Da qualche mese si torna a parlare sempre più assiduamente di energia nucleare e di come possa contribuire attivamente a velocizzare il processo di indipendenza energetica dalle fonti a carbone fossile e, più in generale, nel processo di transizione ecologica.
Lo scorso 6 marzo il gruppo italiano Ansaldo e il colosso francese Edf, insieme con l’italiana Edison, hanno firmato una lettera di intenti (Loi) per collaborare allo sviluppo e all’applicazione della tecnologia in materia di energia nucleare in Europa, e favorirne la diffusione anche nel nostro Paese, dove attualmente lo sviluppo del nucleare è bloccato dal referendum del 1987. L’accordo sarà poi oggetto di accordi vincolanti che verranno successivamente definite dalle parti.
L’obiettivo chiaramente è quello di verificare quali sono le potenzialità di sviluppo e di applicazione del nucleare in Italia, attualmente in una situazione di difficoltà dal punto di vista della sicurezza e dell’indipendenza energetica. L’intesa apre così nuovi scenari e nuove possibilità per lo sviluppo di alternative al potenziamento della produzione di energia rinnovabile. È infatti l’occasione d’oro per l’Europa di affrancarsi finalmente dalla dipendenza dal gas russo – che nella situazione attuale costituisce il perno principale su cui fa leva la minaccia di Putin – e di sviluppare nuove fonti di energia a basso consumo di carbonio (low carbon). Non da meno è anche l’opportunità per l’Italia di mettere in risalto le competenze in materia del gruppo Ansaldo Nucleare e quindi, di rifesso, di portare un’accelerazione alla filiera industriale del nostro Paese. Oltre a costituire a monte un punto di contatto per i rapporti bilaterali coi nostri cugini d’Oltralpe dal punto di vista politico, aprendo nuove opportunità di collaborazione per il futuro.
In questo senso andranno a confluire le competenze specifiche di ogni parte: il gruppo Ansaldo Energia e Nucleare dal punto di vista dello sviluppo delle componenti e della fornitura dei servizi per l’industria energetica e nucleare; Edf come primo produttore di energia nucleare globale, attualmente impegnato nello sviluppo di progetti innovativi in ambito nucleare e con l’ambizione di promuovere nuove partnership internazionali a sostegno degli obiettivi europei di Net Zero; ed infine Edison come player del settore energetico e come azienda trainante nel processo di transizione energetica.
Come già detto, l’expertise congiunta dei tre firmatari andrà a costituire un valore aggiunto allo sviluppo del nucleare in Italia in complementarità con un’accelerazione del processo di approvvigionamento energetico derivante da fonti rinnovabili. Questo, in ottemperanza a quanto previsto dai target europei di decarbonizzazione e neutralità climatica fissati al 2050. È stata la spinta di Net Zero 2050 (ne abbiamo parlato qui) e della transizione ecologica in generale a riportare in qualche modo in auge, soprattutto nel nostro Paese, la discussione sui reattori nucleari. L’aumento della richiesta dei combustibili fossili, a fronte della difficile situazione di carenza energetica venutasi a creare, ha permesso di ragionare sulla necessità impellente di sopperire alla mancanza di una fonte energetica sostenibile da affiancare all’eolico e al solare. Come insegnano i francesi infatti, l’energia nucleare può realmente costituire una fonte valida di produzione di energia, essendo tra quelle che generano un quantitativo di emissioni di CO2 e un consumo di suolo molto ridotti rispetto alla potenza elettrica installata e consentendo di programmare in maniera ottimale la produzione. Già in molti Paesi nel mondo investire nel nucleare non è più un tabù. Inaspettatamente l’Asia è in cima alla classifica per quanto riguarda l’aumento della capacità nucleare, con l’eccezione del Giappone, più cauto a causa dopo il disastro di Fukushima del 2011. La Cina supererà gli Stati Uniti entro il 2025 nella costruzione di nuove centrali e gli Usa, dal canto loro, stanno puntando a sviluppare progetti per sistemi nucleari più piccoli, anche noti come small modular reactor (o SMR), dei reattori modulari più piccoli, più veloci e soprattutto più economici da costruire.
Perché allora in Italia, come in altri Paesi europei, esiste ancora questa ritrosia nei confronti di un tipo di energia che potrebbe potenzialmente apportare così tanti benefici sia in termini di indipendenza energetica che in termini economici per la nostra industria? Non si può certo non considerare il dibattito ideologico legato alla ricerca del consenso politico e sociale legato all’atomo. Ma quel che più preoccupa è la necessaria rapidità con cui dobbiamo raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica associata ai tempi di realizzazione medi di una centrale nucleare, che potrebbero estendersi anche a 10-15 anni. Nondimeno, i costi elevati che il progetto genererebbe. Infatti, da uno studio pubblicato nel 2020 che ha preso in considerazione due intervalli di tempo distinti - uno che va dal 1976 e il 1987 e l’altro che va dal 1987 al 2017 – è risultato che nel secondo intervallo di tempo i costi maggiori erano dovuti all’aumento dello spessore della struttura di contenimento dei reattori. Mentre l’aumento dei costi registrati per i progetti di impianti nucleari nel primo intervallo di tempo considerato è stato causato dalle cosiddette “spese indirette”, che comprendono la progettazione, l’amministrazione, le fasi di avvio dell’impianto e così via.
Questo vuol dire che a conti fatti, paradossalmente investire sulla costruzione di un nuovo impianto nucleare converrebbe più che farlo su progetti già esistenti.
Dal lato europeo non va meglio, è recentissima la notizia dell’approvazione, da parte della Commissione europea del Net Zero Industry Act, un nuovo piano industriale pensato per rafforzare la capacità produttiva europea in otto settori chiave per la decarbonizzazione, in cui però non rientra il nucleare. Un passo indietro rispetto alla proposta dello scorso anno, quando si annunciava l’intenzione di includere il nucleare e il gas nella tassonomia dell’Unione Europea.
C’è un però da tenere in considerazione, che è legato alla necessità. Come il detto, di necessità si fa virtù, non si può non tenere conto dell’urgenza che ci troviamo di fronte e il peculiare periodo storico che stiamo vivendo. È oramai sempre più evidente che la transizione ecologica deve essere efficiente ma ancor di più rapida, ed affidare l’intero processo allo sviluppo dell’eolico, del solare e delle altre rinnovabili, per quanto fondamentale, rimane una strategia zoppa. Il problema da risolvere immediatamente sta intanto nella comunicazione. Occorre necessariamente abbandonare quella dialettica utilizzata finora, una visione settaria del mondo energetico, che mette in continua competizione le due fonti energetiche, tralasciando la visione di insieme secondo cui le due possono e anzi, devono coesistere per esercitare appieno il loro ruolo nella transizione ecologica.
Tanto più che da un rapporto della IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia) è risultato che l’energia rinnovabile continuerà nel 2050 ad apportare un “contributo significativo” alla rivoluzione verde, tanto che sarà necessario raddoppiare la produzione di economia nucleare, pur mantenendo costante la sua percentuale di contributo rispetto a quella delle rinnovabili. Che non sia questa l’ennesima occasione sprecata per l’Unione, e soprattutto per il nostro Paese, di porsi come carro trainante in questo cambiamento epocale.
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