SEGNI - Oggi traggo spunto da una pubblicazione storico-fotografica del nostro concittadino Vittorio Coluzzi, alla cui rassegna giornaliera devo dire di essermi affezionato, per formulare alcune considerazioni rispetto al tema che lui ha trattato in queta circostanza.
Vittorio quest’oggi (venerdì 24 Maggio 2024), ci ha ricordato l’inaugurazione a Segni della strada di “circumvallazione” cittadina.
Correva l’anno 1929, il giorno 6 Novembre per l’esattezza, e l’allora Podestà Cav. Falasca, lo stesso cui è intitolato l’edificio scolastico comunale a tutti noto, tagliava il nastro inaugurale dell’opera viaria, alla presenza delle autorità istituzionali in carica quell’anno, Vescovo diocesano e Presidente del Tribunale compresi.
Vittorio non indica nel dettaglio il percorso tracciato dalla “circumvallazione”, ma è evidente che stiamo parlando della attuale Via Roma, probabilmente integrata dal suo prolungamento naturale di via Pianillo, fino all’acropoli di San Pietro.
L’articolo di giornale che Vittorio pubblica integralmente, enfatizza con il consueto stile retorico del regime la realizzazione dell’opera, orientato com’era a dare il massimo risalto alla realizzazione delle opere di pubblica utilità.
Quella, invero, era una Italia post bellica (che di lì a poco si sarebbe riproposta di nuovo sui campi di battaglia Afro-Europei, oltre che Russi) che aveva bisogno di tutto, che si avviava in un percorso virtuoso di crescita economico-sociale e infrastrutturale mai visto prima, se non nel periodo della Roma imperiale, di cui a tratti cercava di imitarne le gesta, per accrescere la propria valenza di potenza internazionale.
Per una volta almeno, evitiamo di scivolare nella contrapposizione politica ed ideologica caratteristica del nostro tempo, non cadiamo nel baratro della distinzione tra il buono e il cattivo, solo a ragione della nostra sensibilità e visione partigiana delle cose, che tanti danni ha fatto alla Nazione nel corso degli anni.
Limitiamoci ad un esame oggettivo delle cose, liberandoci dal fardello condizionante della appartenenza ad uno schieramento politico definito, perché così facendo finiremmo con il diventare irrazionali e demagogici, arrivando a negare perfino l’ovvio.
Giorni fa in televisione, un noto e qualificato studioso dell’ambiente, di cui non faccio nome, arrivò a criticare la bonifica della pianura Pontina con argomentazioni a dir poco strumentali e fantasiose, rea a suo dire di avere distrutto un habitat naturalistico pluviale unico nel suo genere in Europa.
Quell’opera enorme, invece, tentata prima di allora senza successo da Papi ed Imperatori, ha recuperato alle colture agricole un territorio immenso, senza il quale le tavole del centro Italia e non solo mancherebbero di frutta e verdura, debellando malattie infettive gravi, restituendo base anagrafica consistente ad un’area pressoché disabitata, tanto povera allora quanto ricca oggi.
Lo studioso in questione avrebbe preferito a tutto questo “le zanzare grandi quanto gli elicotteri, il fetore dell’acqua stagnante e paludosa, le malattie infettive e la proliferazione di tutta una fauna insalubre”, parole queste pronunciate in trasmissione dallo scrittore pontino Antonio Pennacchi, che si scagliò verbalmente contro il professore citato, agnostico alla utilità della bonifica.
E’ indubbio che quella Italia fosse una Nazione creativa, retorica quanto si vuole certo, ma indubbiamente votata a costruirsi una immagine internazionale di potenza e di capacità realizzativa, certificando il genio creativo Italico di sempre.
Certo, quella era una Italia molto diversa dalla attuale, opposizioni e dinieghi formali alla realizzazione delle opere pubbliche creavano orticaria negli uomini di apparato, inaugurare anche solo nei tempi previsti una qualsivoglia infrastruttura, era già motivo di “ineccellenza”, la corsa per tutti era quella di inaugurare in anticipo ogni cosa rispetto alle scadenze progettuali stabilite.
Non v’era possibilità che alcuno si opponesse alla realizzazione dei lavori pubblici, anteponendovi un proprio interesse legittimo o diritto personale per non farli eseguire, la regola generale era quella della preminenza collettiva rispetto a quella soggettiva, il ricorso di opposizione al TAR in nome del diritto dei volatili migratori a nidificare sul suolo interessato ad opere infrastrutturali, non era concepito e neppure concepibile, farlo avrebbe significato svilire il volere nazionale, circuire la suprema sovranità popolare.
Una forzatura anche quella, indubbiamente, ma “l’Opposicrazia” di mestiere è alienante, consuma e disperde inutilmente energie economiche di cui tutti siamo proprietari, non giova a nessuno discutere per un secolo intero sulla opportunità o meno di costruire un ponte sullo stretto, quando gli altri in un tempo ridottissimo riescono a costruire un tunnel ferroviario sotto il canale della Manica.
L’interesse pubblico, in quanto espressione di un interesse collettivo, deve tornare a prevalere sempre, con buona pace dei benpensanti che si sentono depositari del verbo assoluto, neanche fossero i nuovi redentori del pianeta Terra.
Che poi, sempre loro, manifestino imbrattando i monumenti, o che lascino sulla spiaggia i residui dei pasti domenicali consumati in riva al mare, è solo un dettaglio, un esercizio di “Opposicrazia” appunto.
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