A colloquio con l'artista di Segni le cui opere sono in mostra a Roma, nella galleria Vittoria di via Margutta
In una fresca mattinata di agosto, a causa delle condizioni climatiche insolite, vengo accolto presso lo studio dell'artista Antonio Fiore. Lo trovo affacciato al balcone, in attesa del mio arrivo, e la prima cosa che fa è guidarmi alla sua mostra permanente allestita sotto lo studio. Mentre navighiamo tra i suoi quadri, mi racconta la sua vita, i vari periodi artistici e condivide qualche aneddoto legato alla storia delle opere. Dopo questa breve visita guidata personalizzata, ci ritroviamo su un ampio terrazzo, dove inizierà la nostra conversazione-intervista.
“Per te dipingere è un atto spirituale. Ci spieghi questo concetto?”
“Uno dei tre elementi fondamentali nei miei quadri è la presenza di forme che hanno un senso di elevazione verso l'alto. Per me, che sono cattolico, questo rappresenta un movimento verso Dio, mentre per chi non condivide la fede religiosa, può simboleggiare la determinazione nell'ottenere un obiettivo, nel non arrendersi alle difficoltà, e nell'avere la forza di reagire. Le forme dinamiche futuriste, che costituiscono il secondo elemento, contribuiscono ad esprimere questo concetto di elevazione verso l'alto. Il terzo elemento chiave è il colore, il quale comunica una gioia di vivere. In questa concezione artistica, la spiritualità è intrinseca in tutti e tre gli elementi menzionati. Per me, l'arte trascende ogni considerazione, incluso l'aspetto economico. Faccio ciò che desidero, in quanto voglio sentirmi libero nel mio processo creativo. Quando realizzo un quadro, lo faccio prima di tutto per me stesso; se piace anche a chi lo osserva, ne sono naturalmente felice.
Questa filosofia ha portato alla creazione del quadro "Dignità", dedicato al discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo secondo insediamento, in cui ha ripetuto la parola "dignità" ben 18 volte. Questo discorso ha profondamente influenzato la mia mente, e ho sentito il bisogno di metabolizzarlo e di liberarmi da esso attraverso la creazione di un'opera d'arte. Una volta completato il quadro, molte persone mi hanno consigliato di farlo vedere al Presidente. Inizialmente ho risposto in modo ingenuo, dicendo: "Ma ho realizzato questo quadro per me stesso!". Tuttavia, ho inviato una lettera al Presidente, allegando una fotografia dell'opera.
La Segreteria del Quirinale mi ha contattato e mi ha chiesto di portare il quadro al Quirinale. Alcune settimane dopo, ho ricevuto una nota di ringraziamento dal Presidente, il quale aveva apprezzato l'opera.”
“Il colore è uno degli elementi fondamentali delle tue opere. Qual è la tua teoria del colore? E qual è il colore che ti trasmette di più?”
“Stamattina stavo rileggendo la testimonianza di Di Genova, in cui descrive che io trasferisco nel quadro tutta la mia gioia di vivere, aiutato dall'uso intenso dei colori acrilici. Mi sento profondamente coinvolto spiritualmente in questo processo. Il colore che riesce a trasmettermi maggiormente questa sensazione è il celeste, che mi riempie di gioia. Ma non posso dimenticare l'effetto che il blu oltremare, chiamato anche "colore Ufagrà", ha su di me. Il blu è un colore denso e avvolgente, che crea una sorta di dipendenza.”
“Riguardo la spiritualità futurista in cosa ti ritrovi maggiormente e in cosa non ti ritrovi?”
“Non mi è mai capitato di entrare in crisi con i valori futuristi. Per quanto riguarda l'arte sacra, mi ritrovo profondamente in sintonia con lo spirito religioso, simile a quando da bambino partecipavo attivamente alle funzioni. Balla si allontanò dal movimento futurista a causa di una crisi con Marinetti, il quale pur avendo firmato il manifesto dell'arte sacra, alla fine era fortemente anticlericale. Credo che sia essenziale rimanere sempre fedeli a se stessi; è questa la mia natura.”
“L’evento che stai per affrontare è molto importante. Che significato ha per te questa mostra?”
