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Motori a idrogeno, rivoluzione silenziosa

Dopo anni di incertezza, il mercato ha scelto la direzione da prendere. Dalla fantascienza alla realtà.

La mobilità elettrica è forse una delle più grandi sfide degli ultimi decenni. Una vera e propria rivoluzione, dopo anni di attesa ed incertezza, finalmente, il mercato ha scelto la direzione da prendere e le offerte nel mondo elettrico si stanno diversificando e diffondendo sempre più: Elettriche Full, Ibride, Plugin, Mild una giungla di terminologie e caratteristiche profondamente tecniche dentro cui districarsi.

Mentre l’elettrico avanza, una soluzione che da sempre ha affascinato l’uomo e che da diversi anni è in campo, è quella della alimentazione ad idrogeno. Le auto ad idrogeno sono fantascienza?

Per niente. Si tratta invece di una realtà circolante sulle strade di tutti i giorni, ad uno stadio di maturazione tecnologica avanzato e in piena evoluzione. Vediamo di cosa si tratta e come funziona una vettura ad idrogeno, ma prima partiamo dall’elemento base, l’idrogeno appunto. Si tratta dell’elemento più semplice, leggero e diffuso dell’Universo.

Un suo atomo comprende solo un protone ed un elettrone ed è da sempre oggetto di ricerca come vettore energetico primario nel circolo di produzione di energia da fonti rinnovabili. Ma cosa si intende per fonte energetica rinnovabile?

Nel parlar comune, si intende un tipo di energia che viene spesso definita anche “naturale”, ovvero prelevabile direttamente dalla sorgente e fondata sulla forza di gravità, il calore del sole, il vento dei moti terrestri ecc. ecc.

Bisogna dire però che questa definizione sotto certi punti di vista lascia il tempo che trova.

Certo è che l’energia non si crea e non si distrugge ma si trasforma pertanto ipotizzare ad esempio che una fonte come il sole sia in assoluto una fonte di energia “green” ed infinita è quantomeno opinabile. Il sole tra qualche miliardo di anni si spegnerà inoltre l’irraggiamento solare è una energia elettromagnetica ricavata da esplosioni nucleari, migliaia di volte piu potenti della bomba atomica, che avvengono nel Sole che sono altamente nocive, altro che green! Diciamo che le energie cosiddette rinnovabili, solo in prima approssimazione, si possono considerare infinite e non inquinanti, esclusivamente per l’ecosistema definito dal pianeta Terra.

Detto questo, torniamo all’idrogeno, una delle soluzioni più diffuse che ne fanno uso come combustibile “green” è l’ambito applicativo delle Fuel Cells (FC). Note anche come pile a combustibile, le FC rappresentano una delle tecnologie più promettenti per il futuro.

Come funziona una FC ad idrogeno? Si tratta di un sistema elettrochimico, che realizza il processo inverso dell’elettrolisi, capace di convertire l’energia chimica di un combustibile, l'idrogeno, direttamente in energia elettrica.

Il funzionamento avviene finché al sistema viene fornito combustibile quindi idrogeno ed ossidante come l’ossigeno oppure l’aria.

In breve, una FC non immagazzina energia, ma la converte finché vi sono reagenti. Il processo di conversione di energia avviene attraverso una reazione in cui si consumano idrogeno ed ossigeno per l’appunto, con produzione di acqua e passaggio di corrente elettrica nel circuito esterno.

Proprio così, avete letto bene, lo scarico è solo acqua! Ma come funziona il motore di una vettura ad idrogeno? L’idea di iniettare idrogeno direttamente in camera di combustione è cavalcata da altre sperimentazioni ma non in questo caso.

Piuttosto l’elettricità prodotta dalla pila a combustibile viene utilizzata, come fosse una batteria, per alimentare un motore elettrico.

Per questa ragione le automobili ad idrogeno sono a tutti gli effetti dei veicoli elettrici.

Esse hanno anche una batteria ad alta tensione che immagazzina l’energia prodotta dal motore in frenata, come fanno le ibride e le elettriche convenzionali. La reazione chimica nella FC genera calore e, dato che la pila a combustibile non può funzionare a temperature troppo alte, è presente anche un sistema di raffreddamento.

Il calore asportato può essere poi usato per riscaldare l’abitacolo.

Un secondo componente essenziale delle auto ad idrogeno sono le bombole, l’equivalente del serbatoio del carburante.

Queste rappresentano, alla stessa stregua del gpl l’unico modo per per immagazzinare l’idrogeno che per rimanere liquido, ha bisogno di temperature estremamente basse.

Per stoccarne abbastanza si usano quindi pressioni altissime che impongono l’uso di bombole speciali con evidenti ripercussioni sulla sicurezza. I vantaggi principali delle auto ad idrogeno, oltre al ridotto impatto ambientale, sono l’autonomia elevata e la velocità della ricarica.

Sembra una soluzione perfetta al punto tale che ci si chiede come mai ancora non si sia diffusa dopo quasi dieci anni dalla prima uscita nel mercato dei primi modelli. Come spesso accade le scelte progettuali sono sempre un compromesso tra benefici e costi e la maturità della tecnologia è un aspetto fondamentale da tenere in considerazione.

Uno dei costi più alti, infatti, che si devono mettere in conto è quello della produzione e stoccaggio dell’idrogeno.

Estrarre idrogeno da fonti disponibili in natura, obbliga a trattare alcuni idrocarburi come metano, propano, butano e carbone obbligando a "spendere" energia e quindi ridurre l'efficienza complessiva, non tanto per il bilancio energetico che rimarrebbe positivo ma più che altro per l'inquinamento prodotto nel liberare l'idrogeno dalla materia prima.

La risposta sarebbe quella di utilizzare fonti rinnovabili per permettere l'elettrolisi, ovvero estrarre l’idrogeno direttamente dall’acqua, ma attualmente solo il 4% dell'idrogeno è prodotto con questo procedimento perché stoccare energia con l'idrogeno sfruttando le rinnovabili è difficile visto che i siti, pale eoliche, centrali idroelettriche, spesso sono piccoli e poco produttivi. Pertanto, se da una parte i vantaggi sono evidenti: produzione di vapore acqueo al posto di sostanze nocive generate da benzina e gasolio, dall’altra anche gli svantaggi sono ancora molti: da una parte la sicurezza, l’idrogeno può incendiarsi quando viene a contatto con l’aria se la sua concentrazione raggiunge un certo livello, dall’altra il costo di estrazione.

Siamo certi che la ricerca e la scienza troveranno anche questa volta la soluzione più efficace per gestire al meglio la transizione cogliendo il meglio da queste nuove tecnologie il cui tragitto è ben delineato.

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