In Italia ci sono circa 500 teatri chiusi, alcuni, sono teatri grandi e importanti, la loro chiusura ha fatto scandalo e molto frequentemente le cronache internazionali, gli intellettuali e la classe politica si sono interrogati sulla loro riapertura.
Della maggior parte di essi, però, nessuno ne parla; un silenzio innaturale abita da anni in quelle sale che un tempo erano luoghi di cultura e di incontro, di vita e di pensiero e l'indifferenza dell'opinione pubblica e della comunità è calata su tante storie che meritano tutte, invece, di essere raccontate perché siano di monito per il futuro.
La restituzione dei teatri alla fruizione pubblica può rappresentare una grande operazione, dai risvolti culturali ed urbanistici, di recupero del patrimonio architettonico, talora di modesto valore artistico, ma altrettanto funzionale; altre volte fatto da vere e proprie opere d'arte, autentici gioielli dell'architettura di ogni tempo.
Ciò che appare forse più interessante è che il nostro Paese è ricco di fermenti, tensioni, idee di giovani che hanno bisogno di dar forma ai propri talenti, nelle varie discipline artistiche, dalla prosa alla lirica, dalla danza alla musica e che soffrono per la mancanza di spazi dove esprimersi.
L'aspetto più drammatico è che molti teatri sono chiusi da lunghissimo tempo, chiusi da decenni, alcuni per cause che sembrano irrisolvibili, altri per modalità, talora imbarazzanti, il danno che ne deriva è, oltre che artistico, sociale.
Sappiamo che anche le bande si stanno estinguendo, costrette a provare dentro stanzoni in condizioni igieniche proibitive e di terribile disagio.
Per tanto tempo le bande sono state depositarie e garanti della tradizione musicale ottocentesca, tramandandole a generazioni intere, suonando pagine di tutte le opere più celebri della tradizione musicale ottocentesca, tramandandole a generazioni intere, suonando pagine di tutte le opere più celebri della tradizione italiana.
Così la loro opera di divulgazione ha permesso a tanti di avvicinarsi a quel mondo rappresentato poi anche dallo scintillio del San Carlo di Napoli, della Scala di Milano, della Fenice a Venezia.
Il nostro è un Paese che ha costruito la sua storia sulla dorsale della cultura musicale e drammatica. Sappiamo che i Greci e i Romani quando raggiungevano posti nuovi costruivano prima di tutto un teatro e molti di questi teatri ancora oggi sono agibili e vi si rappresentano concerti e drammi, avendo a disposizione gradinate per decine di migliaia di persone; impossibile non citare le nostre arene, ma mentre queste sono aperte al turismo e alla folla, altri luoghi che non hanno valori turistici ma che servirebbero a puri fini culturali, vengono abbandonati perché il problema del loro utilizzo non è ritenuto prioritario.
Il Giappone ha costruito tantissime sale e teatri e noi, mentre gli altri costruiscono, abbandoniamo ciò che secoli di storia ci hanno donato.
Il tema è molto complesso, servirebbe un ingente investimento di risorse pubbliche, nella considerazione della impossibilità in tantissimi casi per i privati proprietari di teatri di affrontare le spese necessarie per la riapertura, e della necessità di aprire una riflessione approfondita sui modelli di gestione finalizzata alla sostenibilità dei progetti di riapertura.
Un teatro rappresenta un grande patrimonio per la sua città e una ricchezza per i suoi cittadini, è per questo che non è più possibile accettare che, una così importante parte del patrimonio del nostro Paese sia negata ai cittadini.
Teatro, rappresentazione, dramma, tragedia hanno sempre accompagnato, dalle origini ai giorni nostri, la vita quotidiana dell'uomo e l'evoluzione delle società, assumendo sia le forme pure dell'intrattenimento e del piacere sia le forme di un'esplorazione, una ricerca individuale e collettiva in cui si fondano esistenza personale e sociale. Teatro come arte della scena e luogo di rappresentazione, come spazio fisico e monumentale, come istituzione che si lega al territorio della città, traendone energie, ispirazione e dando forma alle tante anime ed alle diverse culture che vi dimorano. Teatro, ormai sedimentato nella memoria storica e nella cultura della società, che fissa nel tempo e nello spazio le infinite dimensioni dell'esperienza esistenziale dell'uomo, sintetizzandosi in un intreccio di sensibilità, di pratiche culturali e linguaggi, di tradizioni e mutamento, di politica e istituzioni, di sacro e profano, che ne rappresentano i presupposti, ma anche i prodotti fissati nei referti, nei documenti, nelle notazioni che ne testimoniano la storia e ne esplicitano un ruolo culturale, sociale e politico.
