La diffusione delle tecnologie informatiche e dei dispositivi digitali stanno determinando una vera e propria rivoluzione nella nostra società.
Comunemente detta digitalizzazione, questa trasformazione abbraccia ogni settore sia pubblico che privato.
Influenza il nostro vivere quotidiano offrendo opportunità, rinnovando prodotti, servizi e determinando profonde trasformazioni nei processi attraverso i quali si producono e si diffondono informazioni e conoscenza con incremento iperbolico nella produzione di dati digitali.
Basti pensare a cosa accade ogni giorno nei canali social, nel lavoro, e di quanto sia amplificata nell’umano l’esigenza di comunicare.
Il presupposto di questo fenomeno è da rintracciarsi nella correlazione che si è innescata tra il progresso tecnologico e le tendenze economico-sociali, correlazione che si sta manifestando nell’uso massivo delle tecnologie informatiche, nel crescente utilizzo delle apparecchiature e delle infrastrutture smart, nella crescente disponibilità della banda larga, nella grande diffusione dei social networks.
In aggiunta, una nuova modalità di produzione di informazioni sta crescendo sensibilmente negli ultimi anni: quella dovuta alla diffusione di sensori, dai piccoli rilevatori a radiofrequenza (RFID), alle telecamere, ad altri sensori di vario genere.
La loro funzione è quella di trasporre i fenomeni reali in un insieme di dati quantitativi e processabili riguardanti i settori più disparati, da quello della salute a quello della mobilità, da quello della sicurezza a quello dell’ambiente.
Si stima che già nel 2011 esistessero al mondo circa 30 milioni di sensori connessi a sistemi informatici, e che la loro crescita attuale fosse circa del 30% all’anno (McKinsey Global Institute, 2011).
È plausibile che questa interpretazione del mondo attraverso dati rilevati dai sensori evolverà attraverso un sempre più vasto sistema di comunicazione tra macchine interconnesse e reti di sensori, ovvero attraverso la cosiddetta “Internet delle cose” che diventerà sempre più interagente con la comunicazione umana producendo una quantità enorme di dati.
Una parte delle informazioni che viene oggi scambiata nel mondo utilizza la rete Internet.
La quantità di dati che transita in Internet rappresenta tuttavia soltanto una piccola parte dell’intero universo digitale, che è stato recentemente stimato essere circa 44000 miliardi di Gigabyte nel 2020.
Ma cosa sono i dati? Se lo chiedessimo ad uno studioso del pensiero forse risponderebbe: “Chiediamoci innanzitutto da cosa deriva la parola dato!”.
In effetti cercando, o come si dice oramai oggi, googlando, è facile ricadere nella sua etimologia.
Un po' come si estrae l’essenza da un frutto allo stesso modo nell’universo (o metaverso?) delle semantiche spesso si ricava che l’etimologia rappresenta in una unica accezione tutta la ricchezza informativa che si cela dietro ogni singola parola: “Dato” dal latino “Datum”, ovvero participio passato del verbo “Dare”, significa “Dono”.
Proprio così, il dato è la conseguenza del dare.
In effetti quando scriviamo un post nel nostro social preferito se introspettivamente ci guardassimo dentro e ci chiedessimo quale sia il nostro intento, in fondo, ma proprio in fondo, la risposta sarebbe sempre la stessa: si vuole dare qualcosa a chi riceve il post.
Del resto anche scrivere un libro, una canzone, una poesia, un racconto ed in generale “comunicare” è dare agli altri qualcosa.
Ma cosa diamo di preciso?
Non ci resta che googlare ancora e ricavare che attraverso il dato si trasmette e storicizza un “messaggio” ovvero una informazione, un insieme di dati.
Ecco perché si dice che siamo nell’era dell’informazione! Ecco perché si parla di Informatica come di quella disciplina che mira a trattare l’informazione in maniera automatica ovvero in maniera da poterla conferire ad un automa o elaboratore elettronico.
