COLLEFERRO - La stagione di coloro che con accanita e cieca ostinazione si sono opposti all’applicazione delle tecniche di gestione proprie del mondo aziendale agli Enti locali è definitivamente tramontata.
Sono trascorsi però molti anni, troppi, perché ciò accadesse.
Certamente non ha giovato il far riferimento da parte di molti all’aziendalizzazione dei sistemi di amministrazione pubblica attribuendo, spesso ed erroneamente, a tale termine, il significato di passaggio alla logica dell’uso degli strumenti tipici dell’impresa con il riconoscimento della primato del sistema privato su quello pubblico.
In realtà privato e pubblico sono due sistemi geneticamente diversi, il primo è espressione del principio di razionalità economica e tende a perseguire un equilibrio tra risorse a disposizione, bisogni da soddisfare e profitto, mentre il secondo, quello pubblico è orientato alla produzione di beni e servizi per soddisfare le attese e i valori dei gruppi che compongono la società.
Detto ciò si può dire che il riferimento alle logiche e alle tecniche gestionali di derivazione aziendale, ora come allora, deve essere inteso come ricorso all’adozione di sistemi e modalità più efficienti nell’impiego delle risorse e più efficaci nel conseguimento dei fini.
L’affiancamento al modello istituzionale amministrativo, del modello aziendale, nella gestione degli Enti locali è stata possibile perché essi sono stati al centro di un vasto processo di trasformazione che ne ha modificato il loro funzionamento.
Le norme che hanno introdotto l’applicazione di strumenti di pianificazione e controllo: piani esecutivi di gestione, schede obiettivi, piani delle performance, documenti unici di programmazione, indicatori e analisi dei dati sono state utilissime e risolutive in tal senso.
Sono ancora tanti, però, gli Amministratori che si limitano all’uso di questi strumenti secondo le logiche del mero adempimento; assolto il rispetto imposto dal rispetto della norma ci si dimentica della loro importanza.
Così come sono tanti quelli che ne fanno un uso distorto per trovare una giustificazione alle proprie sciagurate e disastrose scelte politiche. Ma i dati e gli indicatori come sintesi delle condizioni sociali ed economiche di una città sono galantuomi, dicono sempre la verità e resistono a tutti gli stress test dei manipolatori della realtà delle cose.
Detenere dei dati elaborarli ed interpretarli in maniera corretta permette di anticipare ciò che avverrà, di muoversi strategicamente in un contesto in cui vengono considerate variabili che interessano i diritti e le attese dei cittadini e che incidono sul destino delle imprese presenti sul territorio.
I dati hanno un valore impareggiabile, aiutano a prendere le decisioni migliori, hanno un loro valore intrinseco che non si limita ad offrire esclusivamente una fotografia del presente in cui viene immortalato lo stato delle cose vigenti ma consentono, invece, di far vedere la realtà come un universo in rapidissima evoluzione.
Molte volte però la realtà che è ben più profonda di ciò che appare in superficie e tende a nascondere fenomeni e situazioni ben più complessi.
Altre volte però l’analisi metodologica dei dati può essere sostituita dall’analisi dell’ovvio, perché anche l’ovvio è pregno di significato.
L’ovvio inteso come evidenza immediata delle cose.
Servono indicatori quando le funzioni urbane delle città non vengono più vissute dai cittadini? Servono indicatori quando il degrado e il disordine prevalgono su tutto?
No serve evitare di cadere nella accettazione delle cose ricordando agli Amministratori, approcciando il concetto in termini aziendali, che la pazienza e l’indignazione sono titoli che il Cittadino porta prima o dopo all’incasso, sempre che non prevalga la rassegnazione perché allora occorre invocare l’aiuto della divina provvidenza.
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