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Immagine del redattoreValentina Bartolini

L'Urbicidio di Artena e la ricostruzione borghese

Esiste una triste lista di città che nel corso della storia sono state distrutte, alcune anche completamente rase al suolo e poi cosparse di sale: tra queste figurano Cartagine e Artena.

Nel maggio del 1557, nel mezzo delle lotte tra papato e impero spagnolo, l’allora Montefortino, fortezza dei Colonna, subì lo stesso destino della famosa Cartagine: i solchi di aratro riempiti col sale rappresentavano la sterilità della terra, la volontà del conquistatore a distruggere per sempre la vita in quel luogo, una punizione definitiva e terribile.

Il papa di allora era Paolo IV Carafa, l’imperatore spagnolo Filippo II, i signori di Montefortino erano i Colonna, da tempo avversi al potere papale, e la guerra in atto era la cosiddetta guerra di Campagna o guerra del sale: di nuovo papato e impero si contrapposero come già avveniva da secoli.

Marcantonio Colonna, signore di Paliano, per la sua decisione di appoggiare l’imperatore spagnolo perse i suoi domini e venne condannato dal Foro ecclesiastico alla decapitazione e dichiarato decaduto dai suoi feudi di Marino, Monte Compatri, Nettuno, Astura, Cave, Palestrina, Capranica, Genazzano, San Vito e Paliano.

Fuggito e ribellatosi tornò nella Stato della Chiesa a capo di uno dei due eserciti spagnoli che puntavano su Roma, il suo attraverso la valle del Sacco l’altro attraverso la costa.

Ci furono saccheggi e distruzioni e quando il Colonna fece confluire parte degli imperiali su Montefortino il papa pose l’assedio e diffidò i sacerdoti ad officiare messa; quando sembrava che stesse per essere sottoscritta una resa ci fu un attacco a tradimento ai danni delle truppe pontificie e vennero additati colpevoli gli abitanti di Montefortino così il papa ordinò i cannoneggiamenti fino alla distruzione della città che fu poi cosparsa di sale.

Per anni nel luogo non vi furono altro che rovine.

Per accadimenti di tal sorta è stato coniato un termine specifico negli anni Novanta a seguito delle distruzioni delle città balcaniche: urbicidio.

L’arco Borghese, porta di ingresso della città

Nel libro di Francesco Mazzucchelli “Urbicidio. Il senso dei luoghi tra distruzioni e ricostruzioni nella ex Jugoslavia” l’autore spiega che lo spazio urbano diventa bersaglio non solo per motivi strategici, ma soprattutto per i significati che incarna: valori identitari, sociali e culturali.

Per questi motivi, spesso, le tracce lasciate dagli eventi bellici nei tessuti urbani si caricano di forti valenze simboliche e la fase della ricostruzione diventa un momento di riscrittura del paesaggio della memoria della città.

E la riscrittura di Montefortino avvenne due anni dopo per volontà delle figlie di Giulio Colonna.

La città, visti i pochi superstiti, venne ripopolata con cittadini chiamati da altri feudi Colonna e vennero chiamati mastri e scalpellini dalla Lombardia e dalla Svizzera.

Nel 1615 però Marzio Colonna, a causa di problemi economici, dovette vendere e il nuovo acquirente fu nientemeno che il cardinal Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, uomo di grande cultura, mecenate e scopritore di talenti, tra cui Gian Lorenzo Bernini.

Sotto la sua egida Montefortino attraversò anni di rinascita e splendore. Chiamò a dirigere i lavori una vera celebrità del tempo, il Vasanzio.

Non solo sorsero nuovi edifici ma i due diedero vita a un nuovo e moderno assetto urbanistico.

Il simbolo della città è l’arco Borghese, dichiarato monumento nazionale, porta di ingresso monumentale all’abitato, e attribuito a Martino Longhi è una bellissima opera in conci di tufo e merlatura di pietra; costruito da un lato a contrafforte e dall’altro a strapiombo sulla valle, rappresenta indubbiamente il biglietto di presentazione della rinascita seicentesca d Montefortino.


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