STORIE DI ORDINARIO DEGRADO A POCHI PASSI DAL CENTRO URBANO
Lungo il fiume Sacco fu realizzata, negli anni '90, un'area di verde attrezzato ormai lasciata nell'incuria.
Ci fu un tempo in cui Colleferro beneficiò di consistenti finanziamenti europei. Eravamo negli anni Novanta e l’Europa aveva individuato le aree segnate dalla crisi economica e quelle che presentavano evidenti ritardi strutturali. Tra le aree colpite dalla crisi industriale c’era anche Colleferro. La chiusura di alcuni opifici e la riconversione di alcune industrie, a partire dalla Snia-Bpd diventata Fiat-Avio, avevano provocato un salasso sotto il profilo occupazionale. Oltre 5 mila operai, in quegli anni, furono espulsi dal ciclo produttivo, finendo in cassa integrazione, in mobilità e licenziati.
Colleferro aveva, insomma, tutti i requisiti per beneficiare dei fondi comunitari, i cosiddetti fondi strutturali. Per utilizzare quelle risorse, però, ci volevano progetti adeguati, definiti e cantierabili, e una visione complessiva del territorio che ne esplorasse potenzialità e criticità, al fine di proiettarlo verso una rinascita concreta. Fu in quegli anni che il Comune fu chiamato ad uno sforzo progettuale e ad un ruolo di regia su un’area vasta che andava dalla valle del Sacco ai monti Lepini, fino a collegarsi con Frosinone e Ceccano. Un territorio complesso ed articolato, segnato da storie, culture e preesistenze che ne esaltavano specificità e contraddizioni.
Colleferro seppe, unico Comune del Lazio, approntare i suoi progetti e realizzarli, spendendo fino all’ultima lira/euro. Nacquero così le opere che hanno cambiato il volto della città e rimesso in moto l’economia del territorio. Ne citiamo alcune: il recupero di aree industriali dismesse (dove sono sorti l’incubatore di imprese e recuperati capannoni che nel tempo hanno ospitato gli uffici di Capitale Lavoro e il museo archeologico), il raddoppio dei piani produttivi dell’artigianato, lo Sloi/Slim, il parco fluviale del fiume Sacco.
Di quest’ultimo si sono perse le tracce. Nel senso che, come documentiamo nel servizio fotografico qui accanto, nessuno sembra volersene occupare. Abbiamo sotto gli occhi la dichiarazione rilasciata dal sindaco Pierluigi Sanna alla stampa locale il 18 luglio 2016. Più di quattro anni fa. All’indomani della “lodevole iniziativa delle associazioni locali” che avevano provveduto a ripulire il parco, in vista di un evento musicale di “Colleferro Estate”, il sindaco affermava: “Le situazioni di degrado urbano si moltiplicano anche per l’inciviltà di molti concittadini, ma in soccorso sono arrivate due iniziative di associazioni e comitati di quartiere (ndr: non dell’amministrazione!) che meritano di essere portate all’attenzione dell’opinione pubblica”. Ancora: “Gli spazi pubblici sono di proprietà dei cittadini e devono essere tenuti in condizioni ottimali, per tutelare il decoro urbano e garantirne l’utilizzo…Queste iniziative hanno una doppia valenza di carattere simbolico e culturale”. Parole sante. Peccato che, da allora, non si sia fatto nulla per far tornare il parco fluviale alle antiche bellezze e alla sua sicura fruibilità.
Tra erbacce, detriti, rifiuti, muretti spaccati e ponticelli instabili e ormai logorati e pericolosi, del parco lungo il fiume Sacco resta soltanto un pallido ricordo e la fotografia di un ambiente ormai inaccessibile ai più e ridotto a enorme pattumiera. Ovviamente il degrado di quel sito è iniziato ancor prima del sindaco Sanna. Ma questo non assolve né lui né chi lo ha preceduto. Ad incuria è seguita incuria, purtroppo.
Quando fu realizzato, il parco fluviale divenne presto un luogo molto frequentato da mamme, bambini, sportivi, anziani. Le aree di picnic si affollavano nel fine settimana. Gli arcieri si dilettavano con lo sport del tiro con l’arco. I ragazzi sfrecciavano sulle pareti attrezzate per i pattini a rotelle e gli skateboard. L’anfiteatro accoglieva artisti di strada e persino la vicina area dei piani produttiva ne veniva valorizzata.
Nello slargo attiguo al parco si tenne nel 2002 un grande concerto di Lucio Dalla organizzato dalla Provincia di Roma nell’ambito delle iniziative per convincere i ragazzi sulle moto a mettere il casco.
Ora, a distanza di anni, è lecito chiedersi il perché di tanta insensibilità da parte di chi amministra la città. Valorizzare il parco fluviale significa valorizzare e tutelare l’ambiente. Dove sono finiti gli ambientalisti? Pulirlo per un giorno, per quanto lodevole, può forse far guadagnare un titolo di giornale, ma non risolve il problema. Essere amanti della natura e difenderla è altra cosa. Ci vuole costanza, amore, dedizione, rispetto. E se il Comune non ce la fa da solo, perché non affidarne la gestione a terzi. Magari ad una cooperativa di giovani selezionata in piena trasparenza, con bando pubblico. Non scelta, si badi, perché affiliata alla propria casa politica. Una cooperativa, un soggetto terzo, qualcuno, insomma, che sia davvero in grado di salvaguardare un bene pubblico. Un bene che è di tutti, appunto.
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