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Turismo, una risorsa da valorizzare


SEGNI - Sistematicamente tutti parliamo di turismo, attribuendo a questa espressione il significato più alto per qualificare la città, convinti che possa rappresentare nel medio periodo la chiave di volta per il rilancio economico e sociale del paese.

Bisogna crederci però, crederci davvero, perché ad oggi non disponiamo di altre risorse in grado di rilanciarci anche economicamente in un tempo ragionevole, altre strade con analogo potenziale non sono percorribili, almeno non in uno spazio temporale anche solo paragonabile con quello indicato.

Segni possiede tutti i requisiti di fondo per assurgere a città turistica di livello, la bellezza paesaggistica, la posizione geografica a cavallo di tre province, la ricchezza del proprio patrimonio monumentale ed architettonico, la storia ultramillenaria, la centralità istituzionale di alcune sue personalità, sia in ambito civile-amministrativo che ecclesiastico, sono tutte caratteristiche in grado di fare la differenza con molte delle altre realtà urbane viciniori del nostro territorio.

Bisogna però sapere mettere a frutto questo enorme viatico, essere consapevoli della grande ricchezza che ci appartiene, saperla gestire in maniera mirata, affinchè si trasformi in un vero volano di crescita per la città.

I meno giovani, ricorderanno senz’altro che ai tempi del “carosello” televisivo delle ore 20, che anticipava il telegiornale di prima serata, passavano in rassegna sullo schermo alcune delle testimonianze più significative della Segni del passato, prima fra tutte la Porta Saracena.

Qualcuno, a mio modesto avviso sbagliando, dirà che erano altri tempi, mentre in realtà non esiste un tempo per celebrare la storia e la bellezza di cose e persone.

Alcuni mesi orsono, su un canale Mediaset, il giornalista Roberto Giacobbo, mise in risalto le città antiche del medio-basso Lazio caratterizzate dalla presenza di fortificazioni perimetrali poligonali a secco, le “mura ciclopiche” per intenderci.

In quella trasmissione, si parlò compiutamente di Alatri, di Arpino, di Cori e di Norma, non anche di Segni però, che rispetto alle tre città citate, lo dico con il massimo rispetto, conserva tuttora la più grande cinta muraria poligonale mai costruita nel territorio, impreziosita da un numero considerevole di porte monolitiche sia grandi che piccole, di cui Porta Saracena e Porta Foca ne sono l’emblema.

In quella occasione, qualcuno per questo mi riderà alle spalle, protestai con la Redazione Mediaset per la mancata presentazione in trasmissione della maggiore città fortificata con mura poligonali del Lazio, Segni appunto, da considerarsi almeno equivalente all’altra perla monumentale di analoga fattezza, che risponde al nome di Alatri.

Mi fu risposto che le città proposte in trasmissione, purtroppo tra esse non Segni, furono loro stesse ad attivarsi e a proporsi verso il network televisivo, affinché si dedicasse una puntata del programma Voyager alla specificità monumentalistica ed architettonica delle mura poligonali del Lazio.   

Questa la differenza tra fare sistema ed agire invece improvvisando, o peggio non agire affatto.

Del resto la vicina Anagni, città di pregiatissimo valore architettonico, nonché storico e culturale (la cripta di San Magno e la cattedrale sovrastante sono magnificenze di una bellezza impareggiabile), non si accontenta di essere conosciuta ovunque per lo “schiaffo” che Giacomo Sciarra Colonna inflisse a papa Bonifacio VIII nel 1303, pretende arditamente, ed arbitrariamente aggiungo io, di essere perfino riconosciuta quale città natale del nostro Papa Innocenzo III, all’anagrafe Lotario dei Conti di Segni (che tutti sappiamo essere nato nell’edificio di corte della famiglia dei Conti di Segni presso Gavignano)  

Un falso storico, evidentemente utile anch’esso ai fini della promozione turistica, di cui certo Anagni non ha il nostro stesso estremo bisogno.

In questi giorni di festa, come tanti altri concittadini del resto, ho avuto maggiori occasioni di transitare per le strade del centro storico, ripercorrendo, con una qualche nostalgia, tutti gli ambiti viari cui sono nato (Via Tomassi) e vissuto per tanti anni.

Dalla Cattedrale, passando per Via Lauri, quindi passando da Via Orsini (per noi un tempo “la stretta”) e poi per Via Tomassi (tanto per ritrovare l’aria di casa), è stato un attimo arrivare in Piazza Santa Lucia.

