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MUCCI, UNA VITA PER IL CALCIO

Aggiornamento: 5 mag 2021

I TRASCORSI DI UN GRANDE PROTAGONISTA DELLO SPORT COLLEFERRINO

Ultimo di quattro figli, Faliero Mucci nasce a Colleferro il 28/11/1936, dopo che i genitori Gino e Maddalena si trasferiscono dalla Toscana, nel 1933, insieme ai primi tre figli, Giuseppe, Nello e Dino. Rispondono alla chiamata di lavoro della BPD, dove tutti i maschi della famiglia (compreso Faliero a soli sedici anni) ne varcheranno i cancelli e dove purtroppo Giuseppe, non ancora ventitreenne, vi perderà la vita per un tragico incidente. Ma Faliero Mucci con lo stemma della BPD sul petto è stato anche altro. Conosciuto dai più anziani che lo hanno visto in azione ma anche da quelli della mia generazione per averlo avuto come “Mister”, con questa intervista viene data anche ai più giovani la possibilità di conoscere un personaggio che più di tutti, oggi, è la memoria storica del calcio colleferrino.

Mi riceve nel suo piccolo studio tra i mille ricordi, fotografie e ritagli di giornale, gelosamente conservati, che ripercorrono gli anni di una vita passata dietro ad un pallone.

Per ventuno anni ha indossato la maglia della BPD-COLLEFERRO CALCIO e per ventisei ne è stato allenatore e D.G. Dal 1951 al 2008, cinquantasette ininterrotti nel calcio. Chi è oggi, Faliero Mucci?

Un pensionato di 84 anni che si divide tra la famiglia e i tanti amici, a cui piace fare lunghe camminate. Anche se con questa epidemia esco poco. In fondo ho pochi hobby, ma coltivo ancora la mia più grande passione che appunto è il calcio.

Tutto ha inizio…

.. nel 1951, quando entro nelle giovanili della BPD, anche se ad onor del vero, e mi piace ricordarlo perché in pochi ne sono a conoscenza, il calcio non fu propriamente la mia prima scelta. Ci arrivai per caso, non dico obbligato da mio padre, ma “invitato con le buone”.

Ci spieghi meglio…

.. la nostra era una famiglia di lavoratori in una città di lavoratori. Dopo la guerra ci si divertiva alla meglio come si poteva, ma a Colleferro lo sport era già qualcosa di importante ed oltre al calcio c’era anche il pugilato, al quale mi avvicinai convinto dal mio amico Bruno Quaglia il cui padre era il manager della locale squadra pugilistica. Iniziai a praticarlo e debbo dire che la cosa iniziava anche a piacermi, soprattutto dopo le prime due esibizioni, una all’interno del piazzale delle scuole ed un'altra all’interno del cinema BPD.

Venne tantissima gente tanto che io e Bruno ricevemmo come premio una “borsa” di ben 500 Lire, quando anche in quel periodo si continuava a cantare “se potessi avere 1000 lire al mese”. Io avevo quindici anni e, mio padre non voleva vedermi girare per casa con graffi e lividi in faccia, così quando una sera rientrai a casa col naso rotto, minacciò di darmi lui il resto se non avessi immediatamente smesso di frequentare la palestra.

Era appunto il 1951..

...e mentre giocavo a palla su un prato con i miei amici, venni visto da Mister Amicucci che in quel periodo stava allestendo una selezione per le giovanili della BPD. “Domani vieni al campo”, e mi ritrovai a giocare con ragazzi di tre/quattro anni più grandi di me. Giocavo centravanti, segnavo, e in attacco potevo ricoprire più ruoli. Amicucci mi propose subito per la Juniores e vincemmo il titolo regionale giocando contro squadre importanti tra cui Roma e Lazio, dopodiché per me si spalancarono immediatamente le porte della Prima Squadra…

...e che squadra!

