Non si possono affrontare le nuove sfide con strumenti vecchi e obsoleti.
Vale per tutto, ma vale, ancor più per l’urbanistica. Dopo l’età dell’oro di una urbanistica che si basava sull’espansione e la produzione edilizia, oggi si sta imponendo una nuova cultura urbanistica: l’idea della città da ricomporre, valorizzando e sfruttando l’esistente.
E’ la cosiddetta logica dell’“agopuntura”, ossia degli interventi mirati, puntuali, addirittura microspaziali. Si interviene sul tessuto urbano con incursioni intelligenti capaci di insinuarsi finanche negli spazi più piccoli, al fine di armonizzarli con l’intorno, fino ad avere una visione compiuta, moderna e fruibile della città.
Si tratta di un metodo scientifico, culturale e creativo, spesso a basso costo, ma di grande impatto. Per funzionare richiede una capacità di osservazione costante e in profondità.
In alcune esperienze si è partiti dalla individuazione di una porzione di spazi urbani, sui quali gli interventi sono stati selezionati seguendo tre strategie diverse.
La prima consiste nell’agire sui nodi strategici, sulle traiettorie di aree in condizioni di degrado e di abbandono. I vuoti urbani vengono potenziati dando ad essi densità e plurifunzionalità. Ad Amsterdam, per esempio, una volta individuate le “traiettorie” su cui intervenire, si sono immesse nuove centralità urbane, la cui compattezza e densità derivano dalla realizzazione di nuovi edifici poggianti su basamenti compatti, a sviluppo verticale. La multifunzionalità è stata garantita da destinazioni d’uso plurime: uffici, attività commerciali, residenze, attività culturali e di intrattenimento.
La seconda strategia interviene sugli assi di collegamento centro-periferia. Assi che vengono rafforzati e potenziati tramite interventi tesi a collegare e riconnettere le due porzioni di città. Lo spazio urbano interconnesso viene, anche in questo caso, riempito da funzioni multiformi (dai centri commerciali alle attività per il tempo libero). Il tutto corroborato da elementi che ricostruiscano le quinte stradali, individuando attività complementari rispetto all’esistente.
Infine, terza strategia, si interviene sulle aree esterne a bassa densità abitativa: la cosiddetta “città leggera”. Qui gli interventi vanno mirati a creare nuove polarità, anche micro, connesse al cuore dell’agglomerato urbano più consistente, in modo da creare veri e propri “cuscini di vita”.
Insomma, la nuova idea di città dovrebbe creare un’esplosione di servizi, servizi che, nell’epoca espansiva, avevano poco o nulla rilevanza. La nuova dimensione di sviluppo realizza, invece, un connubio molto stretto tra centro e periferia, tra siti commerciali e siti di eccellenza distribuiti sul territorio, con la loro specialistica settoriale. Una complementarità che rende armonioso, funzionale e vivibile l’intero contesto urbano.
L’idea di città nuova postula il vivere insieme, la comunità come indice di vitalità, di varietà, valore di coesione sociale.
Finora l’urbanistica espansiva si è basata unicamente su una pressante domanda abitativa, di nuovi assetti residenziali, di un consumo di territorio sottratto sovente allo spazio pubblico: il “non luogo”.
Ora la città va ricostruita e riqualificata nella sua trama; va ricomposta, riallineata e riempita nelle forme mancanti, a partire dal verde pubblico, dai parchi, dagli spazi di vita e di quiete. Nei basamenti stradali che animano la vita quotidiana.
Ricostruire questa “trama” significa intervenire nei quartieri di edilizia sociale, annullando l’isolamento, penetrando l’interno con architetture leggere.
Così si ricostruiscono i sobborghi. In epoca di urbanistica espansiva la città veniva scomposta in nuclei, in blocchi uniformi.
Al contrario, la città nuova esalta la varietà, le differenze, l’articolazione delle forme e dei volumi, il riempimento dei vuoti.
Da questa originale e nuova immagine può scaturire il contenuto del Piano di Città. La nuova cultura della pianificazione urbanistica.
Il Papa Sisto V, antesignano di una idea che oggi torna prepotentemente in auge nelle linee neofilosofia urbanistica, aveva sollecitato gli architetti a pensare la Roma dell’epoca come una trama di collegamento tra gli assi che correvano tra le basiliche cristiane. Assi di collegamento nel cui ambito venivano sistemate le “emergenze”. Tutto ragionato come sviluppo di un unico insieme.
L’indirizzo che può offrire linfa, dare valore e forza ad una nuova concezione dell’urbanistica è quella che promana dal definitivo abbandono della logica espansiva, del consumo del territorio secondo la teoria fordiana, per attingere le forme della integrazione.
Idee nuove che, c’è da augurarsi, anche per il nostro territorio e le nostre città, non vengano mortificate da una modernità, o post modernità che dir si voglia, poco incline a sperimentare linee che restituiscano senso e vita alla città dell’uomo.
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