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Calecara, tra tradizione e folklore

Carla De Felice

SEGNI - Che cosa è rimasto lassù? Nelle terre alte. Col suo assetto urbanistico di età romana e l’organizzazione architettonica di alcuni spazi di carattere pubblico, Segni città-museo e città d’arte è l’ideale palcoscenico che propone scorci e storie che meritano di essere raccontate, promosse e valorizzate.

La storia di un paese rappresentata dalle sue contrade, dai comitati di quartiere, dagli esercizi commerciali, dalla Pro Loco, da privati, dalle laboriose associazioni che vi operano, con senso di continuità e identità.

La storia di una comunità che sopravvive allo scorrere del tempo attraverso irrinunciabili appuntamenti collettivi. Processi endogeni di rivitalizzazione comunitaria.

Rigenerazione di comunità. In prossimità dell’equinozio di primavera, all’affievolirsi della luce del giorno, quando lentamente si spegne la melanconica luminosità del crepuscolo, ancora una volta oggi come allora, la tradizione si rinnova e la magia dei fuochi di San Giuseppe illumina la città. Luce che sconfigge le tenebre. Falò.

Pire altissime parte di un rituale propiziatorio di purificazione e di consacrazione che sancisce il passaggio dall’inverno alla primavera. In vernacolo: CALECARA. Una delle tradizioni ancestrali più diffuse nel folklore e nell’antropologia culturale.

Uno spaccato della vita di un tempo. Una chiamata a raccolta.

Un turbinio di forze intorno ad un centro, dove è possibile ritrovare un ritmo primitivo e incontaminato che ha il sapore di una festa popolare.

Dove le piazze, le pietre e il dialetto segnano il cammino di una storia comune.

Quest’anno l’appuntamento è stato previsto per due giornate, il 16 e il 23 marzo. La prima, per volere degli Amici di Monte Campazzano, sul monte Campazzano. L’altra in Piazza Risorgimento a cura dell’Associazione Amici del Curato, e, in Piazza Santa Maria a cura delle Associazioni La Piazza, la Locca D’Oro, con il prezioso contributo del Bar Centrale e delle tante “botteghe” che insistono sulla stessa Piazza.

Il 16 un cammino santo segna i passi degli amici pellegrini lungo il sentiero intriso di spiritualità, vite, storie e tradizioni. Passo dopo passo si sale a Campazzano, il monte boscoso di proprietà comunale più vicino all’abitato cittadino. Sul pianoro, la chiesetta tornata all’antico splendore grazie al lavoro dei volontari segnini che con la sola forza delle braccia hanno trasportato negli anni i materiali necessari ai lavori di recupero e restauro.

Lungo il sentiero le tavole installate dei mosaici raffiguranti la Via Crucis del maestro Attilio Bedini. Tutto intorno il bosco variegato, classico della Macchia Mediterranea. L’opera dell’uomo, l’arte e la natura.

E poi le parole, i gesti, i segni.

La celebrazione eucaristica all’aperto profondamente sentita e compartecipata. È per le 12,30 il momento dell’accensione, si sa, sempre il più atteso, e sulla brace si cuoce quel cibo saporito e genuino messo in comune per quell’abbondante quanto delizioso pranzo in condivisione. Il sole che fa capoccella sconfinando le nuvole, il panorama, la buona compagnia. Magia di un sogno comune diventato realtà. 

Per tutti coloro che aspettano l’appuntamento in Piazza Risorgimento e Piazza Santa Maria, i preparativi vanno in scena nelle prime ore del mattino di sabato 23 quando alcuni addetti comunali e altri operosi cittadini, giovani e meno giovani, sono all’opera per l’allestimento della scenografia.

Da disposizioni degli ultimi anni è il Comune che procura la legna necessaria da ardere che, successivamente, i membri delle associazioni debitamente accatastano nello spiazzo adibito.

La loro bravura sconfina quest’anno in piazza Santa Maria in una vera e propria installazione ad opera d’arte, che ripropone il costruire antico di uno dei più suggestivi monumenti rappresentativi della città di Segni, citato in tutti i trattati di archeologia: la Porta Saracena. Un ventre di luce e di fuoco, quasi una cattedrale ai piedi della Cattedrale Santa Maria Assunta.

