Chi di voi non ricorda Truman Burbank, il personaggio inconsapevolmente “incastrato” in un mondo finto e costretto, a vivere in esso, come una cavia di un esperimento. Geniale è stata anche la scelta del nome del personaggio, Truman, a ricordare foneticamente le parole: True e Man ovvero “uomo vero”. Scelta quella del nome che è in contrapposizione con la storia della pellicola che, come si diceva, intrappola questo “uomo vero” dentro un “mondo finto” creato appositamente per meri scopi di business. Ricorderete anche che Truman nel film, scopre che i primi trent’anni della propria vita non sono stati altro che una messinscena esattamente come i prigionieri della Caverna di Platone, che quando si liberano dalle catene, scoprono di aver vissuto lontano dalla realtà, in una artificiosa finzione.
Platone, con la sua dottrina, ci comunica che la nostra percezione della realtà è come quella degli uomini legati dentro una caverna e rivolti verso una parete. Sulla parete possono scorgere delle ombre prodotte da un gioco di luce; alle loro spalle, infatti, si trova una luce e delle figure che passano e che si proiettano su questa parete.
Essendo i prigionieri nati dentro la caverna, essi non riescono ad uscire da un paradigma mentale fornitogli fin dalla nascita. Di conseguenza non si accorgono di essere parte di una finzione. La loro realtà è fatta di quelle ombre che passano. Platone, però, ci mostra come, uno dei prigionieri, riuscendo a slegarsi, può voltarsi e guardare al di la del muro e vedere la luce che le genera e uscire dalla caverna per giungere al luogo da dove le ombre provengono. Molti di voi si chiederanno a questo punto cosa c’entra tutto questo con le tecnologie e le scienze che nella nostra rubrica spesso trattiamo?
La domanda che ci poniamo ed a cui vorremmo provare a dare una risposta, seppur sommaria, è legata alla digitalizzazione. Siamo sicuri che digitalizzare non rischi di condurci in un mondo finto e manipolato dai poteri forti alla stessa stregua di quanto accaduto al povero Truman? Del resto, la rivoluzione digitale che stiamo vivendo, sta cambiando drasticamente, non solo la nostra esistenza, ma, persino, il nostro stesso modo d’essere.
La realtà virtuale, l’automazione sempre più intelligente, si sono evolute in modo esponenziale e sono utilizzate, oggi, in molteplici attività umane e per svariati scopi: medico, scientifico, lavorativo e, ovviamente, anche ludico. Il mondo artificiale, che si vive nelle esperienze di realtà virtuale più avanzate, consente di muoversi liberamente in uno spazio che potremmo definire “virtualmente reale”, ovvero così coinvolgente che, difficilmente ci si ricorda di non trovarsi in un mondo vero, giacché si provano emozioni e sensazioni reali e si ha l’opportunità di essere protagonisti di situazioni e di esperienze che, nel mondo tangibile, è difficile, anche solo immaginare.
Basti pensare alla immersività offerta dal meta-verso! Dunque, la realtà virtuale agisce sulle nostre capacità percettive, sul sistema che determina la nostra idea di realtà, illudendoci che la sua rappresentazione corrisponda ad una realtà effettiva e, tanto più è alto il grado di coinvolgimento dei nostri sensi, tanto più la nostra identità si destruttura e si convince di essere in relazione con il mondo esterno e non, come in effetti è, con una macchina tecnologicamente avanzata, capace di costruire un universo verosimile.
Ma facciamo un passo indietro e rivediamo assieme innanzitutto la definizione di “digitale”, bene la parola digitale è proprio contrapposta ad “analogico”! E chi ha avuto a che fare con il mondo dell’elettronica sa benissimo che analogico significa: basato su analogie con il mondo reale.
Pertanto possiamo osservare che nella stessa definizione di digitale è insita una qualche semantica che riconduce ad una riproduzione artificiale di qualcosa di reale.
Osservato questo, viene difficile non cadere nella tentazione di concludere che il rischio paventato nel quesito posto in precedenza sia, alla faccia della virtualità, più che reale!
Il progresso scientifico ha, altresì permesso di realizzare, anche macchine robotizzate che invertono i termini del virtuale, poiché non è l’uomo ad agire nella virtualità, ma è il robot, l’uomo virtuale che lo sostituisce nella realtà. In questa logica invertita possiamo includere tutti gli automi ed, in generale, tutti i sistemi cognitivi intelligenti artificialmente rappresentanti di una forma di virtualizzazione dell’essere. In sostanza, invece che essere virtualizzato il mondo intorno all’essere, diventa l’essere stesso, attore virtualizzato in un mondo reale.
Insomma si tratta ancora una volta di pesare l'interazione che c'è tra noi ed i sistemi artificiali. Interagire significa fondamentalmente scambiare informazioni, e scambiare informazioni significa trasferire la conoscenza.
Quindi anche il dato che veicola l'informazione ha un ruolo cruciale nella valutazione del rischio di finire come Truman. Una regola importante è quella di creare dei dati che, per quanto finti, siano rappresentativi del processo reale, qualunque esso sia.
Non farlo causerebbe il diffondersi di informazioni non reali, basti pensare alle fake news. I dati finti che creiamo sulla falsa riga di quelli veri sono, non a caso, denominati dati sintetici.
Un uso proprio di queste tecniche matematiche ci consente, da una parte di superare scogli legislativi come la riservatezza, permettendo l'adozione di sistemi che mangiano i dati con maggiore libertà e senza vincolo alcuno; dall’altra garantendo una piena conformità con il mondo delle normative sulla privacy, senza penalizzare chi poi utilizzerà tali dati.
Esempi di dati sintetici sono i libri, per il semplice fatto che essi rappresentano una informazione distillata dalla conoscenza di chi lo ha scritto; le tabelle di un database opportunamente elaborate da algoritmi di anonimizzazione; In generale qualsiasi rappresentazione del mondo reale in altre forme e mezzi. Tuttavia si osserva a mero titolo di esempio che rientra nella categoria dei dati sintetici, anche la fiction, il cui nome la dice tutta.
Cosa sarebbe di noi se fossimo educati solo dai messaggi che una fiction ci consegna?
Non faremmo la fine del povero Truman? Da quanto riportato sino ad ora, si evince, che i modi con cui la digitalizzazione può avvicinarci al caso del povero Truman sono molti.
Si può però anche concludere che il mondo finto non è solo opera della rivoluzione digitale, anzi addirittura ci fa capire che siamo comunque noi i registi delle nostre azioni, ed è da noi, e solo da noi, che dipende il futuro che ci aspetta, sia nell'universo analogico che in quello digitale in cui viviamo.
Comments