…forte! Che arrivò a giocarsi allo spareggio la serie B! Con giocatori importanti che venivano dalla serie A, o che in serie A e addirittura in Nazionale di lì a poco ci avrebbero giocato.

La BPD quindi è stata la sua prima Società…

… prima ed “unica” almeno come calciatore anche se due anni mi mandarono in prestito a farmi le ossa, prima ad Isola Liri e poi ad Albano. La maglia rossonera è sempre stata la mia seconda pelle fino a quando, a trentasei anni, ho smesso di giocare.

Aneddoti su quegli anni? Per esempio i tifosi…

… straordinari! Al giovedì gli allenamenti iniziavano intorno alle 16,00 ma quando alle 16,30 suonava la sirena della fabbrica che all’epoca aveva oltre 14mila dipendenti, noi dal campo, diviso solo dalla recinzione, vedevamo un “un fuggi fuggi generale” e subito dopo le tribune riempirsi fino all’inverosimile. Praticamente la scena di un “formicaio”. Perché il giovedì appunto, la Juniores e la Prima Squadra giocavano contro, con esito sempre incerto, per preparare le rispettive gare domenicali.

Anni straordinari, ma anche quelli che seguirono lo furono. Personalmente ricordo tanti personaggi, alcuni addirittura capaci di venire alle mani a “difesa” dei nostri colori.

Ne ho viste tante di scazzottate ma non ne dimenticherò mai una a Nettuno tra uno nostro tifoso, dal fisico minuto, conosciuto da tutti come persona mite, e Rinaldi.. campione italiano di pugilato. Pazzesco!

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Il più grande calciatore con cui ha giocato insieme?

Consentimi tre nomi, perché non saprei veramente chi mettere al primo posto: Brusadin che era un mediano, Filippi che giocava in porta e Gaslini attaccante esterno.

Quale è stato l’allenatore più importante. Quello a cui deve di più?

Ho avuto tanti allenatori importanti.

Entro nel calcio per Amicucci, potrei dire Guido Masetti ex Roma che poi ha anche allenato, o Alberto Eliani ex nazionale, ex Roma e Fiorentina ed in seguito allenatore di Brescia ed Udinese, ma quello che in realtà mi ha affascinato di più, per come si rapportava con noi giocatori, per come preparava le partite e per la sua grande, grande cultura, è stato senza dubbio Gianfranco Dell’Innocenti ex Roma, Udinese, Bologna, Vicenza.Ecco.. questi nomi e le loro provenienze, rendono bene l’idea di cosa e di chi stiamo parlando.

Di quello che era il calcio ai tempi della BPD Colleferro.

Mister, chissà quante volte lo avrà ricordato, che lei rinasce una seconda volta all’01.05 di quel maledetto 11 novembre 1957...

...avevamo giocato una bellissima partita a Foggia con un mio gol anche se, all’ultimo minuto i padroni di casa fecero il 2-1. Sul treno che ci riportava a Roma, dove ci attendevano le macchine della BPD, c’era anche Pignatari, il figlio di Donna Mimosa Parodi, al nostro seguito nella trasferta in Puglia. A Roma c’era anche la sua macchina, una macchina veloce che ci avrebbe potuto far rientrare a casa dieci minuti prima. Già nel vagone ristorante qualcuno iniziò a dire “con Pignatari vado io! no tocca a me! allora vado io!”. Alla fine a Roma su quell’auto salimmo in quattro: io, il povero Maurizio Natali al mio fianco, Franco Filippi e Andrea Gaslini.

Ricordo che pioveva. Imboccata Via Casilina, perché l’autostrada era ancora un cantiere, capimmo che non sarebbe stato un viaggio tranquillo. Si, avremmo voluto arrivare prima, ma Pignatari stava esagerando.

Gaslini era il più arrabbiato “vai piano, vai più piano che con questo tempo è pericoloso ho paura”. E noi: “Andrea (Gaslini) lascialo stare perché te lo fa apposta”. Era una situazione tesa e non piacevole, fatto sta che subito dopo Valmontone, complice la strada viscida e l’incrocio con una macchina che gli alzò gli abbaglianti, Pignatari perse il controllo dell’auto.

