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Una notte di orgoglio e riscatto. Quelle parole di Giorgia dopo la vittoria

Giorgia Meloni, nel suo primo ringraziamento pubblico dopo aver vinto le elezioni, prima ancora di ricordare collaboratori e famigliari ha pronunciato alcune frasi che sono scivolate via senza destare molta attenzione nella maggior parte dei commentatori, ma che hanno sicuramente toccato il cuore di chi si sente legato ad una Destra politicamente antica, negletta e dimenticata.

Quell’accenno “A questa notte, che per tanti di noi è una notte di orgoglio, di riscatto, di lacrime, di abbracci e di sogni”, ricordando “quelle persone che non ci sono più ad avrebbero meritato di vederla”. A chi si riferiva Giorgia Meloni?

Nella notte della sua consacrazione a leader, non credo proprio che facesse un riferimento al fascismo o a una ideologia, ma piuttosto a quella comunità umana nella quale è nata, che in qualche modo è sopravvissuta negli anni, strettamente legata a quella fiamma tricolore che del resto è restata nel simbolo di Fratelli d’Italia e che aveva causato tante polemiche ed ironie nell’ultima campagna elettorale, quasi che qualcuno la vedesse come oscura minaccia per la prima volta quando invece è stata su tutte schede elettorali italiane fin dal 1947.

Il simbolo di quella comunità che fu prima del Movimento Sociale e poi di Alleanza Nazionale, una comunità alla quale la Meloni non ha potuto appartenere per ragioni anagrafiche, ma alla quale ha mostrato di sentirsi legata in una sorte di continuità spirituale con un filo sottile che non è ideologico, ma identitario. La Meloni, infatti, non ha fatto in tempo a vivere la discriminazione, la violenza, le difficoltà delle due generazioni che l’hanno preceduta dopo che il fascismo era già morto e sepolto, ma – soprattutto nei suoi anni passati alla guida dei giovani della destra italiana - ha per lo meno potuto raccogliere le testimonianze di chi aveva tenuto stretto quel filo di continuità ideale e politica.

Anni di piombo in cui la discriminazione era evidente, ma non solo nella politica quanto soprattutto nelle scuole, sul lavoro, sulla stampa, nei diritti negati a chi era considerato emarginato e quindi “out”.

Episodi per fortuna inimmaginabili nella realtà di oggi a sottolineare quanto il nostro Paese si sia evoluto almeno nella tolleranza e rispetto reciproco. Non è la prima volta che la destra vince: Alleanza Nazionale già dal 1994 era andata al governo quando con Tatarella e Fini aveva istituzionalizzato una sua presenza ad ogni livello, ma la Destra era in qualche modo sempre rimasta sopportata ed “ospite” nel salotto buono della politica, restando ai margini dove comunque era sempre vista con sospetto.

Non si deve santificare nessuno, Meloni compresa, credo però che la sua vittoria l’abbia finalmente legittimata facendo definitivamente capire che alla lunga certi temi non “tirano” più se giocati con preconcetto, retorica e formalismo.

Forse gli italiani hanno superato ogni post-fascismo sostituendolo piuttosto con il concetto del “no” all’ autoritarismo che è cosa diversa e - come nel fascismo - così può concretizzarsi sotto ogni regime e a ogni latitudine.

Ecco che allora quel sottile filo ininterrotto cui ha accennato la Meloni potrebbe essere inteso anche come portatore di valori a volte non compresi, ma reali, e che sopravvivono nell’anima di un popolo che il 25 settembre ha per lo meno tentato una scelta alternativa - l’ennesima - per cercare di rompere schemi consolidati dimostratisi inconcludenti.

Oltretutto la Meloni sarà probabilmente la prima donna a capo di un governo, con le femministe che “rosicano” perché capiscono che non è una di loro, eppure –anche qui - l’essere una donna “normale” è stato uno degli aspetti vincenti che le hanno permesso di raccogliere simpatie a dimostrazione che non è questione di “genere” e di quote rosa, ma di valore e credibilità delle singole persone.


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