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Quell'orribile asterisco

Nell’era della suscettibilità usare il maschile e femminile è reato di lesa maestà (no, non si è cercata la rima). Le brigate dei “giusti” correggono le vocali finali, per includere tutt*, anzi oggi tuttƏ, nei plurali che, nelle lingue neolatine, usano il maschile come neutro, o più precisamente il maschile sovraesteso.

In sostanza se scrivo cari lettori - e in quel “lettori” è sedimentato un uso secolare, che rifletterà anche il patriarcato ma è in realtà ciò che la comunità dei parlanti capisce ed usa – sono escludente: allora posso scrivere cari lettori e cari lettrici, ma forse divento ridondante.

Allora si inventa di sana pianta un uso, e la vocale diventa un incolpevole asterisco (*) o, peggio ancora, un simbolo sconosciuto ai più, che si usa per le trascrizioni fonetiche per indicare quel suono tra a ed e che, se non sei madrelingua inglese, è difficile ti venga naturale.

Compaiono articoli scritti così (la Murgia sull’Espresso), interventi social, finanche una scuola a Torino decide di utilizzare nei suoi documenti, non lo schwa, questo il nome della e ribaltata, ma gli asterischi.

Ciò che a un bambino apparirebbe ridicolo, impossibile da sillabare, impossibile da leggere, diventa questione di genere, politica inclusiva, rispetto di scelte altre.

Due considerazioni, prima di tornare alla descrizione di questa deriva linguistica, minoritaria certo, ma di una minoranza che crede di essere giusta perché rispettosa nelle finali delle parole.

In primis, la violenza che si fa alla lingua scritta in questa maniera è della stessa sostanza di certe battaglie linguistiche dei regimi.

Se dimentico che l’italiano viene dal latino, che in italiano il neutro non c’è, che il mezzo per superare il gender gap non è scarabocchiare finali ma sostenere politiche a favore del lavoro femminile, non faccio un favore né alla parità di genere né all’ortografia.

Ma uso mezzi -questi sì patriarcali, direttivi, unilaterali- che impongono una neolingua, artificiosa, prima ancora che ridicola.

In seconda battuta, una domanda: come leggo un testo in cui i plurali sono contrassegnati da asterischi o schwa?

Luca Serianni, linguista e filologo, autore delle grammatiche più usate nelle scuole italiane, un “competente”, per usare un’altra parola molto alla moda, ha con forza negato che possa affermarsi un uso che non preveda il parlato, la possibilità della lettura, un uso che non è tale perché imposto. Una lingua che ha segni grafici che non corrispondono a suoni.

Una lingua afasica. La lingua, questo è il punto, la fanno le comunità dei parlanti: l’italiano standard è il frutto della evoluzione, questa sì democratica e non coatta, della lingua.

Che cambia, si adatta ai contesti, viene distorta e poi raddrizzata, brillante e rozza, dinamica e marmorea, ma, soprattutto, viva. Appare allora surreale il dibattito che coinvolge oggi, a più livelli, tanto le istituzioni quanto le singole persone.

Comincia a circolare in qualche scuola l’idea bizzarra di fare inclusione a colpi di asterischi, molte mail cominciano con car* tutt*, una casa editrice ha inserito la e ribaltata nelle norme editoriali, in sostituzione del maschile generico, o sovraesteso, fioriscono studi sul sessismo grammaticale.

Se una parola però non riesco a pronunciarla sono “senza voce”; si arriva così al paradosso per cui, per dare voce a tutti/tutte/tutt*, tolgo proprio l’unica possibilità di far sentire quella voce: leggere non solo per sé, parlare, gridare.

“Non sono un asterisco”, scrive lo scrittore Maurizio Maggiani, attirandosi critiche indignate. La necessità di intervenire in maniera così maldestra e supponente sulla nostra lingua parte da esigenze giuste, che riflettono la complessità della realtà, che si traducono però in interventi sbagliati.

L’asterisco non è un diritto civile ma un comodo surrogato di battaglie più importanti, che possano davvero incidere sulle vite delle persone, di qualunque orientamento siano: battaglie che non si fanno in salotto o inserendo un carattere speciale in un testo ma nelle aule parlamentari, nelle scuole, nelle associazioni, nelle famiglie: a favore di una società più giusta, che parla senza asterischi ma pratica diritti (maschile plurale) per tutte le persone (femminile plurale).

E a tutti e tutte dà voce.



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