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Segni, borgo dell'Italia profonda


Cattedrale S. Maria Assunta

SEGNI - I Borghi sono il cuore dell’Italia profonda. Costituiscono la memoria storica della nostra nazione accanto a grandi città dal passato glorioso e culturalmente cospicuo. Da essi, se si vuol comprendere la nostra identità non si può prescindere.

Segni, sito laziale tra i più illustri, rinomati e ricchi di storie pagane e cristiane, a parte la sua bellezza, è uno degli esempi più eloquenti della ampia gamma di Borghi che formano la trama della nazione italiana.

Dai primi insediamenti risalenti all’età del bronzo a città papale per eccellenza (tra le sue mura nacque, tra l’altro, Papa Vitaliano, successore di Eugenio I) che dal 657 al 672 resse la Chiesa cattolica mentre imperversava l'eresia monotelita.

S'adoperò per ristabilire i rapporti con l'Impero d'Oriente e, pur permanendo profonde divisioni, l’imperatore Costante II gli fece visita (663) a Roma. Nei secoli XII-XIII, Segni fu inserita nel Ducato Romano e nel "Patrimonio di S. Pietro", e si sviluppò sotto il dominio Apostolico ottenendo fama e autonomia locale.

Nel XIII secolo furono costruiti quella che è l'odierna piazza Santa Maria, la vecchia cattedrale duecentesca, il palazzo della Comunità e l'Episcopio. E Segni in tale periodo, rinnovando i fasti di quando era soggetta alla Repubblica prima e all’Impero Romano poi, divenne residenza estiva dei papi e venne individuata come luogo dove il pontefice Eugenio III fissò una residenza estiva, più tardi sede del seminario vescovile. Papa Sisto V, il cosiddetto “Papa tosto” per la sua inflessibilità, elevò Segni a ducato. Caduto lo Stato Pontificio, il 20 settembre 1870 la cittadina entrò a far parte del Regno d’Italia.

Il resto è storia nota, mentre meno noti al grande pubblico è che questo borgo ameno, situato nel centro del Lazio, è ricco di reperti storici che ne testimoniano l’importanza. Ecco, dunque, come un sito, al pari di tanti altri sparsi per l’Italia racchiude in sé la memoria collettiva che non dovrebbe essere mai trascurata.

Purtroppo il declino demografico, l’incuria culturale e spesso quella amministrativa riducono i Borghi quasi sempre a mere e sbiadite immagini sopravvissute al tempo in cui sono stati centrali per i motivi più vari nella complessa e lunga vicenda storica nazionale.

Se è nei borghi la nostra memoria, la nostra identità, il nostro focolare primigenio, più che nelle grandi città, ci si dovrebbe attrezzare soprattutto culturalmente per tenerli in vita e costituirli quale luogo di richiamo non soltanto di un turismo frettoloso ed occasionale, ma come luoghi di ricomposizione vitali nei quali la storia si rinnova e la memoria si riallaccia alla modernità se la sa vivere senza lasciarsi sopraffare dalla invasività tecnologica. “I Borghi - ha scritto la giovane ricercatrice Elena Caracciolo nel volume collettaneo Borgo Italia (Eclettica edizioni) - sono stati trascorsi, assaporati, accarezzati; hanno avuto un odore, un amore, un’infanzia; vi si è apparecchiato, mangiato, masticato il proprio momento. Sono risuonate campane, voci amiche, dialetti”.

Insomma, ognuno di noi, tornando indietro nel passato proprio e della sua gente se è capace di sentirlo ha un borgo nel proprio cuore “cioè un posto in cui permettersi la serenità, la malinconia e soprattutto la memoria”, sostiene ragionevolmente e appassionatamente la Caracciolo.

E ciò è tanto più vero se il borgo costituisce e lo si percepisce come il centro di una comunità dove retaggi, sogni, desideri, ricordi si tengono come per mano prefigurando una tela omogenea sulla quale restano impressi i segni di ciò che è stato.

E tanto più accade questo “miracolo della memoria” quanto più ci si sforza di ricomporre le tessere di un mosaico temporale e spaziale nel quale c’è posto per sembianze care ancorché sconosciute, nel senso di non vissute.

Salvare un borgo significa salvarsi l’anima e rinnovare in sé le memorie passate facendole vivere in una pietra, in un reperto, in un oggetto, come in un cuore.



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