Durante i secoli, dunque, il teatro ha svolto funzioni diverse, ma tutte orientate ad un processo di crescita delle società secondo i canoni della morale e dell'estetica.
Come scrivevano Giorgio Strehler e Paolo Grassi negli anni '40, il teatro resta quel che è stato nelle intenzioni profonde dei suoi creatori:il luogo dove una comunità, liberamente riunita, si rivela a se stessa, il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere.
Perché, anche quando gli spettatori non se ne avvedono, questa parola li aiuterà a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale (Strehler, 2007). Così come confermato dalle diverse funzioni sociali che il teatro ha svolto nelle differenti epoche della storia dell'uomo.
Nell'aprile del 2002 l'Agis e la Fondazione Teatro Massimo di Palermo tennero a battesimo un primo e sommario censimento dei Teatri italiani chiusi o inagibili. Quel primo censimento fu ideato e progettato dall'Associazione Teatri Aperti, nata proprio in quell'anno con l'obiettivo di promuovere e incentivare la riapertura e la rinascita dei piccoli e medi teatri di interesse storico e culturale.
La sensazione che accompagnò la presentazione dei dati raccolti nel 2002 è confermata in pieno dai risultati della ricerca di qualche anno fa, il dato numerico complessivo, allora furono censiti 361 teatri chiusi, era ampiamente sottostimato.
Per un totale di quasi 500 teatri dimenticati, più della metà dei quali è di proprietà pubblica. Il 25% di questi è sottoposto a vincolo di tutela, confermando il dato che, in un numero significativo di casi, si tratta di edifici di interesse stoico.
A prescindere dalla presenza di un vincolo di tutela formale, più di un terzo risale alla prima metà del Novecento, parliamo quindi di edifici di pregio architettonico e ricchi di storia.
La maggior parte dei teatri ha una capienza superiore ai 250 posti: sono dunque teatri di dimensioni medio-grande e comunque nella maggior parte dei casi, spazi nati proprio per la funzione teatrale.
Qualcuno chiuso per eventi drammatici esterni come incendi e terremoti, tutti gli altri chiusi per ragioni differenti legate comunque al degrado e all'abbandono (inagibilità, mancanza di pubblico, cessazione di attività).
Alcuni punti di riflessione colpiscono più di altri, la prima è il numero complessivo di teatri negati alla fruizione, che è obiettivamente particolarmente impressionante. Se è vero che in Italia ci sono circa 2000 teatri, il censimento rivela che per ogni tre teatri aperti ve ne è uno chiuso. Un tale numero di strutture dava vita, un tempo, a una rete di luoghi della cultura che attraversava il Paese costruendo un tessuto di passioni e di valori, di idee e di tensioni civili e sociali.
La domanda che sorge spontanea è se siamo davvero convinti che non vi sia più bisogno, oggi, di una tale rete di distribuzione della cultura. La seconda soprattutto con riferimento alla dimensione diffusa della proprietà pubblica dei teatri in questione, è la responsabilità politica di sindaci e amministratori pubblici che non hanno saputo tutelare e valorizzare un pezzo del patrimonio dei loro territori.
Ecco perché il tema va posto con forza all'attenzione dell'opinione pubblica: è in discussione non semplicemente l'agibilità di uno spazio per le arti performative (che avrebbe comunque riflessi strategici rispetto alle possibilità di sviluppo e di crescita di una comunità), ma risulta in discussione l'agibilità di uno spazio per la democrazia.
In questo senso, è più grave la ferita che lascia la chiusura di un grande teatro in un piccolo borgo lontano dai centri più popolosi, che la chiusura di un grande teatro in una grande città che ha mille strumenti per compensare la perdita.
La riapertura dei tanti nostri teatri chiusi darebbe la possibilità a migliaia di talenti di esercitare il loro cervello e la loro fantasia fino ad emergere e diventare i nuovi custodi del patrimonio artistico italiano che altrimenti rischia di esaurirsi dentro poche cattedrali del deserto.
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