Del fuoco se ne trovano riferimenti poetici nelle storiche raccolte di poesie di Aldo Zangrilli e non esita la figlia Maria Grazia, per tutti noi Graziella, a recitarne, a sorpresa, alcuni passi all’attento pubblico: “Me chiamo focò i tte sò tanto amico; te rescallo i tte còcio ‘gni pietanza. Se però de Dio po te fà nemico, de mi no giorno tu n’avrai abbastanza”! Dal canto suo, con una breve sinossi Diego Colaiori ci anticipa il contenuto del monologo “La storia delle calecare”, di cui è autore e interprete.  “Centinaia di migliaia di anni fa, l’uomo scoprì il fuoco. E niente fu più come prima. Il fuoco ha permesso all’essere umano di progredire come essere vivente ma soprattutto, come comunità. Storie, racconti e vivande si consumano in compagnia davanti a un focolare, ed ecco la vita”.

Uno story-telling con letture interpretate e musica basato sull’importanza di far parte di una comunità; del ritrovarsi intorno al fuoco e scacciare insieme la paura del buio.

Il fuoco della passione, il fuoco dell’amore, raccontato da storie e leggende, scrittori e filosofi, fino ad arrivare alla meraviglia della Calecara segnina.  Uno spettacolo adatto ai grandi così come ai più piccoli cittadini che vivono la comunità, per riscoprire il piacere di condividere.

In programma tra gli artisti di strada anche il mago che, si sa, è un ospite sempre gradito e raccoglie il consenso di tutte le età quando c’è voglia di gioire e divertirsi tutti insieme. È Mago Pentolino, incantafolle, capace di regalare magia e intrattenimento con uno spettacolo “da ridere sul serio”. E allora: via alle risate, alle emozioni, alle super bolle, all’allegria riservata ai grandi e ai bambini – “voi che siete il pensiero che può tutto il bello dell’universo”.

In un modo o nell’altro, comunque la si racconti, la storia di un paese e di una comunità è sempre anche storia di cose da mangiare e di prodotti locali da promuovere. I gesti del cucinare, dell’offrire e del degustare rappresentano un linguaggio universale capace di creare un dialogo (inter)culturale. Il buon cibo viene messo in scena in stand allestiti sul dorso della Cattedrale e la variegata esposizione offre agli occhi dei presenti una bellissima piazza e un percorso olfattivo e di gusto di questa indimenticabile calecara gastronomica.

Salsicce, verdure, pizza di polenta, guanciale, i tradizionali bignè di San Giuseppe. Quando scende la notte, l’atmosfera è davvero festaiola: si mangia, si beve, si canta e si balla.

Lo stare insieme. Quel ritrovarsi come comunità intorno alle nostre tradizioni più belle. Intorno a quel fuoco. “Un paese ci vuole” scriveva Cesare Pavese alla metà del ‘900; un paese significa non essere soli, avere gli amici, del vino, un caffè. Della buona musica in piazza. A Jo Lago i Trick Ballack, e, a seguire, Enzo Schiavi che offre il genere anni 60-70-80 agli appassionati della disco-music. I Parquarìa dal canto loro, gruppo di musica folk nato nel 2003, rispondono invece presente alla chiamata in piazza Santa Maria e, tra tradizione ed enogastronomia danno spettacolo con canzoni popolari e stornelli dialettali.

Espressioni esecutive di melodie popolari ciociare con sfumature aggiornate. Suoni dal mondo della tradizione e dissonanze del sound tipico del Lazio meridionale.

I ritmi incalzanti di pizzica, tammuriata, tarantella mentre si fa notte sono la ricetta per vivere, ballando, l’entusiasmo del folk in questa serata coinvolgente ed affascinante che si prende il cuore e l’anima dei numerosissimi presenti. “Cerchio che prude, cerchio che apre. Cerchio che spinge, cerchio che stringe. Cerchio che abbraccia. Dentro il cerchio mi scaravento e lì vedo che la vita è quel momento”. (Vinicio Capossela, Il ballo si San Vito).



 

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