Mentre riflettevo, dispiaciuto, sulla Chiesa chiusa e le macchine (inevitabilmente) parcheggiate ovunque sulla piazza, ascoltavo i commenti interessati di tre donne che camminavano alle mie spalle.

Erano tre turiste straniere ospiti della medesima struttura turistica in Roma, appositamente partite dalla capitale per visitare Segni, di cui la più grande, di nazionalità Tedesca, che fungeva da guida per le altre due, (una Spagnola e l’altra Americana USA), conosceva a grandi linee la storia  della nostra città.

In un buon italiano, la turista tedesca, studiosa della storia dell’arte italiana, mi chiede di darle notizie riguardo la Chiesa di Santa Lucia, purtroppo chiusa, che lei e le sue due accompagnatrici avrebbero voluto visitare.

Spiego loro che la Chiesa attuale non è più quella originaria medievale, purtroppo demolita a seguito dei bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale, proseguendo a narrare i passaggi più importanti della storia ultramillenaria della nostra città.

Con mia grande soddisfazione, devo dire che almeno riguardo la ricostruzione storica della battaglia di Sacriporto dell’83 a.c. tra gli “Optimates” di Lucio Cornelio Silla e i “Populares” capitanati da Gaio Mario, la turista tedesca era abbastanza preparata, ho solo dovuto indicare loro, con un minimo di approssimazione, il luogo fisico in cui tale battaglia si è consumata, perché la visuale da piazza di Santa Lucia non è completa rispetto a quei luoghi.

Tutto questo per dire :

· Un grande peccato trovare le Chiese chiuse perfino nei giorni di festa;

· Un grande peccato non aprirle tutte almeno domenicalmente, con un servizio di volontariato storico divulgativo, magari gestito da studenti preparati delle nostre scuole che, ne sono certo, si dedicherebbero con slancio a questo servizio;

· Un grande peccato trovare le piazze antistanti le nostre Chiese invase dalle auto, del resto i residenti allo stato non saprebbero dove diversamente collocarle;

· Un grande peccato non avere potuto fruire della vista degli edifici storici di maggiore importanza, quali il Seminario Vescovile, la residenza Vescovile, palazzo Conti e, mi sento di aggiungere, forse arbitrariamente perché adibito oggi ad altre funzioni, palazzo Tomassi ;

· Un grande peccato non essere ancora riusciti a fare sistema tra tutti questi edifici e opere monumentali tutte, per inserirle in un circuito di visita integrato in grado di accompagnare il turista per una intera giornata di visita;

· Un grande peccato non essere ancora riusciti a ricostruire un interesse di visita turistica esterno alla nostra città, in grado di attrarre persone vogliose di conoscere nel profondo quanto di meglio siamo in grado di offrire alla loro curiosità;

· Un grande peccato lasciare che Segni da sola, senza promozione turistica ad hoc, funga da attrattiva occasionale per chi (spesso incidentalmente) viene a visitarla;

· Un grande peccato non riuscire a fare tutto questo anche solo per aiutare l’economia locale delle strutture ricettizie e di ristorazione, che avrebbero tutto da guadagnare con un flusso turistico strutturale degno di nota;

· Un grande peccato disperdere imprudentemente alla vista collettiva e non riuscire a valorizzare economicamente cotanta ricchezza;

· Che grande fortuna però essere Segnini, quelle tre turiste straniere me lo hanno detto esplicitamente, ringraziandomi più volte per averle assistite un minimo durante la loro visita alla città.



Io credo che si possa lavorare bene in questa direzione e personalmente raccolgo segni di risveglio collettivo che vanno verso questa direzione.

Noi siamo Segnini e lo siamo non a caso, abbiamo il dovere di dare un segno tangibile della nostra vitalità e creatività.

Certo, facendolo torneremo ad essere antipatici a molti, ma, come disse qualcuno, meglio essere invidiati che compatiti.

Ecco, facciamo di questo assunto la nostra filosofia di vita, ne trarremo giovamento tutti e torneremo ad essere orgogliosi della nostra Segninità.

Mi sento di dire con una vena di fiducia ed un cauto ottimismo, che ci siamo incanalati sul sentiero giusto, basterà non perdersi “nella selva oscura, che la strada era poi smarrita”, altrimenti non ci risolleveremo mai più e saremo destinati a vivere di ricordi.

Se Emmanuel Milingo non dimora presso di noi, anche perché lo abbiamo osteggiato devo dire, andiamocene a trovare un altro di analogo richiamo, purché se ne parli, cronaca nera e fatti di sangue esclusi, tutto è medicina curativa per questa Segni.



 

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