Ancora vedo davanti a me tutti gli alberi che abbiamo colpito: uno, due, tre…l’ultimo contro cui la macchina si accartocciò sbalzandomi fuori dall’abitacolo. Maurizio mori sul colpo.

Sopraggiunsero le macchine che seguivano, quelle della BPD, i soccorsi, ma a quel punto ero già svenuto. Soltanto in ospedale, dove c’era già la mia famiglia avvisata dal mio compagno di squadra Bernicchi (ex serie A) notarono che ne mancava uno “Mucci…manca Mucci!”. Avvisarono i pompieri che tornati indietro mi ritrovarono dentro il fosso, tra i rovi, con le gambe fratturate e ferite su tutto il corpo: fortunatamente vivo.

Da quella notte ha più rivisto Pignatari?

No.

Lei ha giocato in serie C e IV Serie che oggi qualcuno vorrebbe paragonare alla C e alla D..

.. ma il paragone non regge. La serie C era la B di oggi, a girone unico, si andava in trasferta su e giù per l’Italia, a Venezia, Cagliari, Foggia, Pistoia, Pavia, Mestre. La BPD Colleferro la trovavi sulla schedina del totocalcio. Gli allenatori si portavano dietro gli undici che sarebbero scesi in campo più il secondo portiere e il tredicesimo uomo, ma solo nell’evenienza che qualcuno potesse sentirsi male durante il trasferimento, o prima dell’inizio della partita. Decisamente un altro calcio.

A trentasei anni smette di giocare. Poi?

Il corso allenatori sotto la guida di Silvio Piola e subito dopo il Colleferro mi affida la Juniores, con cui vinco due titoli regionali e disputo altrettante finali nazionali.

Nel 1989 lascia il Colleferro e va ad Anagni..

.. perché l’Anagni Fontana mi cerca è perché su quella mia scelta influirà molto la decisione di abbattere il Maurizio Natali per far posto ad un parcheggio multipiano. Ebbi la sensazione che si volesse cancellare in un solo colpo la “nostra” storia. Mi scontrai anche con l’Amministrazione di allora, ma non servì a nulla.

Ti confesso una cosa però: io e tanti altri in quel multipiano non abbiamo mai parcheggiato perché si ha la sensazione di profanare un “tempio”.

Ad Anagni?

Manca poco che mi fanno Sindaco. Il primo a anno prendo la Juniores e vinco il campionato, quello successivo la Prima Squadra che, in soli tre anni, vincendo altrettanti campionati, dalla Prima categoria porto in Interregionale. Ancora qualche anno e mi assegnano il ruolo di D.G...

..che tornerà a ricoprire anche a Colleferro..?

.. nel 2000, grazie al Dott. Mario Pagliei e Mariano Iannone che mi richiamano a “casa”, dove proseguo con lo stesso incarico anche quando Otello Mandova nel 2003 rileva la proprietà e mi chiede di restare. Nel 2008 la famiglia Mandova decide di lasciare ed io capisco che per me è arrivato il momento di dire basta.

Faliero Mucci...meglio da calciatore, da Mister o da dirigente?

Sebbene io abbia giocato fino a trentasei anni, come calciatore credo di aver dato il meglio di me fino ai ventuno anni, al giorno di quel terribile incidente che mi ha segnato profondamente. Avrei potuto fare di più? Non lo so, probabilmente si. Anche se con i “si” e con i “ma” è facile creare una storia nuova.

Da allenatore invece mi sono tolto molte soddisfazioni, a Colleferro come ad Anagni. Da D.G. credo siano altri a dover giudicare il mio operato.

Il Presidente che da calciatore, allenatore e dirigente ricorda più volentieri?