“L'evento doveva svolgersi nel 2018, in occasione del mio 80º compleanno e del 40º anniversario della mia attività artistica. Poi è arrivato l’invito del Comune di Assisi per una mia importante retrospettiva nei prestigiosi spazi di Palazzo Monte Frumentario, patrocinata dall’Assemblea legislativa della Regione Umbria e dal Comune di Segni. Tuttavia, il COVID-19 ha sottratto del tempo, interrompendo la pianificazione dell'esposizione. Sono abbastanza realista e, considerando la mia età, avevo delle preoccupazioni riguardo alla possibilità di realizzarla. Pertanto, ho affrontato questa sfida come una sorta di missione personale, un obiettivo da raggiungere. Ho deciso di portare avanti questa mostra e, in tale contesto, ho avuto l'opportunità di lavorare alla creazione di una monografia.”
“Come è fare l’artista nel 2023 e che rapporto hai con il digitale?”
“La vecchia scuola, composta da individui come me che sono cresciuti con il pennello in mano, incontra difficoltà nell'affrontare le nuove tecnologie digitali. Tuttavia, è altrettanto vero che la nuova generazione di artisti digitali non è inferiore a noi che proveniamo dalla tradizione artistica convenzionale. Essi utilizzano strumenti diversi che richiedono una certa competenza, ma che consentono di raggiungere gli stessi risultati. Ritengo che nel futuro questa sia la direzione che prenderà l'arte, e ho profondo rispetto per questa evoluzione. Potremmo considerare questo come la quarta fase del futurismo: dopo la cosmopittura, potrebbe emergere una fase digitale.”
“Uno degli argomenti ora più diffusi nel mondo digitale è l’intelligenza artificiale. Può una intelligenza artificiale fare e può interagire con l’arte?”
“In modo razionale, è certo che l'intelligenza artificiale possa creare arte, ma manca l'elemento del sentimento nella sua realizzazione. Mancano la creatività, la partecipazione e la capacità di percepire lo spirito umano. Potrebbe imitare alla perfezione un quadro di Van Gogh, ma mancherebbe l'anima dell'artista, la sua passione e anche la sua follia. Ciò che ne risulterebbe sarebbe una perfezione tecnica, ma al tempo stesso sarebbe privo di flessibilità e di calore umano.”
“Abbiamo citato la cosmopittura: ti capita di guardare il cielo la notte? Quali sono i tuoi pensieri?”
“Mi succede spesso. Quando ho un pensiero in mente, esco e finisco per riflettere, guardando il cielo, e mi sento attratto da ciò che vedo. Molte volte mi sono chiesto: "Siamo soltanto noi?" perché ci rendiamo conto della nostra infinitesima grandezza in confronto all'immensità dell'universo. Forse siamo solo una minuscola parte di tutto ciò. Non possiamo nemmeno pensare di essere soli, dato che ci sono miliardi di stelle e altrettante terre, molte delle quali esistono senza che ne siamo a conoscenza. Potrebbe anche essere possibile che alcune di queste forme di vita, presenti su altre terre, siano più o meno intelligenti di noi.”
“Hai vissuto la corsa allo spazio nella tua gioventù. Come hai visto lo sbarco sulla luna? A livello religioso come lo hai vissuto, pensi che ci siamo spinti oltre giocando a fare “Dio”?”
“Ho considerato quella situazione davvero straordinaria. All'epoca si diceva che non fosse vero. Mi ha sconvolto perché sembrava una cosa impossibile, e vedere materialmente il contatto con il suolo lunare è stato qualcosa di veramente importante. Riguardo al discorso religioso, ritengo che se Dio lo vorrà, potrà concederci tali opportunità. L'esplorazione verso Marte è qualcosa che mi sconvolge ancor di più, dato che sono necessari anni per raggiungere il pianeta rosso. Ti metteresti mai a bordo di un veicolo che, per quanto sicuro possa essere, richiederà anni per completare il viaggio di andata e ritorno? Sicuramente sarà un evento che avrà un grande impatto sulle rappresentazioni artistiche, come la musica, i libri, i quadri e i film. Penso inoltre che questo evento, per chi lo vivrà in prima persona, sarà caratterizzato da una profonda solitudine, data la limitata interazione e la possibilità di viaggiare solo per un selezionato gruppo di persone.”
“Durante l’intervista hai ripetuto spesso di essere realista e di sapere che il ciclo della vita ti sta portando verso la fine. Qual è il tuo rapporto con la fine della vita?”
