Mentre ci si incarta sull’elezione del capo dello Stato, i parlamentari s’accapigliano nel fare i conti su chi di loro lascerà Camera e Senato.
A tal fine si formano curiose combinazioni finalizzate a limitare i danni.
Naturalmente stravolgendo la legge elettorale e pasticciando con le candidature.
Uno spettacolo da Repubblica delle banane per assecondare l’allora trionfante Movimento Cinque Stelle, Fratelli d’Italia, la Lega e altre formazioni di minor peso che ritenevano eccessivo il numero dei deputati e dei senatori.
La verità stava altrove: nella volontà di pilotare piccole formazioni ed assicurare alle nomenklature partitiche un maggiore e più stringente controllo sugli eleggibili e sugli eletti.
La legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1, “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, venne varata per adeguare, si disse, agli standard europei, le assemblee legislative italiane.
La legge prevede la riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400 deputati ed i senatori (a parte quelli a vita) da 315 a 200.
Insomma un Parlamento elitario nel quale le Commissioni di merito legifereranno con minoranze risicatissime considerando le sempre eccessive assenze per missioni o per volontà.
Il che comporterà decisioni assunte da pochissimi eletti con conseguente dibattito ridotto ai minimi termini e con maggioranze facilmente trasformabili.
Si disse all’epoca che gli obiettivi erano quelli di favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle maggiormente in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini, oltre che a ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura).
L’Italia, infatti, sarebbe il Paese con il numero più alto di parlamentari direttamente eletti dal popolo (945); seguono la Germania (circa 700), la Gran Bretagna (650) e la Francia (poco meno di 600).
Già, ma perché dimenticare i rami del parlamento eletti in questi Paesi con altri sistemi?
Come mai non vengono conteggiati il Senato francese, la Camera dei Lord britannica che hanno competenze diverse dalle Camere dei rappresentanti, il Senato spagnolo e mettiamoci pure i Länder tedeschi che hanno vere e proprie competenze legislative e suppliscono al Senato che avrebbe dovuto essere una Camera delle rappresentanze territoriali e delle competenze, come prevedeva una vecchia proposta di riforma costituzionale.
Mettendo tutto insieme si arriva ai numeri che si sono voluti cancellare e soprattutto ad una minore rappresentanza lasciando, appunto, alle oligarchie un potere più esteso di quello che hanno oggi.
Intanto, mentre si discute con una certa tremarella negli ambulacri dei Palazzi, su chi rimane fuori e chi per grazia ricevuta tornerà dentro, non risultano approvate ben quattro modifiche al sistema elettorale ad un anno e mezzo (sempre che si voti alla scadenza stabilita).
E, tra elezione del presidente della Repubblica, varo di un nuovo governo (chiunque ascenderà al Colle, questa sarà la prima conseguenza), nuovi assetti partitici (inevitabili come si capisce dal dibattito di questi mesi), non ci sarà il tempo per adeguare la legge elettorale a cosucce che meriterebbero una attenzione meno superficiale: la riforma dei regolamenti di Camera e Senato; l’abbassamento a 16 anni (vera barzelletta) dell’età per esercitare l’elettorato attivo alla Camera, mentre il traguardo dei 18 per il Senato è già stato raggiunto; il superamento della base regionale per l’elezione del Senato a favore di quella circoscrizionale; la riduzione da 3 a 2 delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica.
Secondo l’articolo 83 della Costituzione, infatti, all’elezione del capo dello Stato concorrono anche 58 delegati regionali. Molti osservatori però hanno fatto notare che, con il taglio dei parlamentari, i delegati regionali assumono un peso eccessivo.
Essi infatti passerebbero dall’esprimere circa il 6% dei voti a circa il 10%.
Fino a pochi mesi fa, si prevedeva che gli adeguamenti potessero avvenire prima della scadenza del presidente Mattarella. Abbiamo visto come è andata.
I tempi sono diventati terribilmente stretti e si dispera di farcela. Se ciò accadesse la riforma sarebbe monca e incongrua. Ricordiamo che occorrono, seco do l’articolo 138 della Costituzione ben quattro passaggi parlamentari.
Ce la faranno i nostri ottimati a riformare inutilmente una legge della cui modifica nessuno avvertiva il bisogno? Abbiamo l’impressione che la politica peggiorerà sensibilmente segnata da una scarsa rappresentanza cui terrà dietro una ancor più striminzita partecipazione (l’aumento delle astensioni lo testimoniano eloquentemente), mentre il solo baluardo ad una espansione dell’interesse pubblico, vale a dire l’elezione diretta del presidente della Repubblica come simbolo dell’unità nazionale, viene affossato dai partitocrati e di contro i cittadini chiedono l’esatto contrario.
Il sistema è nelle mani di incapaci che lavoreranno nel disinteresse pubblico per allontanare la gente dalla politica.
Il taglio dei parlamentari è un colpo inferto alla politica che difficilmente si riprenderà dalle randellate di chi ritiene che meno rappresentati siano più efficienti di più rappresentanti, neppure sfiorati dal dubbio che soltanto una vasta area di eletti, espressioni delle piccole comunità, può rinsaldare il rapporto fiduciario tra le istituzioni e i cittadini.
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