L’energia ottenuta dall’acqua si annovera tra le più antiche fonti di energia rinnovabile.
Nelle foto, immagini esclusive di alcune centrali idroelettriche abbandonate
Già nell’antichità, infatti, l’uomo ha modificato i corsi d’acqua per agevolare l’agricoltura e presto si è reso conto che quel moto continuo poteva essere un prezioso aiuto da sfruttare anche in altri ambiti.
Con il Nilo come fonte principale di vita, di scambi e commercio, gli Egizi sono stati tra i primi popoli a utilizzare l’acqua come fonte di energia. La prima diga, infatti, fu costruita da loro e furono tra i primi a sfruttare l’invenzione della ruota idraulica, la stessa che vediamo nei mulini ad acqua e che, posta in fiumi e correnti, trasforma l’energia cinetica in energia meccanica. In realtà si pensa che un primo uso di ruote azionate dalla forza di fiumi e canali sia da far risalire addirittura ai Sumeri, la prima civiltà urbana conosciuta.
Anche in Estremo Oriente il movimento dell’acqua venne utilizzato presto. In Cina, già dal 200 A.C. venivano macinati grano e minerali grazie alle ruote idrauliche e nello stesso periodo anche le antiche civiltà indiane facevano uso di strumenti analoghi.
Ampiamente diffusa dall’Asia minore all’Impero Romano, l’Egitto, l’Asia e l’India, per raggiungere il mondo islamico intorno al settimo secolo che la introdusse sulle rive del Tigri e dell’Eufrate la ruota ad acqua è documentata anche nell’Antica Grecia. Gli Arabi, nel basso medioevo, migliorarono questa tecnica per ampliarne l’uso: irrigazione di campi e bonifiche di zone paludose.
Nel Medioevo fecero seguito innovazioni ingegneristiche per quanto riguarda le ruote ad acqua, il cui uso divenne sempre più diffuso e comune. La rivoluzione nel campo dell’energia idrica arriva nel XIX secolo. Quel periodo fu caratterizzato da diversi progressi scientifici nel campo dell’energia. Fu infatti scoperto come conservare l’energia elettrica e sfruttarla e l’italiano Alessandro Volta inventa la pila, il primo generatore elettrico mai realizzato.
La rivoluzione nel campo dell’energia idrica arriva nel 1832, con l’invenzione della turbina idraulica capace di produrre energia elettrica. In piena seconda rivoluzione industriale (fine ‘800, inizio ‘900), l’energia idrica venne utilizzata per produrre energia elettrica, facendo nascere l’energia idroelettrica e con essa le prime centrali. Queste ultime nascono quasi contemporaneamente di qua e di là dell’atlantico, negli ultimi anni dell’800. La centrale idroelettrica costruita nel 1879 ed entrata a regime nel 1881 negli Stati Uniti, presso le Cascate del Niagara, è considerata la prima. Nel 1883, l’ingegnere italiano Lorenzo Vanossi concepisce a Chiavenna il primo generatore elettrico della provincia di Sondrio azionato dalla forza idraulica, ma toccherà aspettare il 1895 perché venga attivata la prima grande centrale idroelettrica italiana di Paderno, costruita sull’Adda da Edison, società nata nel 1884 dal Comitato di Giuseppe Colombo, che aveva già creato, nel 1883 a Milano la prima centrale termica destinata a illuminare la città.
Lo sviluppo dell'energia idroelettrica è stato accompagnato dalla seconda metà del XIX secolo dall'invenzione di diverse tipologie di turbine, utilizzate ancora oggi. In Italia, la presenza di numerosi corsi d’acqua e la strutturale carenza di carbone come fonte energetica fece sì che fin da subito l’energia idroelettrica diventasse un’importante fonte di approvvigionamento energetico. Le prime centrali spuntarono già a fine ‘800, seguite dai grandi impianti del secolo successivo, tra i quali ricordiamo la tristemente nota diga del Vajont.
Ad oggi l’energia ottenuta dalle centrali idroelettriche italiane copre il 15% dell’intera produzione nazionale e costituisce il 40% di quella pulita.
