Si ripetono troppo frequentemente episodi di violenza e di aggressione.
Il dovere di interrogarsi sugli episodi che stanno sconvolgendo la nostra comunità.
Due barbari assassini nel giro di due anni. Alberto Giannetti, appena quarantenne, randellato con una sbarra di ferro a pochi metri da casa e derubato dei pochi spiccioli della misera pensione sociale ritirata qualche ora prima dagli uffici postali.
Willy Monteiro Duarte, giovane eroe massacrato da un gruppo di balordi per aver osato difendere un amico aggredito appena fuori da un pub, sotto le finestre della Caserma dei Carabinieri.
E poi, l’ultimo episodio di violenza, sempre a Colleferro, in pieno centro e in pieno giorno: un diciassettenne insultato e malmenato, lasciato agonizzante sul selciato. Ancora, settimane fa, un bar tra i più frequentati del quartiere San Bruno, messo a fuoco, a quanto pare, da avventori che non avevano gradito di consumare il caffè fuori dal locale, in spregio alle normative anti-Covid.
I locali dell’Auditorium, adibito a drive in per le vaccinazioni antivirus, saccheggiato in piena notte da vandali che hanno agito indisturbati.
Nemmeno l’ombra di un controllo nella zona. Furti, borseggi, rapine, scassi. Usurai in servizio permanente effettivo. Racket, pizzo, droga. Che cosa è diventata Colleferro?
Come è possibile che una cittadina laboriosa, industriale, assurta negli anni alla attenzione internazionale per le sue eccellenze nel campo aerospaziale e non solo, laboratorio di esperienze innovative in innumerevoli campi, dove sono transitate figure professionali e manageriali di notevole livello; una città che ha saputo, agli albori degli anni Novanta, risollevarsi da una crisi economica, sociale e produttiva tra le più pesanti dal dopoguerra, valorizzando e non mortificando le maestranze fuoriuscite dal ciclo produttivo per gli effetti perversi dei processi di finanziarizzazione sulle stesse dinamiche industriali; una città che ha visto crescere intorno a sé un territorio di area vasta, oltre gli stessi suoi confini amministrativi, sapendone pilotare e influenzare lo sviluppo, diventando un faro e un punto di riferimento costante; una città che, negli anni, ha saputo ampliare la gamma dei servizi sociali, culturali, sportivi, del tempo libero e del volontariato, offrendo ai giovani, e non soltanto a loro, mille opportunità e convenienze per sfuggire alla trappola della emarginazione e del disagio, anche nelle più acute forme esistenziali; una città che ha inciso nel Dna della sua popolazione elementi virtuosi di solidarietà, di soccorso, di integrazione: una delle prime, nella provincia romana, a organizzare l’accoglienza per gli immigrai, poco prima del terzo Millennio, in un immobile ristrutturato, un centro attrezzato e gestito con tutti i crismi, badando anche alla formazione e all’inserimento degli ospiti. Ci fermiamo qui. L’elenco sarebbe molto più lungo.
Ma basta questa serie di esempi concreti per far capire quali vette ha saputo toccare la nostra comunità nella sua storia passata e meno recente. Ed ora, che accade? Una coltre di nebbia ci avvolge in una atmosfera cupa. Atmosfera di paura. Di rassegnazione. Di impotenza. Le immagini della nostra città scorrono nei telegiornali con opprimente vergogna.
Le reazioni ufficiali grondano di retorica. Di sociologismi tanto al chilo.
La colpa, si sa, va cercata sempre altrove. Sfilano le autorità con sfacciata sicumera, nel carosello di una narrazione che vorrebbe essere rassicurante, ma che, al contrario, acquista sempre più i tratti indigeribili di una stucchevole ipocrisia. Si dice: la città è sicura.
Ma di quale sicurezza parlano? Sanno, almeno, cosa significa garantire la sicurezza ai propri cittadini? Con quali mezzi, con quale attività di controllo e prevenzione, con quali iniziative sociali, culturali, formative? Con quale coinvolgimento dei giovani, delle scuole, delle famiglie? Con quali progetti educativi e piani interdisciplinari?
Il tema della sicurezza è un tassello fondamentale della vita collettiva. Per questo è importante la conoscenza che i cittadini ne hanno come lo è la differenza, spesso assai poco sondata, tra pericoli sentiti e pericoli reali. Tra la percezione e l’effettività. Ma la sicurezza è innanzitutto un diritto del cittadino, nelle piccole come nelle grandi città, e la politica, le istituzioni, hanno il dovere di garantire tale diritto.
Il sintomo, però, non deve far perdere di vista la malattia: militarizzare le strade (quasi sempre all’indomani del verificarsi degli episodi criminosi) e operare un controllo maggiore (di cui pure si avverte un bisogno crescente) non può far passare in secondo piano le condizioni di disagio e abbandono istituzionale che, in molti casi, determinano situazioni di pericolo sociale, dunque reati, criminalità, infrazioni, violenza.
Nel Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes si rileva come l’insicurezza sia ormai diventato un sentimento condiviso, alimentato da un clima di emergenza costante.
“Quel sentimento ha permesso di giustificare molte mancanze nelle politiche del lavoro e di sviluppo del territorio, della scuola, della sanità, facendo perdere di vista progetti e visioni a lungo termine”.
Ecco, quei capisaldi di cui abbiamo fatto cenno, costruiti dalla comunità di Colleferro, nel corso dei decenni passati, sono stati fatti saltare come birilli.
E ora, nello scompaginamento sociale e nella deriva esistenziale in cui rischiano di essere sepolte porzioni non indifferenti di generazioni, diventa urgente ricostruire un sistema di valori condiviso, un nuovo paradigma di senso, di etica, di civismo e di moralità pubblica in cui potersi orgogliosamente specchiare.
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