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Utero in affitto, la fattoria dei bambini


Il titolo può lasciare interdetti, proprio in questo periodo in cui le discussioni, a volte molto animate, si concentrano sul diritto di trascrizione dei bambini nati all’estero e procreati grazie all’utero in affitto, peraltro pratica vietata nel nostro Paese.

Ma è corretto parlare di “fattoria” o l’esatta definizione è “fattorie”?

Personalmente vi assicuro che fattorie si avvicina moltissimo all’oscuro mondo degli uteri in affitto, o, come meglio definita, alla maternità surrogata, in un mercato in cui domanda e offerta si incrociano e vengono adottati metodi per la produzione di “bambini” come se fossero beni da vendere sugli scaffali. Il problema di fondo, di cui in molti non vogliono proprio sentirne ragioni, è che il riconoscimento diventerebbe una silenziosa accettazione di un commercio, e spesso traffico illecito, che nel mondo è confermato da numeri colossali, trasformando così un diritto a essere genitori in una pratica diffusa per fare soldi.

In questo modo si strumentalizzano migliaia di nascite a ogni latitudine e si difendono altrettanti diritti violati, per alcuni, senza avere la minima decenza di operare con coscienza, visto che nel mondo ci sono milioni di orfani o bambini adottabili.

Tuttavia, in questi casi, l’umanità e i diritti dei minori non sono considerati, anzi, si preservano altre fonti di guadagno non proprio nascoste.

La pratica dell’utero in affitto è vecchia quanto il mondo e diffusa da sempre, basti pensare che nelle Sacre Scritture se ne fa riferimento e i libri di storia ne sono pieni, oltre ai racconti familiari che si tramandano spesso da generazioni, tra nobili gesti di donne, madri, sorelle e cugine, o semplici conoscenti, che si sono offerte di regalare il diritto genitoriale e lo fanno ancora.

In tempi moderni, la pratica non è più solo un gesto altruistico, ma commercio vero e proprio; in alcuni casi, quando i genitori per esempio richiedono ovociti e/o sperma, i donatori possono essere scelti con specifiche caratteristiche fisiche e intellettive, provenienza geografica e substrato culturale, con tanto di listino prezzi che ovviamente determina scelte ben definite che a volte rasentano pensieri hitleriani che ci illudevamo fossero relegati nel dimenticatoio.

Fatto sta che per coronare il sogno di diventare genitori, tra coppie che hanno problemi di fertilità, o che hanno delle condizioni tali da non poter procreare direttamente, altri per evitare vistose trasformazioni fisiche che le gravidanze sottopongono le donne, sono disposte a scendere a compromessi sia economici che di scelta della madre surrogata la quale spesso non viene mai conosciuta da chi commissiona il servizio.

Nel web si possono trovare tantissime alternative, dal Regno Unito agli Stati Uniti, nomi noti di cliniche della fertilità che offrono questo tipo di servizio con programmi “ad hoc” per coppie etero sessuali, uomini o donne single, coppie gay o transgender.

Foto di coppie felici con in braccio un bambino e slogan accattivanti per promuovere ogni tipo di attività legata alla fertilità e alla nascita.

Spesso la domanda arriva da ricchi disposti a sborsare qualunque cifra, e da persone del ceto medio che non possono permettersi importi fuori dalla loro portata. Risultato? Di fronte a una tale richiesta le cliniche si spingono in una spasmodica ricerca di madri surrogate in Paesi lontani in cui i costi della sanità sono bassi e il tasso di povertà molto alta tanto da permettersi una minima spesa contro un guadagno sicuro lucrando sulle commissioni e lasciando alle madri surrogate una minima parte.

Quindi accade che tra un oceano e l’altro si cerchino gli uteri in appetibili mercati in cui attingere a basso costo o “costringere” con il ricatto psicologico molte donne a rendersi disponibili per pochi soldi a portare avanti gravidanze in condizioni a volte disumane, patendo la fame, in posti in cui l’igiene è al limite della decenza e dando alla luce i bambini in ospedali che non garantiscono la salute di mamme e figli.

Una fattoria quindi rende bene l’idea di come si possa organizzare un servizio che viene presentato dalle quotate cliniche della fertilità e della maternità surrogata come un top di gamma del settore. Da brividi, così come lo sono le cifre, tanto da aver costretto a bandire tale pratica in alcuni Paesi che erano fino a qualche tempo fa fra i più quotati per caratteristiche e facilità di reperimento delle madri.

L'industria globale della maternità surrogata è cresciuta fino a raggiungere una cifra stimata di 14 miliardi di dollari nel 2022. Entro il 2032, si prevede che tale cifra salirà a 129 miliardi di dollari. Tra questi numeri ci sono molti quesiti da porsi.

Ma come è possibile? Eticamente di cosa stiamo parlando? Domande alle quali bisognerebbe rispondere seriamente e analizzare ogni minimo particolare, prima di tutto comprendere quanto siamo effettivamente cambiati noi negli ultimi decenni per aver permesso la creazione di un’industria della procreazione che ormai non può essere fermata. Se le stime dei prossimi anni sono un veritiero spaccato di quello che potrebbe succedere, vorrà dire che le nostre abitudini sono cambiate profondamente anche sulla base di una vita reale intangibile che passa attraverso piccoli schermi ed emozioni represse, che le scelte anche sessuali stanno influenzando la genitorialità, che gli esempi dai social media da parte di volti noti dello spettacolo, della televisione, stiano silenziosamente manipolando i pensieri delle giovani generazioni imbambolati dalla perfezione fisica, dalla diversità che diventa essere accettati tout court e che forse prima o poi saremo costretti a ricordarci della famiglia tradizionale come lontanissimo esempio di aggregazione tra consanguinei.

E se fosse che il dio denaro stia semplicemente celando un altro tipo di manipolazione di massa e che le generazioni, anche frutto della maternità surrogata, saranno bandierine da sventolare come segno di conquista in ambiti che non vogliamo e non possiamo ancora vedere? Riflettiamoci, tutti insieme, senza dover per forza di cose unirsi come pecore alle ideologie solo per un meschino spirito di appartenenza, e, pur rispettando le scelte e i sacrifici di chi ci crede fermamente e di chi soffre per la mancanza di essere genitore, non ci si può permettere di rimanere indifferenti di fronte a questo sporco commercio.



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