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Svezia e Finlandia nella Nato. Rischi e vantaggi della nuova Europa

osa combattiamo?

Una domanda la cui risposta forse risulterà banale, ma non lo è affatto.

Il mese scorso abbiamo lasciato l’interrogativo aperto sulla conclusione di questa guerra e sulle possibili declinazioni di vittoria, diverse per ogni attore in scena. Ad oggi questo interrogativo non è sanato, è anzi profondamente esacerbato da un’Europa in continuo mutamento.

Dal 24 febbraio abbiamo assistito a un continuo tentativo occidentale di mostrare un blocco compatto e indissolubile di fronte alla minaccia russa, che sia in grado di rispondere tempestivamente all’offensiva russa con azioni che vadano oltre la mera – seppur nobile e necessaria - solidarietà e il sostegno alla nazione ucraina. L’occidente ha cercato e sta cercando di dare ordine al marasma geopolitico causato dalle azioni di Putin che hanno risvegliato l’atavico antisovietismo americano e hanno messo in luce tutti i limiti dell’Ostpolitik degli anni Merkel, che di contro ha portato i paesi europei a una dipendenza energetica dalla Russia apparentemente irreversibile, almeno al momento.

Superati oramai i cento giorni di guerra, l’interrogativo principale è a monte.

Per poter definire un obiettivo finale bisogna per prima cosa interrogarsi su che cosa si sta combattendo, se contro l’occupazione ucraina o per l’annientamento dell’imperialismo russo.

Questo è infatti l’unico snodo chiave che permetterà di sciogliere questo conflitto e che al momento sta scavando in quelle divergenze di pensiero che l’occidente ha tentato finora di camuffare sotto la maschera della ritrovata unione. Infatti, da quando gli Stati Uniti hanno aperto la fase due della loro strategia, lo scorso 19 aprile, si è creata una voragine insanabile che sta portando conseguentemente l’Europa a una frattura d’intenti che potrebbe causare una rivoluzione degli equilibri che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Si parla già di una Vecchia e una Nuova Europa, una distinzione che delinea le due visioni dell’assetto geopolitico del futuro.

Quando lo scorso maggio abbiamo appreso la decisione di Svezia e Finlandia di voler avviare la procedura per entrare nella Nato, era già chiaro che l’Europa stava entrando in una nuova ed epocale fase della storia. Per la prima volta, i due paesi del Baltico hanno deciso di abbandonare la loro storica neutralità a favore di uno schieramento netto, atlantista e fortemente antisovietico.

Bene, questo certamente avrà i suoi vantaggi anche dal punto di vista strategico e geografico, dal momento che il mare del Baltico diventerà a tutti gli effetti chiuso alla Russia e la Nato guadagnerebbe ben 1300 km di confine col nemico moscovita.

Senza contare che l’Alleanza Atlantica acquisirebbe due Paesi stabili sia politicamente che militarmente, che già hanno dimestichezza con le tecnologie americane, visto che già da anni le due nazioni baltiche cooperano con la Nato in alcune operazioni militari.

Di contro, non si può ignorare il fatto che l’abbandono della neutralità finlandese, che ha trainato poi anche la decisione della Svezia a questo proposito, sia stata in larga parte guidata da una forte emotività del momento più che da un reale pericolo di invasione russa. Bisognerà attendere per capire se effettivamente questa decisione non porti ad un effetto boomerang.

Al netto dell’indiscutibile vantaggio militare che ne guadagnerebbe la Nato, il rischio è di creare le condizioni per il verificarsi del rischio da cui ci si voleva difendere. Certo, si potrebbe fare un parallelismo con il recente riarmo tedesco, ma la differenza è sostanziale: mentre la decisione del cancelliere Scholz riguarda il potere difensivo della Germania, totalmente autocentrato, lo stesso non si può dire per il Baltico, che ha scelto una via difensiva a guida americana.

E questo non passerà inosservato.

L’alternativa viene perciò portata avanti da quella che oramai viene definita “la Vecchia Europa”, l’intesa tra il nostro Paese e la coppia franco-tedesca. Se di intesa si può parlare.

Sì, perché malgrado il comune obiettivo del voler trovare una via d’uscita che non sia assolutista come quella statunitense, prevedendo in un futuro di non marginalizzare completamente la Russia ma includerla nel loro progetto internazionale, le tre potenze europee non sono ancora riuscite a definire un punto di convergenza, se non in linea molto generale.

Il motivo? Ovviamente economico (c’è ancora la pistola alla tempia della dipendenza energetica), ma non solo. La proposta di Macron della creazione di una nuova Europa su più “livelli” cela inevitabilmente un presupposto fondamentale, che la Francia faccia in questo nuovo ordine da collante nella gestione delle aree di competenza e di gestione tra queste diverse aree.

Situazione ben diversa nella visione di Berlino, che non boccia in toto la proposta francese, ma preferisce un’alleanza militare americana, anche per via della sua vicinanza con il confine sovietico. Ecco che l’influenza francese subirebbe una netta frenata, senza contare che l’asse geopolitico sposterebbe il suo centro più ad est, visto anche il ruolo che Svezia Finlandia e Polonia stanno rivendicando sulla scena internazionale.

Insomma, il conflitto in Ucraina al momento sta moltiplicando i terreni di scontro, piuttosto che facilitare una convergenza di intenti. L’incontro a Kiev dello scorso 16 giugno della delegazione europea formata dal nostro premier Mario Draghi, il presidente francese Macron e il cancelliere Olaf Scholz con il presidente ucraino sicuramente ha una sua importanza simbolica, ha mandato un segnale potente sulla volontà di sostegno all’Ucraina da parte dei paesi europei e sulla volontà di portare avanti la strada per l’inclusione dell’Ucraina nell’Ue.

La notizia è infatti arrivata il giorno seguente dalla Commissione Europea, che ha espresso il sì per il suo status di candidato. Ma c’è ancora molto da lavorare all’atto pratico. Con Francia e Germania che si spalleggiano guardandosi bene le spalle dalle aspirazioni dell’altra, noi italiani ci stiamo difendendo bene, nonostante lo spettro delle prossime elezioni che potrebbero portare a una rivoluzione interna di governo.

Abbiamo presentato un progetto che prevede l’inclusione della Spagna al nucleo occidentale (Euroquad) che dovrebbe guidare la risoluzione del conflitto. Il problema ovviamente rimane l’attuazione. Si dovrà comunque venire a patti con mamma America, che con la sua posizione attuale mette carne sul fuoco, ma senza fare grandi promesse né all’Ucraina – che vorrebbe giustamente una voce in capitolo – né propone troppe garanzie concrete alle nazioni che si affacciano alla Nato, delegando ancora una volta la scocciatura burocratica all’Ue.


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