top of page

L'incubo di una guerra biologica

Il 6 e il 9 agosto 1945 due esplosioni nucleari distrussero le città di Hiroshima e Nagasaki uccidendo moltissime persone; il numero stimato delle vittime dirette oscilla tutt’ora tra le 150.000 e le 220.000 perché non fu mai possibile calcolarle esattamente; a queste si aggiunsero i decessi che continuarono a colpire la popolazione giapponese nel seguito degli anni per gli effetti delle radiazioni.

Nonostante tale tragedia, dagli anni cinquanta in poi, la corsa all’arsenale nucleare ha caratterizzato i sistemi difensivi delle grandi potenze in maniera sempre crescente fino a raggiungere livelli impensabili: alla fine della guerra fredda gli USA disponevano di circa 33.000 testate nucleari mentre nell’allora URSS sembra che ne fossero presenti 55.000.

Nel periodo successivo la tensione internazionale diminuì e, dagli anni novanta in poi, l’arsenale mondiale subì un notevole ridimensionamento sino a giungere - nel 2016 - ai primi negoziati di moratoria, conclusi l’anno dopo con il TPNW, cioè trattato per la messa al bando delle armi nucleari, cui aderirono almeno 50 stati. Non fu un grande successo per chi perseguiva il disarmo ma produsse un’effettiva diminuzione (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) dell’apparato bellico di molte nazioni non firmatarie, in quanto tutte le grandi potenze come USA, Russia, Cina e India non aderirono mai a tale trattato.

Questa breve premessa per dire come il mondo riconosce la pericolosità di tali armi e cerca di bandirle, perché è evidente che il loro uso avrebbe conseguenti devastanti sia per i belligeranti che per le nazioni non coinvolte direttamente nei conflitti, ma i grandi della terra, per reciproci timori e diffidenze, conservano tali ordigni a scopo di deterrenza e difesa.

È opportuno a questo punto fare una considerazione che riguarda un’altra dimensione della guerra, quella biologica; infatti la recente esperienza della pandemia di Covid 19, dichiarata esaurita a metà marzo 2023 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo i 6, 8 milioni di morti ufficiali, dovrebbe far riflettere come il mondo si mostri ancora di più indifeso ai rischi di una guerra batteriologica e come sia ancora più urgente perseguire una moratoria internazionale più efficace e più stringente, perché il pericolo è 15 volte maggiore e senza confini.

Va ricordato in proposito che la guerra batteriologica o biologica vanta una storia millenaria, perché Erodoto parla di frecce avvelenate usate dagli arcieri Sciti nel VII secolo A.C., probabilmente infettate con un batterio (forse un Clostridium).

Circa duemila anni dopo, nel 1343, i Mongoli del Khan Ganī Bek, dopo due anni di inutile assedio a Caffa, città fortificata eretta in Crimea dalla Repubblica marinara di Genova, prima di andarsene e, già decimati dalla peste, gettarono oltre le mura dei cadaveri infetti (verosimilmente dal batterio Yersinia pestis), che, oltre a contagiare gli abitanti - attraverso i superstiti che fuggivano - arrivò in Europa dove scatenò la seconda e più grave pandemia di peste che la storia ricorda.

Prima della seconda guerra mondiale sia Giappone che Stati Uniti fecero diversi studi di armi basate su agenti patogeni, che puntavano sulle infezioni sia dei soldati che della popolazione civile.

Nel 1969 si ebbe la prima svolta perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) diffuse un rapporto in cui denunciava l’impossibilità di controllare e contenere le armi biologiche, cui segui la stesura del trattato BWC (Biological Weapons Convention), firmato 10 aprile 1972 da 143 paesi ed andato in vigore il 26 marzo del 1975, che vieta lo sviluppo e lo stoccaggio di armi biologiche e tossiche. Con tale accordo multilaterale, che annovera, tra firme iniziali e adesioni successive, 184 stati (vale a dire oltre il 90% delle nazioni esistenti, comprese tutte le grandi potenze) è stato affermato il divieto assoluto di sviluppare, produrre, stoccare o trasferire agenti microbiologici o biologici, tossine, come di produrre e detenere armi, vettori e equipaggiamenti destinati all’uso di armi batteriologiche e tossiniche (art. 1).

Il trattato, oltre a tali disposizioni, prevede che ogni Stato membro abbia il diritto di promuovere e partecipare ad attività di scambio di equipaggiamento, materiali, informazioni scientifiche e tecnologiche e agenti biologici e tossine destinati all’uso per scopi pacifici (ad esempio, in relazione alla ricerca medica).

Purtroppo, nonostante tale trattato (art. 7) impegni ogni Stato aderente a fornire assistenza o altra forma di sostegno a qualsiasi altro Stato che lo richieda, se quest’ultimo - a giudizio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU - è stato vittima di un atto proibito ai sensi della convenzione, la recente vicenda cinese ha evidenziato come la trasparenza e l’informazione tempestiva su quanto accadeva nel laboratorio di Wuhan sono completamente mancate, sia sull’origine del coronavirus sia sulla fuga dal laboratorio.

Nella sostanza, se è abbastanza improbabile che un deposito atomico deflagri senza controllo, è invece concreta la possibilità che un laboratorio stia studiando virus chimera, senza informarne la comunità mondiale, in considerazione del fatto che - stanti le regole attuali - è praticamente impossibile verificare efficacemente se lo scopo è scientifico o medico (ricerca vaccini o antidoti) ovvero si stia studiando, anche a scopi difensivi, un’arma biologica.

Il dramma del coronavirus e più in generale i rischi dei virus RNA, attraverso i salti di specie e le mutazioni, probabilmente hanno fatto comprendere come la guerra biologica sia la più grande follia che l’uomo possa immaginare, in grado di provocare distruzioni di massa enormi e incontrollate, cui non è pensabile nemmeno far fronte producendo in tempi rapidi il vaccino.

Constatato, infine, che anche l’epidemia della SARS partita, guarda caso, dalla provincia di Canton nel novembre del 2002 (toccando 17 paesi, con un migliaio di morti), non ci aveva insegnato nulla, oggi la comunità internazionale dovrebbe riflettere più a fondo e definire regole più stringenti per gli istituti di ricerca biologica in qualunque parte del mondo si trovino, aumentando le comunicazioni scientifiche, la reciproca informazione/collaborazione tra gli stati e soprattutto i controlli tecnici, in modo da non trovarsi scoperti nemmeno nei possibili casi di errori umani o accidenti naturali. In altri termini se un laboratorio lavora per la salute umana e la sicurezza scientifica non può e non deve avere segreti; se nasconde dati, informazioni e obiettivi vuol dire che è un pericolo per tutti, a qualunque nazione appartenga, e diventa il vero nemico del mondo!



7 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page