“Mi fa piacere ricevere questa domanda! Mi sento molto sereno. Nel 2001 ho effettuato un bilancio della mia vita e mi consideravo assolutamente soddisfatto. Mi chiedo sempre quali siano i progetti di Dio per me. Perché mi ha fatto affrontare ben 14 interventi chirurgici e 5 episodi di cancro in questi ultimi 22 anni? Eppure, nonostante tutto, mi sento straordinariamente bene. Dio mi ha dato l'opportunità di chiudere molti cerchi nella mia vita: ho potuto assistere alla scelta di mia figlia di diventare suora, ho potuto sistemare la mia famiglia, ho completato l’archivio digitale, ho appena realizzato la monografia e creato la mostra permanente delle mie opere. Nella monografia avevo scritto che la mostra di settembre sarebbe stata la mia ultima esposizione, e questa decisione ha avuto un impatto su tutti coloro coinvolti, dall'editore alla Galleria che ospita i miei quadri. Ho quindi dovuto aggiungere l'espressione "...di questo decennio", ma ammetto che potrebbe essere un po' un bluff. Chi può prevedere se vivrò altri 10 anni? È un'incognita che solo il futuro può svelare.”
“Come nasce un quadro? Quando si realizza un quadro ci metti più la testa o più il cuore?”
“Quando lavoravo in posizione dirigenziale, potevo dedicarmi alla pittura solamente durante il fine settimana. Se durante una riunione mi veniva in mente un'idea per un quadro, creavo un bozzetto su un pezzo di carta e lo annotavo. Alla mostra di San Michele a Ripa, ho incorniciato 15 di questi bozzetti su carta, mentre a Mantova, a Palazzo Ducale, ho affiancato ai quadri più importanti anche i bozzetti preparatori. Quando un'idea mi colpisce e scatta, creo il bozzetto. Se poi decido di realizzarlo fisicamente, aggiungo la scritta "OK"; altrimenti, non appongo nessuna annotazione. In realtà, ho un mucchio di bozzetti pronti da trasformare in opere reali! Per la concretizzazione di un quadro, è necessario che vi sia l'armonia tra la ragione razionale e la ragione emotiva. Se matura la visione razionale ma non si manifesta anche quella del cuore, c'è poco da fare. Una volta creato il bozzetto, lo elaboro mentalmente, considerando le dimensioni e gli aspetti tecnici. Una volta che lo trasferisco sulla tela, in quel preciso momento, mi sento libero, perché è quando inizio a colorare che nasce la gioia creativa.”
“C’è mai stato un quadro finito che hai realizzato e alla fine non ti è piaciuto?”
“Non mi è mai capitato personalmente, ma posso condividere un aneddoto che riguarda un quadro in cui ero coinvolto insieme al Maestro Monachesi. All'inizio della mia carriera, quando dipingevo i quadri, durante il fine settimana portavo le opere al Maestro per averne un parere. In un'occasione, gli presentai un quadro che avevo realizzato. Dopo averlo osservato attentamente, il Maestro mi disse: "No, Antonio, riporta il quadro a casa, voltalo verso il muro e rivedilo tra una settimana. Questo quadro non è equilibrato." Successivamente, dopo averlo rivisto, mi consigliò: "Sarebbe meglio che tu lo distruggessi." Io rimasi sorpreso da questa reazione. Il Maestro Monachesi, per curiosità, mi chiese: "Mi scuso, Antonio, ma cosa intendevi rappresentare con questo quadro?" Con timidezza, risposi: "Volevo rappresentare la violenza." A questo, lui esplose: "E perché non l'hai detto subito? Questo intenso uso di rosso non lo capivo, ma il quadro va bene così!" Da quel momento in poi, quando preparo un bozzetto, rifletto sempre su cosa potrebbe essere migliorato, apportando le modifiche necessarie, e infine procedo con la colorazione.”
“C’è invece un tuo quadro preferito?” “Ti dirò la verità, vorrei rispondere di no, ma in realtà ho un quadro preferito: quello che ho dedicato a mia figlia. Forse è perché ho vissuto un forte legame emotivo con esso, l'amore di padre si è unito all'atto di creare il dipinto e ho avuto paura che non sarei stato io a presentarglielo perché sarei dipartito prima. Quando quel giorno è arrivato, mi sono emozionato, molti non hanno compreso che la ragione di quell'emozione era dovuta al fatto che io avessi personalmente consegnato il quadro e non mia moglie.
