SEGNI - Anni terribili quelli che seguirono la fine del diciottesimo secolo dell’era cristiana, specialmente dopo che le idee della nostra grande Rivoluzione portarono cambiamenti repentini, ma anche guerra e distruzione nella cara Italia.
Ed io che scrivo per fermare il ricordo di quelle vicende fui uno zelante funzionario al servizio della Repubblica, e per un certo periodo venni incaricato di vigilare sulla fedeltà rivoluzionaria di un paese poco distante da Roma, i cui abitanti erano molto legati alla propria fede religiosa e alla figura del Papa.
Dopo l’occupazione della Città Eterna nel febbraio 1798, fummo in molti ad essere incaricati a consigliare i giacobini locali ed anche a vigilare che si instaurasse la novità di vita che portavamo ai fratelli italiani.
Sinceramente avrei preferito rimanere a Roma, città dalle mille attrattive che allettavano anche noi rivoluzionari, ma gli ordini del Direttorio non potevano essere messi in discussione!
Al mio arrivo nel piccolo paese di Segni, scortato da un drappello di Ussari, fui accolto con molta cortesia dai funzionari del luogo, ma notai un certo astio negli sguardi di quei popolani a cui portavamo la libertà.
Subito mi fu detto che ciò era dovuto ad un fatto accaduto di recente, e che riguardava un quadro della Vergine Maria che avrebbe addirittura mosso gli occhi. E questo affermava una popolana di nome Vittoria, che accortasi per prima del “prodigio”, subito ne aveva divulgato la notizia!
Sicuramente, dissero i funzionari, si trattava di suggestione e superstizione, ma per i Segnini invece era un gesto di conforto e vicinanza della Madonna alla sorte dei suoi amatissimi fedeli.
In verità molti paesi e città del centro Italia furono in quel periodo interessati da quelli che, miracoli per i locali, erano per noi soltanto frutto dell’ignoranza e della fervida fantasia dei popolani.
Per comprendere meglio l’accaduto, chiesi subito di incontrare il cittadino Vescovo, che risiedeva nel seminario del paese.
Fu un momento per me di vera commozione trovarmi di fronte ad un anziano prelato che mi accolse con un rasserenante sorriso e con parole che non mi sarei mai aspettato da chi si trovava in una situazione di quasi prigioniero.
Monsignor Paolo con toni realistici espresse il suo dispiacere perché non poteva muoversi e parlare liberamente, e mi manifestò il desiderio che i mali che le nuove idee portavano terminassero quanto prima.
Pur essendo un rappresentante di quelle idee “pericolose”, ammirai il coraggio e la franchezza del pastore preoccupato per il suo gregge.
Ma soprattutto rimasi colpito dalla serenità del cittadino vescovo, il quale comprese che non avrei potuto, in quanto inviato della Repubblica, evitare la requisizione, nelle chiese, di oggetti d’oro e d’argento e neanche permettere a preti e frati di indossare l’abito ecclesiastico.
Ma nel congedarmi dall’anziano presule promisi di assicurare una pacifica convivenza ed il rispetto per la fede dei Segnini.
Dopo l’incontro con monsignor Paolo mi concessi una giornata di riposo e ne approfittai per conoscere le poche attrattive del paese.
Mi fece da guida un colto sacerdote di nome Bruno, molto preparato in materia di storia e che aveva un sogno da realizzare: far conoscere la figura e l’opera del patrono locale, un tal Bruno Astense. Per prima cosa ci recammo, con la scorta degli Ussari, a visitare il monumento che più identificava Segni, e cioè la megalitica Porta Saracena.
Quindi, risaliti al punto più in alto del paese, ci intrattenemmo nella piccola chiesa di S. Pietro edificata sui resti di un antico tempio pagano ed antistante una antica cisterna per l’acqua.
Infine, scendendo, ci soffermammo ad ammirare la maestosa Cattedrale, ricca di opere d’arte e del prezioso busto contenente la reliquia del Santo Patrono.
Fui sorpreso dalla commozione del cittadino Bruno di fronte alla reliquia del Santo, e per non so quale motivo lo rassicurai che mi sarei personalmente impegnato ad evitare la requisizione ed anche ogni tipo di profanazione.
Al momento del congedo il colto cittadino sacerdote mi salutò e mi manifestò la sua riconoscenza assicurandomi che mi avrebbe ricordato nelle sue preghiere! Ed a sorpresa, anche il tenente che comandava gli Ussari chiese al sacerdote di pregare per lui e per i suoi uomini, perché, disse:” Padre, tra breve partiremo per unirci all’armata sul Reno sotto la guida del generale Buonaparte…ed avremo bisogno anche di preghiere.” Seppi in seguito che la mia scorta fu impegnata nelle varie campagne militari del grande Corso, e che quel simpatico tenente si era guadagnato i gradi di Colonnello.
I giorni della missione in Segni trascorsero senza problemi particolari, nell’alternanza tra la cordialità dei filogiacobini e la palese sopportazione dei paesani filopapalini.
Prima del nostro ritorno a Roma fui invitato, con gli Ussari della scorta, ad un pranzo di commiato, ospitati nella borghese dimora del cittadino sindaco, contornato dai suoi più fedeli collaboratori con famiglie al seguito.
Su tutti noi, ma specialmente sul tenente Villefort fece colpo la giovane figlia del locale cerusico, che però, sincera monarchica e ancor più filopapalina, ogni volta che rivolgeva lo sguardo su di noi …. sembrava volesse fulminarci…Villefort innamoratosi all’istante della giovane provò profonda e dolorosa delusione nello sperimentare il rancoroso gelo della pulsella, e si riconsolò alla fine del pranzo con diversi ed abbondanti bicchieri di Cognac … francese! Alla nostra partenza notai che tutti quelli che incontravamo ci salutavano con un senso di sollievo, se noi desideravamo tornare alle piccole gioie di Roma, i Segnini non vedevano l’ora di liberarsi della nostra presenza, che rimarcava ancor più lo stato si soggezione a persone ed idee che proprio “non abbozzavano”.
È passato ormai un bel po' di tempo da quella missione in terra lepina, ma ogni volta che richiamo alla memoria luoghi e volti di Segni, non so per quale motivo provo un senso di grande tranquillità. Spero vivamente che, al termine di questi tempi burrascosi, un giorno possa tornare a visitare e magari a vivere il resto dei miei giorni nella quiete di un paese che sento ormai parte della mia vita. Ringrazio ora chi avrà avuto la pazienza di leggere questi miei ricordi e vi saluto e mi presento: Claude Dominique Aristide de Saint Martin, aristocratico per nascita, giacobino per scelta...e ritornato cattolico per Grazie di Dio!
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