Ecco perché si parla di era dei Big Data!
Risulta adesso molto più chiaro il contesto in cui un messaggio, ovvero un insieme di dati, si impacchettano attraverso una sorta di comunicato prodotto dal cervello umano, codificato e trasmesso verso il destinatario o i destinatari che a loro volta lo decodificheranno e lo faranno proprio arricchendo la propria conoscenza ed il proprio agire.
Se chiedessimo invece ad un ingegnere cosa rappresenti per lui il dato risponderebbe in concretezza che il dato è il risultato di una misura ed in senso più ampio tutto ciò che percepiamo è il risultato di una misura.
In entrambi i punti di vista il risultato è comunque una forma di accelerazione del modo con cui le informazioni viaggiano da mittenti a destinatari, ruoli che spesso si invertono in comunicazioni bidirezionali, ed in un momento cosi caotico di informazione trasmessa quello che può accadere, se vogliamo anche per un principio elementare della statistica, ovvero la legge dei grandi numeri, che i messaggi che vengono prodotti necessitano di una forma di validazione.
Purtroppo in questa fase cosi anarchica dell’informazione si comunica tanto e si controlla poco, spesso è più importante risultare che essere, si mira alla viralità indipendentemente dai contenuti e tutto questo fa nascere un problema etico importante che sta emergendo sempre più.
Ci sono ricadute infatti in molti campi della vita sociale, da quelli più propriamente socio-politici come il marketing invasivo e le minacce alla privacy, a quelli istituzionali come la maggiore trasparenza della pubblica amministrazione, la ridefinizione del ruolo degli organismi pubblici.
L’inizio del terzo millennio sta mostrando i frutti di questo cambiamento, tant’è che mentre in passato uno dei maggiori problemi da affrontare nell’applicazione del metodo scientifico era il reperimento di dati, oggi le difficoltà maggiori sono rappresentate dalla loro gestione.
La disponibilità di una così grande quantità d’informazioni ha determinato la possibilità di emulare le capacità cognitive dell’uomo attraverso l’estrazione delle informazioni dai dati e, passando per processi di apprendimento accelerato, costruire una sorta di cervello elettronico artificiale capace.
Un processo questo ben rappresentato in una visione biologica, nella pellicola “Limitless” in cui il personaggio ingerendo una miracolosa pillola, si dotava della capacità di assorbire informazione con una velocità o potenza di calcolo sovrannaturali divenendo una sorta di super essere, un umano bionico in grado di predire, prevedere, calcolare, decidere, sintetizzare, comprendere più di qualsiasi altro essere della sua stessa specie.
Gli algoritmi di Intelligenza Artificiale che usiamo per costruire conoscenza a partire dai dati, sono, allo stato attuale, come gli uomini nella famosa caverna di Platone che esplorano le ombre sulla parete della grotta e imparano a prevedere con precisione i loro movimenti.
Ma non sanno che le ombre osservate sono proiezioni di oggetti che si muovono in uno spazio tridimensionale.
Tuttavia, è un processo evolutivo della specie umana quello di proiettarsi in un mondo che oggi sembra fantascientifico ma domani può divenire realtà.
E’ la freccia del tempo a stabilire la soglia oltre la quale la scienza diventa fantascienza.
Per esempio era il 1992 quando fu pubblicato “Snow Crash”, un libro di fantascienza scritto da Neal Stephenson, il quale proponeva un viaggio esplorativo, alquanto visionario, tra quelle che all’epoca erano ancora ritenute tecnologie futuristiche come la realtà virtuale, il wireless, gli smartphone e la realtà aumentata.
Tra le varie profezie contenute nel romanzo vi è il concetto di “metaverse”, utilizzato per far riferimento a un tipo di esperienza virtuale altamente immersiva in qualche modo simile a quella che ora le big tech starebbero cercando di ricreare. Ci riusciranno?
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