“Quanto ti ha portato Segni all’interno dei tuoi quadri?
“Il fatto che Segni ospiti una Madonna Miracolosa e che ai tempi della mia infanzia vi fosse una profonda carica spirituale nei paesi circostanti, potrebbe aver influenzato la mia arte sacra.”
“Per te che hai abbracciato l’idea futurista, cosa rappresenta per te Colleferro con l’evoluzione dall’industria bellica all’industria aerospaziale?”
“Per me, Colleferro rappresenta l'evoluzione dalla guerra allo spazio. Non esiste luogo più futurista di Colleferro! L'idea di interrompere il mio periodo di inattività per Segni e i paesi limitrofi, dopo 40 anni, è stata influenzata perché ho concluso che la mia carriera artistica è nata a Colleferro. Allo stesso tempo, devo riconoscere il mio debito nei confronti dello spazio, e quindi nei confronti di Avio, vista la mia adesione al movimento Agrà, che sta a significare "Agravitazionale" e quindi certamente legato al concetto di assenza di gravità che si verifica nello spazio.”
“Saresti curioso di sperimentare l’assenza di gravità su di te visto l’adesione al movimento Agrà?”
“Assolutamente. Il fatto che ogni astronauta esprima e descriva questa sensazione di leggerezza, di benessere e di indeterminatezza è davvero notevole. Deve essere un'esperienza straordinaria.”
“Quali sono i punti fondamentali della filosofia Agrà nella vita quotidiana?”
“Prima di tutto:
l'attenzione verso gli altri, poiché non esisti solo tu;
il rispetto della libertà all'interno delle regole, ma evitando il libertinaggio;
e l'amore, come affermava Follereau: "Vivere è nulla, bisogna amare."”
“Quando vedo la tua arte sacra mi sembra di capire che tenti di avvicinare la religione, alla scienza, rappresentata con il cielo e le figure astratte e l’arte per lo spirito e lo usi come collante per questi due mondi, è vero?”
“Sì, lo è. Un esempio di questa tipologia di connessione si trova nell'opera "Madonna dei 7 dolori": in questo quadro è evidente il legame con l'ambito dello spazio, poiché è raffigurato il cielo. Si mescola la realtà religiosa della figura sacra con elementi astratti che rappresentano i 7 dolori. Questa rappresentazione è direzionata verso la scienza e lo spazio. A volte, all'interno delle mie opere, ho incluso dei fiori come simbolo per sottolineare che, nonostante tutto, noi rimaniamo con i piedi per terra, ma con lo sguardo rivolto verso l'alto, verso il cielo.”
“Ho visto in casa una foto con Giovanni Paolo II, che tipo di incontro è stato?” “Nel 1984 ho partecipato a una mostra in Belgio, ad Anversa. Il gallerista mi informò che nel maggio 1985 avrebbe visitato la zona anche il Papa. Per evitare le complicazioni legate alla spedizione dei quadri, ho deciso di preparare 16 bozzetti, che ho realizzato nell'albergo in cui alloggiavo.
Ho chiesto al gallerista di procurarmi colori e tele, e ho lavorato a tali bozzetti. Tuttavia, durante quel periodo, mio fratello si ammalò gravemente a causa di un tumore, e mi trovai costretto a rimanere a Roma.
Ho contattato il gallerista ad Anversa e ho chiesto di portare il quadro preparato al Segretario di Stato della Santa Sede di allora. Tuttavia, il Segretario di Stato riferì che l'artista consegnasse personalmente il quadro al Papa.
Di conseguenza, ho creato un nuovo quadro, che in seguito è diventato l'opera "Con te Padre". Ho fatto una fotografia del quadro e l'ho inviata alla Santa Sede.
Nel dicembre del 1985, sono stato convocato e ho avuto l'onore di presentare il quadro al Papa presso la Sala Nervi. Il quadro era posizionato vicino a me e, quando si è avvicinato, il Papa si è rivolto a me.
Abbiamo parlato per circa 5 minuti di arte, ma poi la conversazione ha preso una svolta inaspettata. Il Papa si è dilungato in un discorso di 15 minuti sulla famiglia, terminato si è allontanato verso gli altri presenti.
