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La vergogna dietro i mondiali

Si stanno ormai per concludere i mondiali di calcio e più volte nei giorni scorsi la stampa ha sottolineato il mancato riconoscimento dei diritti umani in questo paese e quanti drammi umani siano avvenuti durante la loro preparazione, rimasti negati e coperti dagli scintillanti palazzi di Doha e dalle imponenti strutture che ospitano le gare, mentre solo in parte è emersa la scandalosa corruzione che è stata messa in atto per organizzare la manifestazione.

Ricordiamoci che l’intero “board” della FIFA è finito in manette dopo che sono state documentate le dazioni per milioni di dollari ricevute dai singoli suoi componenti per votare questa sede, mazzette che hanno poi portato all’azzeramento dei vertici.

Il Qatar è un paese anomalo, dove i diritti dei lavoratori e la stessa democrazia sono un optional e ne ho parlato a lungo in un mio libro (“INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE Quello che non ci dicono su Africa, Islam ed immigrazione”, ed. Il Borghese).

Chi fosse interessato a leggerlo può richiedermelo via mail a marco.zacchera@libero.it scoprendo le infinite sfaccettature di queste teocrazie emiratine che piacciono tanto soprattutto a chi ha messo soldi da quelle parti.

Ricordiamoci che secondo Amnesty International e Human Rights Watch (e come documentato da una serie di inchieste apparse l’anno scorso sul Guardian di Londra) sarebbero stati circa 6.500 i morti solo tra i lavoratori edili addetti alle costruzioni e di fatto deportati nel paese senza diritti ed oggetto di un inaudito sfruttamento.

Allettanti infatti da un guadagno molto al di sopra del povero livello di vita dei loro villaggi, centinaia di migliaia di persone provenienti da Pakistan, Bangladesh, Sry Lanka, India, Nepal e da molti paesi africani sono arrivati in Qatar scoprendo subito che la realtà era ben diversa da quella che era stata loro promessa. Per tutti la solita storia: un “reclutatore” che passava nei villaggi e prometteva soldi senza sottolineare troppo che a carico dei lavoratori restano le spese di viaggio, il vitto e l’alloggio e che quindi - arrivando - si sarebbero trovati già indebitati fino al collo. Anche perché, nonostante le promesse della teocrazia al potere in Qatar - paese di cui Gianni Infantino, presidente della Fifa, è talmente innamorato da esserne diventato cittadino - non è mai stato abolito il sistema della kafala (“garanzia”) che permette ai datori di lavoro di requisire subito i passaporti dei lavoratori migranti - dichiarati subito ufficialmente “debitori” - che già all’arrivo restano così senza documenti e la possibilità di lasciare il paese, ma anche di cambiare padrone o mestiere.

La Kafala concretizza un concetto preso a prestito dall’Islam, una specie di tutela per gli esseri inferiori che dovrebbe valere per donne vedove o rimaste senza marito e bambini minori, ma che in questo caso è stata adottata per gli immigrati. Un sistema che ha funzionato in milioni di casi, con il “kafil” che comandava senza sconti e spesso con la violenza e con l’immigrato che senza documenti non solo non poteva più espatriare o cambiare lavoro ma che non poteva affittare una casa, avere un conto in banca e visto che non parla – ovviamente – la lingua locale, non poteva nemmeno protestare o rivolgersi alla polizia o a un sindacato (peraltro vietati nel paese), né aver accesso a servizi sanitari o diritto ad assicurazioni sul lavoro.

Su internet si possono leggere storie incredibili di persone segregate per mesi, fustigate per “disobbedienza” o morte di stenti in un clima da medioevo. Gente trattata come animali condividendo “a ore” un letto con turni di 60 ore di lavoro settimanali senza turni di riposo e - ricordiamoci - lavorando in un clima estremamente caldo.

Quello che tutti si sono chiesti è se la corruzione nella FIFA sia stata effettivamente cancellata o se tuttora imperversi. Il dubbio c’è, viste anche le dichiarazioni demagogiche del nuovo presidente FIFA Gianni Infantino che - sommerso dalle critiche per il perdurante mancato rispetto dei diritti umani in Quatar - ha avuto l’indecenza di affermare nelle conferenze stampa di apertura che "Per quello che noi europei abbiamo commesso negli ultimi 3.000 anni dovremmo scusarci almeno per i prossimi 3.000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri paesi.

Queste lezioni morali sono solo pura ipocrisia".

Ipocrisia? Preso atto che per la FIFA il Qatar è un paese felice, Infantino ha detto di sentirsi "arabo", "gay", "lavoratore migrante" e intanto ne ha preso pure la cittadinanza, chissà se facendo un pensierino alla mancanza di trattati di estradizione verso questo piccolo stato del Golfo, se mai saltassero fuori future indebite ingerenze.

Perché non si tratta solo di diritti negati ai lavoratori, in Qatar non si possono professare in pubblico altre religioni oltre l’Islam, non è ammessa l’omosessualità, le donne sono oggetto di “vestiti adeguati”, non si devono bere alcolici (pensate alla gioia delle ditte di birra sponsor del mondiale!) e perfino per le turiste c’è stato l’obbligo di non indossare pantaloncini corti o magliette senza maniche, ma solo vesti che coprano ginocchia e spalle.

Perché - alla fine - resta la questione di fondo: ma senza una adeguata corruzione, chi mai avrebbe pensato di organizzare dei mondiali in un paese dove praticamente non si è mai giocato a calcio?


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