Un dato che può sembrare importante ma che è decisamente più basso rispetto all’80-90% che ha caratterizzato il secolo scorso (dati ISPRA). Tra le ragioni che spiegano la diminuzione della parte percentuale ricoperta dall’idroelettrico, vi è sicuramente il riscaldamento globale, la conseguente fusione delle masse glaciali e quindi un differente regime pluviometrico, che ha ridotto le disponibilità idriche e provocato maggiori difficoltà nella loro gestione.
Il futuro dell'idroelettrico in Italia difficilmente sarà caratterizzato da grandi impianti la cui costruzione è stata di fatto terminata dopo il 2000.
L'energia idroelettrica in Italia è la principale fonte rinnovabile sia in termini di potenza installata che di produzione elettrica, ed è anche la più antica. La potenza dell’acqua consente di produrre energia pulita, verde e flessibile. Il suo valore non riguarda solo la quantità di energia che fornisce, ma anche la qualità: l’idroelettrico, infatti, consente di mantenere la stabilità della rete elettrica.
Nonostante l'importanza, nel nostro territorio vi sono molte piccole centrali idroelettriche che sono abbandonate da decenni.
Il numero delle centrali idroelettriche in Italia sfiora quota 4300: al loro interno lavorano oltre 15.000 addetti. In gran parte dei casi si ha a che fare con centrali idroelettriche piuttosto anziane, costruite più di settantanni fa.
A minare la loro produzione sono due elementi: da una parte, l'inesorabile invecchiamento degli impianti; dall'altra, le conseguenze del cambiamento climatico. Insieme, questi due fattori hanno intaccato le potenzialità di molti stabilimenti.
Uno degli esempi più famosi di centrale dismessa nell'Italia centrale si trova vicino Terni.
Nel bel mezzo della Valnerina, in una zona dal grande fascino naturalistico, c'è un'area che rispecchia a pieno la vocazione industriale della zona, che ha saputo fare dello sfruttamento delle risorse del territorio, un punto di forza.
Papigno, rappresenta uno dei centri storici minori più trasformati dall'industrializzazione: sono ancora visibili i tetti "impolverati" dall'inquinamento prodotto dalla fabbrica della Società Italiana per il Carburo di Calcio.
Dal paese si ha una visione complessiva della fabbrica sottostante, della cava e delle condutture per la Centrale idroelettrica di Papigno.
Il territorio è stato trasformato profondamente, tanto che la lettura del sito è ancora possibile, anche se il complesso industriale è ormai chiuso da decenni.
L'ex stabilimento elettrochimico, in via Carlo Neri a Papigno, oggi di proprietà del Comune di Terni e in parte dell'Enel, è stato utilizzato fin dalla sua costruzione nel 1901 per le produzioni elettrochimiche della Società Italiana per il Carburo di Calcio Acetilene e altri Gas, e poi della Società Terni. Esso copre una superficie complessiva di 105.450 mq.
La fabbrica invade il territorio con edifici in cemento armato e laterizi di grandi dimensioni, con condotte forzate e con la cava sul Monte S. Angelo, con la teleferica in struttura di acciaio reticolare che supera il corso del Nera. La Società Italiana per il Carburo di Calcio, fu costituita nel 1896.
A cavallo tra fine Ottocento e primi del Novecento divenne leader mondiale della produzione del carburo di calcio.
Dopo la fusione con la Terni questo stabilimento, insieme alle altre attività e concessioni della Carburo, contribuì a quel grande progetto elettrochimico e idroelettrico che consentì alla Società di giocare un grande ruolo nel contesto nazionale, compensando, in tal modo, le perdite di una siderurgia, come quella ternana, volta soprattutto ai prodotti bellici.
In seguito alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e allo scorporo della Terni nel 1963, lo stabilimento entrò a far parte della Terni Industrie Chimiche inserita nella Finsider. Passato all'Eni nel 1967 fu chiuso nel 1973.
La fabbrica fu ristrutturata prima nel 1928, poi negli anni sessanta, arrivando ad occupare un area corrispondente a quella attuale.
Recentemente il Comune di Terni ha ristrutturato la palazzina che era adibita ad uffici e tre capannoni per varie iniziative culturali e non, e ha aperto una parte della fabbrica ad associazioni sportive.
Degli impianti elettrochimici restano la ciminiera, la sala macchine, i capannoni, i tunnel degli alimentatori abbandonati a stessi, logorati dal tempo e dalle intemperie e divenuti una “bomba ecologica”.
Comments