COME IN PASSATO L'ARCHITETTURA MODERNA DEVE LASCIARE I SUOI SEGNI
Quali opere hanno le caratteristiche descritte dal poeta Paul Valéry?

Amo ricordare spesso il poeta Paul Valéry v che affermava: “Camminando nella città si può notare come alcuni edifici siano muti ed altri parlino, mentre altri ancora, e sono rari, cantano”.
Nascono due affermazioni importanti: una che riguarda la nostra cittadina, Colleferro. Chiedo ai miei colleghi architetti, anche giovani, e ai concittadini, quale edificio della nostra città, secondo voi, è muto, quale parla e quale canta?
Uno scanzonato confronto, ma anche importante, per riflettere e conoscere il nostro intorno.
L’altra riflessione riguarda in generale quasi l’imbroglio architettonico che da un po’ di tempo è fonte di discussione tra addetti ai lavori e nelle persone comuni.
La nuvola di Fuksas e l Maxi di Zaha Hadid sono muti, parlano o cantano?
E l’Ara Pacis di Mayer? E l’Auditorium di Enzo Piano? Cantano come chiedeva Paul Valéry?
Queste domande per quanto riguarda Roma, ma se vogliamo tutta l’Italia, quante occasioni per riflettere sulla nota di Valéry!
Sono solo alcuni esempi. Ma spesso, e da molto tempo esperti, studiosi, critici d’arte, si confrontano sull’architettura moderna e contemporanea, se possa essere capace di produrre edifici “cantanti”.
E’ opinione comune che solo gettando lo sguardo nel passato si possano provare grandi emozioni di fronte ad edifici capaci di coinvolgere i sentimenti. E quindi c’è stata una sorta di mummificazione del passato.
E sono andate perdute occasioni per intervenire e lasciare un segno di oggi, un segno anche di grandi maestri.
A Venezia, per esempio, la palazzina sul Canal Grande, di Wright.. e lo stesso ospedale di Le Corbusier. Occasioni perdute. Per paura e non solo per rispetto.
Così si lascia svanire il concetto appassionato di Jean Nouvel : “La città storica è un libro di pietra, che si è costruita per strati di modernità successivi” e noi non possiamo rifiutarci di aggiungere la nostra”
Anche la tecnica e la tecnologia, presenti nel costruire oggi, possono essere al servizio delle emozioni.
Non bisognerebbe avere mai l’idea di scrivere un libro esclusivamente con le parole che sono state inventate ieri.
E’ molto più importante e interessante mettere in relazione espressioni nuove del vocabolario con parole più antiche.
Occorre comprendere la complessità dell’oggi.
Non è più possibile pensare che soltanto nei centri storici possiamo trovare edifici che cantano.
Se ci pensiamo bene: dove si ferma il centro storico di Roma? La città barocca si è costruita su quella medievale e quest’ultima su quella precedente. E così via.
A Parigi la Piramide di Ieoh Ming Pei nella Piazza del Louvre è un altro esempio. Il Louvre è più bello di prima e la Piramide canta insieme al Louvre.
Non si creano fratture tra vecchio e nuovo, tra antico e contemporaneo, ma si trascina, nella sua tensione, verso il futuro la storia stessa che conserva la propria identità nella misura in cui denuncia il suo superamento.
Torna impetuosa la domanda. Impareremo a riconoscere edifici che cantano anche negli edifici contemporanei? E nella nostra Colleferro?
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