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Immagine del redattoreFederico Moffa

CEMENTIFICIO A PROVA DI RIFIUTI

IL COMUNE CHIUDE GLI OCCHI DIFRONTE ALLA COMBUSTIONE DI CSS NEL SITO DI COLLEFERRO

Si autorizza il privato a fare quello che è stato impedito al pubblico (Termovalorizzatori)

Il Termovalorizzatore?

Per carità, un mostro, una autentica minaccia alla salute, un crimine contro l’umanità.

Per un certo ambientalismo in servizio permanente effettivo, quello di Colleferro, andava chiuso. E se la Regione aveva osato finanziarne il revamping, impegnando la bella cifra di 12 milioni, mica bruscolini, e inviando sul posto la ditta aggiudicataria dell’appalto con tanto di tir ripieni di strumentazioni nuove di zecca in sostituzione dei vecchi materiali usurati dal tempo, pesta gliene colga.

Anche se a guidarla era, ed è ancora, il sodale Zingaretti, sodale nel senso che nella stessa parrocchia si specchiano sia il presidente della Pisana che l’attuale inquilino del palazzo comunale. Tir bloccati all’ingresso, dunque. Nonostante il lasciapassare prefettizio. E il rischio che il soggetto aggiudicatario possa chiedere i danni per l’impedita prestazione e qualche magistrato metta, prima o poi, il naso in una vicenda di un’opera finanziata con fondi pubblici, e mai più realizzata.

Ma non è di questo che qui ci interessa parlare. Da quella messinscena grottesca con tanto di terga sul selciato e di uncinetti aggrappati agli alberelli, nel nome dell’ambientalismo militante, è trascorso ormai del tempo.

Ora, invece, vale la pena approfondire un altro argomento che, nel silenzio ormai certificato di quegli impavidi ostentatori di “Ri-fiutiamoli”, “No al termovalorizzatore”, “Colleferro si è svegliata” e chi più ne ha più ne metta, è scomparso dalle quotidiane cronache politiche. Storia di un ambientalismo politicizzato e di maniera che si è sciolto come neve al sole, una volta conquistato lo scranno più alto del Palazzo.

Ci riferiamo alla procedura, ormai giunta alle battute conclusive, che autorizza l’Italcementi, ovvero lo storico cementificio di Colleferro, issato al centro della città, a bruciare il cosiddetto CSS.

Di che cosa si tratta? E’ presto detto: di rifiuti. L’acronimo indica i Combustibili Solidi Secondari, ossia i combustibili solidi prodotti dai rifiuti non pericolosi, sia di origine urbana che speciali, compresi i rifiuti industriali. Tale definizione, sul piano normativo, ha superato la distinzione tra Combustibile Derivato dei Rifiuti (CDR) e di Qualità (CDR-Q). Pertanto, la nuova definizione di CSS che, ripetiamo, riguarda il complesso dei rifiuti non pericolosi, comprende e amplia le precedenti definizioni di CDR e CDR-Q.

Insomma, cambia l’acronimo ma non la sostanza.

Sorge allora spontanea la domanda: perché quel che va ora bene per il cementificio non andava bene per il termovalorizzatore?

In uno studio di Nomisma Energia di qualche anno, dedicato alle potenzialità e ai benefici dell’impiego dei Combustibili Solidi Secondari (CSS) nell’industria, si metteva in evidenza il ritardo dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei nella gestione del ciclo dei rifiuti (cosa arcinota). E si ricordava che i quattro Paesi più virtuosi in Europa, cioè Austria, Germania, Paesi Bassi e Svezia, avevano “saputo combinare riciclo e termovalorizzazione, con lo scopo di annullare il conferimento in discarica” e si segnalava di “particolare interesse” il fatto che “altre realtà europee meno all’avanguardia in tema di gestione complessiva dei rifiuti, ma che si avvicinavano di più all’Italia per quanto riguarda il settore di produzione del cemento, come Spagna e Polonia, avessero fatto registrare tassi di utilizzo di CSS nell’industria del cemento ben più significativi dell’Italia”.

Di qui l’appello, sempre targato Nomisma, ad agire in Italia su due fronti: da un lato migliorare il proprio sistema di gestione dei rifiuti incrementando la quota di termovalorizzazione per la produzione di energia dal suo derivato a discapito delle discariche, dall’altro elevare l’apporto di combustibili alternativi nei processi di produzione del cemento. “Due modi per dire la stessa cosa”.

Vi risparmio, cari lettori, tutta la parte dello studio tesa a dimostrare l’efficacia, anche sotto il profilo ambientale, dell’utilizzo del CSS per produrre energia nei cementifici. Come se la combustione a temperature centinaia di volte più elevate, quali quelle raggiunte nei forni dei cementifici per il clinker, fosse robetta da niente.

Come se i volumi di aria necessari per alimentare i sistemi di un cementificio non fossero mediamente cinque volte più elevati di quelli impiegati per il funzionamento di un solo termovalorizzatore e tutto questo avesse scarsa influenza nella determinazione dei parametri di impatto ambientale. Come se nella emissione delle polveri sottili il cementificio, per lo più ubicato all’interno della città, nonostante filtri moderni e sofisticati, non influisse già di per sé negli sforamenti costanti del PM 10, più volte denunciati dal nostro giornale.

Resta, allora, aperta la domanda iniziale.

Perché si consente oggi alla Italcementi, ossia ad una azienda privata, quel che non si è consentito all’azienda pubblica che gestiva la termovalorizzazione?

E pensare che nel poco tempo in cui il termovalorizzatore ha funzionato, nelle casse del Comune sono entrati 11 milioni di euro.

Al danno si aggiunge la beffa.


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