” Né è stato un caso se Papa Ratzinger abbia voluto fare il suo primo viaggio all’estero in Polonia come “intimo dovere di gratitudine per tutto ciò che Giovanni Paolo II, durante il quarto di secolo del suo servizio, ha donato a me personalmente e soprattutto alla Chiesa e al mondo”.

Tra loro c’era una chiara differenza caratteriale e di stile: in quanto a formazione, Karol Wojtyla era un filosofo, mentre Joseph Ratzinger era un teologo. “In fondo si potrebbe dire - annota don Georg – che Papa Wojtyla era più indirizzato verso l’interrogazione filosofica e la ricerca intellettuale, mentre Ratzinger più alla chiarezza teologica e al rigore interpretativo.

Ma a tutti noi appariva con evidenza come questi elementi si fondessero in una complementarità”.

Questi elementi di complementarità si manifestarono in più di un’occasione, anche quando ci furono divergenze. Ratzinger avvertiva come problematica una situazione che si era creata con la riforma della Curia romana voluta da Paolo VI. Il sostanziale coordinamento dei dicasteri vaticani da parte della Segreteria di Stato, guidata da Agostino Casaroli fino al 1991 e successivamente da Angelo Sodano, imponeva talvolta una scelta su cosa privilegiare fra la saldezza della dottrina e la duttilità della diplomazia.

Anche se Ratzinger da prefetto cercava di mantenere buoni rapporti con tutti e di smussare gli spigoli più acuti, qualche situazione locale imponeva una maggiore attenzione e spesso si trovava a dover caldeggiare con Giovanni Paolo II soluzioni divergenti da quelle proposte dal Segretario di Stato. Tra i casi più rilevanti, don Georg cita la questione sorta in Germania sul rilascio dei certificati di colloquio alle donne che intendevano abortire.

Questione spinosa, che aveva provocato una fitta corrispondenza tra la Segreteria di Stato, la Congregazione e la Conferenza episcopale tedesca sul ruolo dei consultori. La natura di questa attestazione risultava ambigua. Si era di fatto trasformata in un’autorizzazione all’esecuzione depenalizzata dell’aborto nelle prime dodici settimane di gravidanza.

Tra i cardinali Sodano e Ratzinger c’era diversità di vedute su come affrontare il problema: il primo più attento ai risvolti politici della vicenda e ai buoni rapporti con la presidenza di quella Conferenza episcopale, mentre il secondo aveva a cuore innanzitutto l’intera questione etico-morale e le conseguenze dottrinali e pastorali che ne sarebbero scaturite.

Alla fine, la disputa si risolse con una lettera di Papa Wojtyla indirizzata ai vescovi tedeschi nella quale si stabilì “che un certificato di tale natura non venga più rilasciato nei consultori ecclesiastici o dipendenti dalla Chiesa.”

In precedenza, un momento di dissonanza fra Ratzinger e Giovanni Paolo II era stato l’incontro interreligioso per la pace del 27 ottobre 1986 ad Assisi, al quale il cardinale non ritenne opportuno partecipare perché vi intravedeva il rischio di una confusione tra le diverse espressioni di culto dei 62 capi religiosi convenuti nella cittadina di San Francesco.

Temeva, in sostanza, che la sua presenza fosse equivocata come una valutazione favorevole. “Effettivamente – racconta don Georg – in alcune chiese si svolsero cerimonie inappropriate, per esempio con l’esposizione della statua di Budda vicino a un tabernacolo, oppure con la preparazione del calumet della pace su un altare; e anche riguardo all’appuntamento pomeridiano nella piazza inferiore della basilica, dove i diversi gruppi si ritrovarono insieme, la sequenza di preghiere, seppure scandite da una pausa fra ciascuna di esse, diede avvio a polemiche su sensazioni di sincretismo o di cedimenti al relativismo.”

Fedele alla sua funzione, Ratzinger non esitava a rappresentare a Papa Wojtyla le sue perplessità e i rischi di possibili derive. Nel caso citato, Giovanni Paolo II non ne tenne conto, salvo successivamente, accorgersi che i timori espressi dal cardinale non erano del tutto peregrini. Nella seconda edizione del 24 gennaio 2002 il Papa polacco chiese di curare maggiormente i dettagli delle cerimonie e Ratzinger, su richiesta esplicita del Pontefice, fu tra i partecipanti.

Da Pontefice Benedetto XVI ebbe sempre ben chiara la sua missione. Don Georg ne illustra i caratteri salienti. “Sempre chiarissima in Benedetto XVI fu la convinzione che la fede cristiana, per poter essere e rimanere una fede umana, deve cercare costantemente il dialogo con la ragione umana”

Lungo il corso del pontificato, Benedetto XVI si è confrontato con leader politici e culturali di numerose nazioni e delle principali istituzioni internazionali. Un confronto da cui è scaturito un consistente complesso di riflessioni sull’ordinamento politico e giuridico, sulle problematiche fondamentali della società, del rapporto, appunto, tra fede e ragione, tra legge e diritto, tra giustizia e libertà religiosa. Famoso il discorso tenuto all’Onu sui diritti della persona, basati e modellati sulla natura trascendente della persona. Altrettanto incisivo quello tenuto nel settembre del 2008 a Collège des Bernardins di Parigi, dove Benedetto, parlando alle élite culturali di una Francia secolarista e diffidente verso le religioni, descrisse il contributo della fede cristiana allo sviluppo della civiltà europea. L’esempio da lui portato fu quello dei monaci benedettini, impegnati in una ricerca continua di Dio utilizzando anche le scienze profane: scrittura, studio della grammatica, biblioteca, scuola, sono tutte componenti che fanno parte del monachesimo occidentale.

Insieme con la cultura della parola, essi espressero la cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Nella Wesminster Hall di Londra, il 17 settembre 2010, Benedetto si trovò a parlare nel Parlamento più antico dell’Occidente della tradizione democratica liberale senza sottacere preoccupazioni e premure affinché un’autentica libertà di religione fosse messa al riparo, in Occidente, da ogni forma di sottile minaccia. Infine, nel discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011, andò alla radice della questione, toccando il tema del fondamento dell’ordine giuridico e dei limiti del positivismo giuridico, dominante in tutto il continente lungo il corso del XX secolo.

Il racconto di don Georg abbraccia, come è naturale, anche le fasi più intense ed emozionanti della vita di Ratzinger: i momenti salienti e storci della storica rinuncia al soglio petrino, il rapporto, altrettanto stretto, con il suo successore Papa Francesco, l’inedita convivenza di un Papa effettivo e un Papa emerito, la lunga fase contemplativa, di studio e di meditazione nella solitudine del monastero e gli ultimi istanti di preghiera prima di tornare alla casa del Signore.

Una vita complessa, punteggiata da profonde amarezze indotte da pregiudizi, maldicenze, malevole interpretazioni del suo pensiero e della sua missione, alcune provenienti dagli stessi ambienti curiali. Nel novembre del 2004, pochi mesi prima di essere eletto al pontificato, Joseph Ratzinger rispose con determinazione al vaticanista Marco Politi, che lo interrogava sul suo atteggiamento dinanzi al futuro, che “ottimismo e pessimismo sono categorie emozionali: io penso di essere realista”. Secondo don Georg è stata proprio questa la cifra che lo ha sempre guidato, sia da teologo e da professore, come da cardinale e da Pontefice, nell’elaborazione di giudizi qualificati e nell’esposizione di ragionevoli posizioni.



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