Ma ancora una volta il Papa è tornato da me, ha preso le mie mani e mi ha chiesto: "Ma lei comprende perché ho parlato della famiglia?"
Ho risposto: "Penso di sì, Santità."
Lui ha continuato: "Deve capire che tutti i valori risiedono nella famiglia.
Se la famiglia si perde, si sgretola, si perdono anche i valori." Questo episodio mi ha profondamente colpito, ma il Papa ha gradito il quadro e mi ha lasciato un ricordo indelebile di quella conversazione.”.
“Che sensazione hai provato come religioso all’incontro con Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco?”
“Avere un dialogo con Giovanni Paolo II è stata una delle esperienze più profonde che abbia mai vissuto in questo mondo. Il suo sguardo e la sua attenzione verso chi parlava mi hanno colpito profondamente.
Papa Francesco è un Pontefice moderno, sta aprendo la Chiesa al mondo attuale e sta portando avanti un rinnovamento in essa. In realtà, il quadro "Crocifisso Ufagrà" che ho consegnato a Papa Francesco era inizialmente destinato a Papa Benedetto XVI. In quel periodo, Benedetto XVI stava subendo molte critiche e il Cristo bianco rappresentato nel quadro ne era un simbolo. L'8 febbraio mi contattarono dal Vaticano per programmare l'udienza in cui avrei consegnato l'opera, ma l’11 febbraio Benedetto XVI annunciò la sua dimissione.
Passarono alcuni mesi e la Segreteria Vaticana mi ricontattò, chiedendomi del quadro. Dato che Benedetto XVI si era ritirato in clausura, espressi le mie perplessità riguardo alla consegna. Tuttavia, loro mi informarono che avrei dovuto consegnare il quadro al nuovo Papa, Papa Francesco.”
“C’è una famosa foto della Biennale di Venezia dove Sgarbi accompagna Berlusconi, allora Presidente del Consiglio dei Ministri, con un tuo gilet? Cosa ci puoi raccontare?”
“Fui chiamato a partecipare alla Biennale e mi fu comunicato che, prima dell'apertura, Vittorio Sgarbi avrebbe fatto una visita per vedere le opere degli artisti. Ci fu la richiesta che ogni artista si trovasse accanto alla propria opera durante la visita di Sgarbi. La gallerista mi comunicò che, per quell'occasione, avrebbe indossato il gilet futurista, uno dei quattro che avevo dipinto.
Quando Sgarbi arrivò, notò il gilet indossato dalla gallerista e mi chiese se fosse una mia creazione. Risposi positivamente e allora lui prese il gilet dalla gallerista e lo indossò, senza poi restituirglielo.
Nel giorno dell'apertura, quando arrivò Silvio Berlusconi, Sgarbi si presentò nuovamente con il gilet.
Quando Sgarbi giunse alla mia postazione, mi disse: "Antonio, ne devi fare almeno uno anche per il Presidente, così andremo in giro per Roma.”
Si generò molta pubblicità, con l'entusiasmo dei media e la foto di Sgarbi (che indossava il gilet) insieme a Berlusconi che fu ripresa da varie testate giornalistiche. Tuttavia, in seguito ho smesso di produrre quei gilet perché mi resi conto che stavano diventando troppo commerciali.”
“Come hai gestito dentro di te gli incontri con questi grandi personaggi? Hai sofferto di ansia? E per quanto riguarda le mostre, ti agiti per la loro preparazione?”
“La prima volta che ho incontrato il Papa, avevo molta eccitazione riguardo a ciò che mi avrebbe chiesto, e sicuramente anche un po' di ansia.
Tuttavia, una volta che entri in contatto con personaggi di questo calibro, tutto si attenua.
All'inizio, per quanto riguarda l'organizzazione delle mostre, ero preoccupato per il trasporto dei quadri: come caricarli in macchina, il tempo, la realizzazione del catalogo della mostra. Con il passare del tempo, ho accumulato esperienza e ho imparato a gestire queste situazioni con più sicurezza.”
“La mostra di Settembre è più un punto della tua vita o un riassunto?”
“Questa è una domanda estremamente intelligente. In primo luogo, rappresenta un riassunto dei miei 45 anni di attività, ma potrebbe anche includere un punto per il futuro.”
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