Signor Direttore Generale,
La privacy è un bene che va tutelato. Il termine indica il diritto alla riservatezza, garantito dalla legge.
Nell’ultimo numero de Il Monocolo, nel rispetto di tale principio, abbiamo evitato di pubblicare alcune foto, pervenute in redazione, che ritraggono il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Colleferro, le cui condizioni non appaiono certo edificanti.
Ora, invece, non possiamo esimerci dal pubblicare le foto di una lettera che Lei ha inviato ai dipendenti della Azienda sanitaria e dei cartelli che ha fatto affiggere sulle porte dei reparti ospedalieri.
Questi ultimi vietano di effettuare fotografie. La lettera obbliga i dipendenti a non rilasciare dichiarazioni alla stampa se non autorizzate dalla Sua stessa persona. Nulla da obiettare sul contenuto del cartello, ispirato, ce lo auguriamo, dalla indiscutibile necessità di tutelare la privacy dei malati e non da altre insondabili ragioni.
La lettera, invece, suscita in noi non pochi dubbi. Sappiamo che negli enti pubblici vige un codice di comportamento e che, da qualche tempo, gli stessi dicasteri ministeriali inviano circolari per richiamare il personale al rispetto del codice etico nell’esercizio delle loro funzioni.
Ma, ce lo consenta, una disposizione del tipo di quella contenuta nella lettera a sua firma suscita più di qualche perplessità. Mettere il bavaglio ai dipendenti pubblici sta diventando ormai una moda nel nostro Paese.
Gli episodi del personale del Cardarelli di Napoli, dei dipendenti della Soprintendenza per i beni archeologici di Roma, e della stessa Presidenza del Consiglio, tutti risalenti a qualche anno fa, lo dimostrano. Episodi che, comunque, non hanno sciolto alcuni nodi fondamentali.
Se esiste un codice etico cui uniformare la condotta dei dipendenti pubblici, vietando di rilasciare ai giornalisti dichiarazioni o interviste che non siano autorizzate, nega loro la libertà di espressione ed è in evidente conflitto con l’art. 21 della Costituzione. Qui è in ballo un diritto fondamentale: quello di manifestare liberamente il proprio pensiero.
E poi, Signor Direttore Generale, come la mettiamo con il rispetto della libertà di stampa e con il diritto dei cittadini di essere informati?
Diceva qualcuno che a pensare male spesso si indovina.
Ecco, non vorremmo che tanta solerzia proibitiva nasconda un certo fastidio verso ogni forma di controllo e di denuncia di ciò che non funziona.
Se fosse così, da semplici cittadini, ne saremmo davvero allarmati.
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