Da calciatore: il Dott.Trentino della BPD, vero “deus machina” della società. Tutto passava sotto di lui. Da allenatore: Daniele Feliziani, un gran brava persona, un gran lavoratore. Veniva al campo sempre in tuta da lavoro, non ti faceva mancare nulla e sapeva stemperare i toni. Da dirigente: Otello Mandova. Avrei voluto regalargli molte più soddisfazioni che avrebbe certamente meritato. Era un “passionario”.

La gioia più grande?

Colleferro-Torres di IV Serie, con i sardi primi in classifica. Io rientravo da un infortunio e quella gara la giocai da terzino destro…io un attaccante. A fine gara il Dott. Umberto Pagliei (papà di Mario) allora segretario della società, mi disse che il Selezionatore della Rappresentativa Nazionale presente in tribuna mi aveva convocato “giovedì te ne vai a Terni”. Ed anche lì giocai terzino.

Il rammarico più grande?

In casa contro l’Olbia, ed ero anche il capitano. Noi in buona posizione di classifica, ma all’ultimo minuto l’arbitro ci fischia un rigore contro per un fallo che per noi era avvenuto fuori dall’area.

Con un gesto inqualificabile arrivai a strattonarlo e lui si rimangiò la decisione assegnando ai sardi una punizione dal limite. La settimana successiva arrivò però la nostra sconfitta a tavolino (0-2) e sei giornate di squalifica per me e per il vice-capitano.

Segue ancora il Colleferro Calcio?

Certo che sì.

Ai suoi tempi la scuola calcio era la strada o forse sarebbe meglio dire i prati, che di certo non mancavano. Oggi, cosa hanno aggiunto e cosa hanno tolto le “scuole calcio”?

Ma no, le scuole calcio cosa vuoi che tolgano, al contrario hanno aggiunto. Lo hai appena detto, ai miei tempi c’erano più prati che strade; passava una macchina ogni mezz’ora, ed era un evento. Oggi è impensabile giocare in mezzo alla strada o praticare sport al di fuori di impianti dedicati, per cui almeno relativamente agli spazi, le scuole calcio risolvono un grosso problema.

Ma la passione Mister, quella che continua ad animare lei…

…beh no! Quella la scuola calcio non te la insegna. Quella è la spinta che devi avere per vivere il calcio come un divertimento e non come un peso. A volte però vedi bambini che vengono letteralmente trascinati al campo da genitori che vogliono appagare il loro desiderio che non è quello dei figli.

Cosa direbbe a Matteo e Giulia, i suoi nipoti, per spiegare quello che Colleferro ha rappresentato per lei e quello che il nonno ha rappresentato Colleferro?

Sarà che a Colleferro sono nato e cresciuto e messo su famiglia con mia moglie Caterina, sarà che qui sono nate le mie figlie Paola e Roberta, sarà per le emozioni che ho vissuto qui, ma per me Colleferro è il centro del mondo.

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, io non so cosa io stesso possa aver rappresentato per la città, ma le attestazioni di affetto e stima che ancora oggi ricevo mi inorgogliscono.

Quanto tempo per il calcio ha tolto alla famiglia?

Tanto, anche se per me la famiglia è tutto e quando c’ero non l’ho mai trascurata. Ho avuto però la fortuna di avere al mio fianco mia moglie e due figlie che hanno capito e non me lo hanno mai fatto pesare.

A questo punto, con l’emozione che traspare sul suo viso, mi passa una foto del vecchio “Maurizio Natali” con la fabbrica sullo sfondo e…

...in questa foto puoi vedere i luoghi dove ho trascorso la maggior parte del tempo della mia vita. Il campo e la fabbrica.

...un’ultima domanda Mister. Il suo 11 ideale?

1 Filippi, 2 Garzia, 3 Alviti, 4 Brusadin, 5 Ferioli, 6 Guarnacci, 7 Scamos, 8 Bozzato, 9 Prenna, 10 Bernicchi, 11 Gaslini

E Mucci?

Risata- Sul treno. Con il n.12 Faticoni.

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